giovedì 28 aprile 2011

Collana “La forza delle parole” de L’Espresso: il sogno di Luther king “now”

Che dire di Ho un sogno, Il discorso dei discorsi, il discorso per antonomasia?

In Ho un sogno c’è tutto: passione, fermezza, sfida, ritmo. Ma, soprattutto, c’è azione. Volontà di cambiare l’America subito, nel momento stesso in cui quel discorso viene pronunciato. King ci riesce: dopo I have a dream, i bianchi, i neri, la politica, la cultura, il mondo hanno fatto un passo avanti verso l’uguaglianza e la libertà.

Nel discorso al Lincoln Memorial di Washington del 28 agosto 1963, il pastore non chiede agli afroamericani di pazientare, di essere ragionevoli, di aspettare tempi opportuni.
Al contrario:

«Siamo venuti in questo luogo sacro anche per ricordare all’America la fiera urgenza dell’oggi. Non è questo il momento per concedersi il lusso del raffreddare gli animi o di prendere la medicina tranquillante della gradualità.
Ora è il tempo di rendere reali le promesse della democrazia.
Ora è il tempo di sollevarsi dalla scura e desolata valle della segregazione, per percorrere il sentiero assolato della giustizia razziale.
Ora è il tempo di sollevare la nostra Nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale, portandola verso il terreno solido della fratellanza.
Ora è il tempo di rendere la giustizia una realtà per tutti i figli di Dio»

Nell’aprile del 1963, pochi mesi prima del discorso del Linlcoln Memorial, King era stato arrestato a Birmingham. In prigione aveva letto un articolo di giornale firmato da otto ecclesiastici bianchi locali che definivano l’attivismo di King «poco saggio e prematuro» ("Birmingham News", 13 aprile 1963).

King risponde ribadendo la necessità di agire nell’immediato e con decisione.
Un atteggiamento che convoca all’azione gli afroamericani, che accresce il suo capitale di fiducia.

Molto di più su I have a dream nel mio libro “Discorsi pontenti”.

Collana “La forza delle parole” de L’Espresso: Pertini e il cane tignoso

Quanti epiteti e quante figure nel discorso radiofonico di Sandro Pertini del 27 aprile 1945.

Due giorni dopo la liberazione di Milano, Pertini si rivolge ai lavoratori milanesi incitandoli al riscatto, divenuto un obiettivo possibile grazie alla fine dell’oppressione nazifascista.

La retorica e gli espedienti stilistici danno enfasi alle parole di Pertini.
Tanti gli epiteti. La bandiera rossa è «rossa bandiera»; le armate che hanno vinto sono «vittoriose armate»; i partigiani coraggiosi sono «fieri partigiani».

Efficaci le figure e i paragoni. La dittatura fascista era fatta di «catene»; il nazifascismo è «un mostro»; la patria provata dalla guerra è «sanguinante» e Mussolini – senza troppi giri di parole – «meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso».

C’è ancora qualcuno che pensa che retorica e chiarezza siano in contrapposizione tra loro?

mercoledì 27 aprile 2011

“Volemose bene, semo romani”: un ricordo di Giovanni Paolo II, grande comunicatore

In questi giorni i cittadini di Roma e i turisti hanno visto in città numerosi poster con l’immagine di Karol Wojtyla, che sarà beatificato 1° maggio. I cartelli riportano una frase in dialetto romanesco pronunciata dal papa il 26 febbraio 2004 in Vaticano. Rivolto ai parroci e ai preti della città, un Wojtyla dalla voce provata dalla malattia e dall’età ha detto:

«Volemose bene, semo romani. Non ho imparato romanesco, vuol dire che non sono buon vescovo di Roma»

La battuta è stata la reazione estemporanea e fuori programma a un interevento di un parroco che sottolineava le capacità poliglotte del papa e la sua abitudine di salutare i pellegrini in tutte le lingue.

Dal punto di vista tecnico definirei l’uso del dialetto da parte di un pontefice una raffinata captatio benevolentiae (vedi post precedente su Obama), per l’effetto di piazzamento che produce in un contesto alto e formale. Un monito agli imitatori, però, Wojtyla poteva permetterselo, voi no.

