martedì 9 luglio 2013

Dov’è tuo fratello? È morto in mare. Francesco ci ricorda che Caino siamo noi

Potente, potentissimo papa Francesco, nella omelia di Lampedusa. Potente perché ha sussurrato nell’orecchio di tutti noi: uno per uno.

Ci ha detto che non ci possiamo chiamare fuori. Che, se 20 mila persone sono morte nel Mediterraneo, è anche colpa nostra. Sì, colpa nostra. Dove eravamo? Perché non abbiamo detto niente? Perché abbiamo lasciato che succedesse? Perché?

Ma andiamo alle parole del papa. Francesco inizia con la preghiera, la più semplice, la più umile: un papa che chiede “per favore”. La scelta linguistica impone un ribaltamento dei ruoli. Non sono i fedeli a implorare il pontefice, è il contrario.

“Immigrati morti in mare […]. Non si ripeta per favore.”

Segue il saluto ai Musulmani in lampedusano: o scià, che significa “fiato mio”, “respiro mio”. Le due culture si fondono. Grazie a una frase, diventano una. Non più “noi” isolani e “loro” che fastidiosamente spuntano dal mare, ma “noi tutti”: uomini, donne e bambini del mondo.

“Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!”

Poi la bordata, resa solo un po’ meno violenta dall’uso del “noi”. Francesco non si tira fuori, include se stesso nella schiera dei peccatori:

“Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri.”

Il riferimento a Caino e Abele della Genesi è devastante. Caino non è lo straniero che viene dal mare, Caino siamo noi. E Dio, sussurrando al nostro orecchio, ci mette alla strette chiedendo a ognuno di noi dov’è finito nostro fratello.

“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?».”

Segue una metafora tratta dalla vita quotidiana: la bolla di sapone. È apparentemente innocua, piacevole; ma introduce un’altra bordata.

“La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”

Cosa potevamo fare? Come potevamo intervenire? Ci chiediamo annichiliti. Francesco non ci lascia scampo. Potevamo esprimere il nostro solidale dolore con un atto semplice e primordiale: il pianto.

“Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”

«Sono forse io il guardiano di mio fratello?» chiede Caino al Signore. La risposta è sì. Ce lo ricorda Francesco.


Testo integrale dell’Omelia di Papa Francesco a Lampedusa, 8 luglio 2013:

1 commento:

  1. Una parola che potrebbe riassumere l'operato di questo papa è COERENZA. La scelta del nome non è solo una mossa pubblicitaria ma una scelta programmatica. SAN FRANCESCO è l'apice della spiritualità e dell'azione del cristianesimo da Gesù Cristo in poi ma è anche l'eredità scomoda di una chiesa, intesa come struttura di potere temporale, che non ha mai colto nè ha voluto cogliere fino in fondo il messaggio di povertà e amore verso il prossimo. Non è un caso che nessun papa abbia mai voluto prendere questo nome. Troppo oneroso il compito di portarlo. Questo papa ci sta provando in tutte le sue azioni ed esternazioni. Ogni suo discorso è un PROGRAMMA D'AZIONE nonchè una ricerca di coerenza verso la propria fede. La scelta di Caino nel suo discorso è in questo geniale quanto spontanea, è la forza di una retorica cosciente del peso delle parole. Aggiungiamo la fede di chi le pronuncia e l'effetto è coinvolgente. Ma quello che mi preme sottolineare è anche un discorso tra le righe, ovvero l'avvicinamento all'islam, religione che prega lo stesso Dio del papa e degli immigrati. Così come fece l'illustre omonimo predecessore durante la quinta crociata. Coerente fino in fondo questo Papa!

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