Dal punto di vista della comunicazione direi che questa è una delle tante prove del fatto che Wojtyla debba essere studiato, perché abbiamo tutti molto da imparare.

Dal punto di vista umano direi che Giovanna Paolo II sapeva come scaldare l’atmosfera.

Che c’è da di’. Era er mejo.

giovedì 21 aprile 2011

Dove c’è Obama c’è retorica. Il presidente Usa in diretta streaming su Facebook

Barack Obama, forse il più grande oratore contemporaneo, non perde lo smalto. Oggi ha lanciato, in diretta streaming via Facebook, la sua seconda campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti.

Mark Zuckerberg, il fondatore del social network, ha moderato l’incontro e il presidente ha risposto alle domande del pubblico riunito nella sede Facebook di Palo Alto e a quelle giunte via Web.

Il discorso del retore-Obama è iniziato con una bella captatio benevolentiae, che ha strappato la risata dei presenti e ha fatto il giro del mondo sui media.

Eccola:
«La prima volta che abbiamo pranzato insieme [con Mark Zuckerberg] avevamo la giacca e lui ha iniziato a sudare, è davvero scomoda per lui. Ora lo voglio aiutare. Mark, leviamoci la giacca»

La captatio benevolentiae – ricerca della benevolenza – è un topos retorico attraverso il quale l’oratore cerca di conquistare la simpatia del pubblico.

Visto il successo della prima captatio, Obama non se ne è fatta mancare una seconda. Parlando della sua intenzione di far decadere gli sgravi fiscali per i ricchi, Obama – sempre rivolto al miliardario Zuckerberg – ha detto:

«Sia io che te dobbiamo prepararci a pagare più tasse. Lo so che per te non è un problema»

Ancora retorica – buona, magistrale retorica – con l’Erlebnis: la narrazione di una propria esperienza emotiva. L’Erlebnis utilizzata da Obama consiste nel racconto della sua esperienza personale di ragazzo povero, figlio di una mamma single. Un vero classico nel corpus dei discorsi di Obama.

Per sostenere la validità dei propri programmi di welfare, il presidente Usa ha ricordato che senza le borse di studio statali, i programmi per la salute e gli aiuti finanziari pubblici non sarebbe mai diventato il presidente del Paese più potente del mondo.


mercoledì 20 aprile 2011

Discorsi potenti a Radio 24, seconda puntata: podcast

Per ascoltare la puntata di sabato 16 aprile, clicca qui. Una volta dentro il sito, clicca sulla freccia rossa.

martedì 19 aprile 2011

Napolitano pronuncia “cosiddetta”, la parola che incenerisce

Più volte ci siamo soffermati sullo stile risorgimentale e sulla scelta attenta delle parole da parte del nostro presidente della Repubblica.

Ieri Napolitano ha scritto una lettera a Michele Vietti, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, per annunciare che il 9 maggio, giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, sarà reso omaggio ai servitori dello Stato e ai magistrati che hanno dato la vita per difendere la legalità.

«La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - prosegue il Capo dello Stato - costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta “Associazione dalla parte della democrazia”, per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo»

Il presidente, come sempre, riesce in un’arte difficilissima: essere, allo stesso tempo, sobrio, caldo e chiaro.

Quel “cosiddetta” posto accanto a “Associazione dalla parte della democrazia” comunica: condanna del fatto, passione nel denunciarlo, volontà di esprimere disapprovazione in modo esplicito e definitivo.

Tutto questo nella semplice e ordinaria contrazione di “così” e “detta”.

lunedì 18 aprile 2011

Parola magica? “Provocazione”. Il caso Roberto Lassini e le Br


Ieri Roberto Lassini, ex sindaco Dc e candidato Pdl a Milano, ha confessato la sua responsabilità nella vicenda dei manifesti choc che recitavano l’odiosa frase:

«via le br dalle procure»

Lassini, con l'aria più serena del mondo, si è giustificato dicendo:

«È stata una provocazione. Esagerata ma tale. Sono certo che l'obiettivo non fosse mancare di rispetto alle vittime del terrorismo».

La parola “provocazione” è magica. Basta dirla per allentare le proprie responsabilità, per essere meno colpevoli, per trasformare un’accusa infamante e infondata in una semplice boutade, in una ragazzata. Funzionerà anche questa volta?

Lassini è stato indagato, ma sarà eletto? Probabilmente sì.

Dite quello che vi viene in mente, dunque, ma abbiate l’accortezza di pronunciare la parola magica. Ci sono ottime probabilità di farla franca.

venerdì 15 aprile 2011

Scilipoti-munnizza? L’arte di incassare un insulto e l’ostinazione a scilipotare


Rispondere con grazia a un insulto non è facile e il deputato agopuntore Domenico Scilipoti ha dimostrato di possedere una certa grazia nel farlo. I suoi ex compagni dell’Italia dei Valori lo hanno insultato con coretti in cui lo definivano «Munnizza!» e l’onorevole ha risposto dimostrano una certa verve e una certa capacità di stare al mondo:

«Io, rifiuto? È una risorsa!»

E qui gli elogi finiscono, perché colpisce di Scilipoti la tendenza a fare razzie di parole e simboli. Tutti sanno, infatti, che nel nostro vocabolario computeristico si è aggiunta una nuova coppia di parole:

«scili & poti», un nuovo modo per dire «taglia & incolla».

La settimana scorsa l’onorevole Scilipoti è stato beccato a copiare, proprio come a scuola. Il manifesto del suo Movimento Responsabilità Nazionale era tagliaincollato (o scilipotato) dal manifesto degli intellettuali fascisti, scritto nel 1925 da Giovanni Gentile.

Testo di Scilipoti:

«Responsabilità Nazionale è il movimento recente ed antico dello spirito italiano». «Il movimento è internamente connesso alla storia della Nazione Italiana».

Testo di Gentile:
«Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano». «Il movimento è intimamente connesso alla storia della Nazione Italiana». Il testo scilipotato è ancora presente nel sito del Movimento.

Ma Scilipoti non fa razzia solo di parole buone per tutte le stagioni, ma anche di simboli. Il marchio del Movimento Responsabilità Nazionale è uno Yin Yang in versione multicolor (vedi immagine).

Suppongo che la scelta abbia a che fare con la medicina olistica, di cui Scilipoti è un sostenitore, ma – ammettiamolo – fa sembrare il Movimento un centro di massaggi di quarta categoria. Non si scherza con le parole. E nemmeno con i simboli.

mercoledì 13 aprile 2011

"Discorsi potenti" a Radio 24, programma "La storia e la memoria": podcast

Per ascoltare la puntata di sabato 9 aprile, clicca qui. Una volta dentro il sito, clicca sulla freccia rossa.

Il prossimo appuntamento è per sabato 16 alle 21,30, sempre su Radio 24.

martedì 12 aprile 2011

Collana “La forza delle parole” de L’Espresso: De Gasperi fondatore dell’Europa. E Maroni?


«Mi chiedo se abbia un senso continuare a far parte dell'Unione europea»


Sono le parole pronunciate ieri a Strasburgo dal ministro dell’interno Maroni. Il ministro ha espresso la propria delusione per la bocciatura della proposta italiana di protezione temporanea per i migranti provenienti dai Paesi del Nord Africa.

Il presidente Napoletano e il ministro Frattini hanno ricordato l’importanza dell’Unione europea per il nostro Paese. Vale la pena di ricordare la metafora usata da De Gasperi nel discorso “La nostra patria Europa”, pronunciato alla conferenza parlamentare europea di Parigi nel 1954 e presente nella collana de L’Espresso “La forza delle parole”:

«[…] bisogna riconoscere che la vera e propria garanzia della nostra unione consiste in un’idea architettonica che sappia dominare dalla base alla cima, armonizzando le tendenze in una prospettiva di comunanza di vita pacificata ed evolutiva».

Presentazione a Bruxelles di "Discorsi potenti": video

venerdì 8 aprile 2011

Dicorsi potenti a Radio 24, il 9 aprile e il 16 aprile alle 21,30

Segnalo la mia intervista a Radio 24 per il programma "La storia e la memoria" condotto da Dino Pesole. Sabato 9 aprile si parlerà dei discorsi potenti di Truman, De Gasperi e Obama e sabato 16 aprile di quelli di Clinton, King e Rosaria Schifani.

giovedì 7 aprile 2011

Cesare Geronzi e i soprannomi: la cronaca diventa fiction

Il linguaggio del potere è popolato di soprannomi, che rendono i protagonisti leggendari personaggi di una narrazione, di un racconto, di una fiction. Troviamo moltissimi esempi nel passato, come Ivan IV di Russia, detto Ivan il Terribile; Federico II, detto Stupor mundi (il mio preferito!); Giuseppe Garibaldi, l'Eroe dei due mondi. Tanti, tantissimi anche i soprannomi della storia contemporanea. Chi non ha in mente almeno uno dei soprannomi di Giulio Andreotti: Divo Giulio, il Gobbo, Belzebù? Molti, poi, ricorderanno il Dottor Sottile, Giuliano Amato; il Coniglio Mannaro, Forlani; il Cinghialone, Craxi. Alcuni nomignoli fanno sprofondare il personaggi cui sono attribuiti nella retorica del bar dello sport, come Cicciobello per Francesco Rutelli e Er Pecora per Teodoro Bontempo. Il numero di soprannomi e di epiteti di Cesare Geronzi è forse una testimonianza del grande potere che l'ex presidente delle Generali, ha (o ha avuto). Ce li ricorda Alberto Statera in un articolo su La repubblica di oggi: Uomo universale; Dottor Koch, dalla sede della Banca d'Italia che si trova a palazzo Koch; Penna Bianca. Colpisce, tra tutti, il soprannome Grande Taxi, che Cirino Pomicino aveva preso in prestito da Enrico Mattei, primo presidente dell'Eni, che sosteneva di usare i partiti italiani come un «taxi». Da Stupor mundi al Taxi: la storia fa il suo corso.

domenica 3 aprile 2011

Collana “La forza delle parole” de L’Espresso. Gandhi era retorico? Sì, senza dubbio

Una figura esile vestita con un panno bianco: è l’immagine che viene in mente a tutti noi quando sentiamo pronunciare il nome di Gandhi. Un uomo che si presentava nudo: senza la divisa della giacca e della cravatta, senza orpelli, senza artificio. Questa essenzialità ci porterebbe a pensare che i discorsi del grande leader indiano siano stati privi di retorica, asciutti come il loro oratore. Non è così. Gandhi è stato un retore raffinato. Il suo stile non era certo manieristico e sfarzoso, ma sapientemente congegnato e calibrato. Innanzitutto, è necessario dire che il Gandhi retore è stato il maestro della negazione che afferma, definisce e diventa slogan. È il caso della “non cooperazione” e della “non violenza”, due negazioni che affermano e definiscono forme di lotta consistenti nel rifiuto delle cariche pubbliche, nel boicottaggio dei prodotti britannici e nella disobbedienza civile da parte dei movimenti indipendentisti indiani. A scuola e sul lavoro ci hanno insegnato a non usare mai la negazione per lanciare un progetto, un’idea o un prodotto. È un consiglio ragionevole ma, a volte, infrangere le regole con intelligenza serve per sparigliare, colpire, lasciare il segno, creare uno slogan. Nel discorso sulla non cooperazione del 12 agosto 1920, riportato nel libretto pubblicato da L’Espresso, Gandhi fa sfoggio di una serie di domande retoriche, quesiti che non sono reali richieste di informazione, ma contengono una risposta predeterminata. Un esempio di domanda retorica dalla Bibbia: «Chi è Dio tranne il Signore?» Queste, invece, le domande retoriche di Gandhi: «[…] domando: è incostituzionale che io dica al Governo britannico: “rifiuto di servivi”? […]. È incostituzionale che un genitore ritiri i figli dalla scuola governativa o sostenuta dal governo? È incostituzionale che un avvocato dica: “non appoggerò più il braccio della legge finche quel braccio della legge viene usato non per elevarmi ma per svilirmi”? […] Domando: è incostituzionale che un poliziotto o un soldato dia le dimissioni quando sa che è chiamato a servire un governo che diffama i suoi stessi compatrioti? […] Ritengo e oso far presente che non vi è nulla di incostituzionale in questo. […] Sostengo che in tutto il progetto di non cooperazione non vi è nulla di incostituzionale.» La serie di domande retoriche si chiude con un ossimoro, un apparente contraddizione. È il governo britannico a essere incostituzionale: «unconstitutional Government».

venerdì 1 aprile 2011

Berlusconi a Lampedusa, il paese della Cuccagna


Ieri il premier Silvio Berlusconi è andato a Lampedusa per rincuorare gli isolani, dimostrando loro che non sono soli ad affrontare l’emergenza degli immigrati dal Nord Africa.


Il suo discorso ai lampedusani è iniziato con una frase caratterizzata da retorica:


«Il presidente del Consiglio ha il vezzo di risolvere i problemi».


Il termine “vezzo” è usato con ironia, una figura retorica attraverso la quale si dice l’opposto di quello che s’intende. In questo caso è chiaro per tutti che “vezzo” = pregio.


Il resto del discorso trascina gli isolani in una narrazione a lieto fine che ha la struttura della fiaba: dal caos della terra invasa dai “barbari” al luogo in cui regnano il benessere, l’opulenza e il piacere. Punto culminante di questo cammino salvifico è la costruzione sull’isola di un casinò (con l’accento sulla o!).


Ecco i punti salenti della narrazione:


«Tra 60 ore Lampedusa sarà abitata solo dai lampedusani»


«Svuoteremo il centro di accoglienza e ci sarà sempre una nave attraccata al porto pronta a imbarcare i migranti che via via arriveranno»


«Ci vuole più colore, più pulizia e decoro: provvederemo a un rimboschimento dell'isola e da stamattina 140 militari del Genio sono al lavoro per ripulire la collina sopra il porto. Poi c'è la stagione turistica da preservare: abbiamo incaricato Rai e Mediaset di confezionare dei servizi per far sì che gli italiani vengano in questo paradiso»


«Vi concederemo una moratoria fiscale, bancaria e finanziaria per il disagio che avete patito. Non ci siamo dimenticati neppure dei pescatori: siamo in contatto con l'Eni che fornirà benzina a basso prezzo e faremo in modo che il primo carico sia gratuito» «Lampedusa diventerà una zona a burocrazia zero e chiederemo a Bruxelles l'istituzione di una zona franca nella quale non si paghino tasse per i prodotti importati ed esportati: per aprire un ristorante o un negozio basterà rispettare le leggi edilizie e sanitarie vigenti»


«A Lamperdusa apriremo un casinò». Boom. La descrizione corrisponde con il paese della Cuccagna, dove chi più dorme più guadagna.




Nell'immagine: Bruegel il vecchio, Il paese di Cuccagna, 1567

Presentazione a Bruxelles di "Discorsi potenti": grazie a tutti

Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla presentazione di "Discorsi potenti" alla libreria Piola di Bruxelles il 30 marzo 2011.

Sono stata molto felice e, lo confesso, molto emozionata.


Grazie ancora alle prodigiose organizzatrici, Laura Fallavollita e Mariachiara Esposito; ai potenti relatori, l'eurodeputato Graham Watson, il professore Andrea Pierucci e la moderatrice Barbara Roffi; ai mitici attori del reading, Emiliano Masala e Dominique Pattuelli; al vivace libraio, Jacopo Panizza.


Al prossimo appuntamento potente.

Flavia


Ps segnalo la mia intervista a Radio Alma di Bruxelles http://radioalma.blogspot.com/