domenica 8 dicembre 2013

Violenza, comunismo e discriminazione: la versione di Nelson Mandela

Madiba ci ha lasciato, ma le sue parole sono ancora tra noi. Discorsi Potenti lo ricorda con l’allocuzione del processo di Rivonia, tenuta il 20 aprile 1964.
Mandela è in carcere e, insieme al gruppo dirigente dell’African National Congress, viene accusato di sovversione e terrorismo. Si difende con un discorso della durata di quattro ore.
Sono tre i temi chiave dell’allocuzione: le motivazioni che hanno portato l’African National Congress a ricorrere alla violenza nella lotta contro l’Apartheid, il rifiuto dell’accusa di comunismo, la condanna alla discriminazione nei confronti della popolazione nera del Sudafrica.
Mandela conduce con pacatezza il ragionamento.
Il primo tema è certamente il più spinoso per un leader politico che intende essere anche una guida morale del suo Paese. Il ricorso alla violenza come forma di lotta viene supportata da un’argomentazione che intende condurre chi ascolta a considerare il sabotaggio e la guerriglia mali minori per evitare il terrorismo.
“Noi dell’ANC [African National Congress] abbiamo sempre sostenuto l’idea di una democrazia non razziale e ci siamo astenuti da qualsiasi azione che potesse creare tra le nostre razze una distanza ancor più grande di quella già esistente. […] Quando alcuni di noi discussero la questione nel maggio e nel giugno del 1961, fu impossibile negare che la nostra politica volta al raggiungimento di uno Stato non razziale attraverso la non violenza non avesse portato a niente, e che i nostri sostenitori iniziavano a perdere fiducia in questa linea politica e stavano elaborando allarmanti idee terroristiche.”
“Dopo una lunga e tormentata valutazione della situazione sudafricana, io e alcuni colleghi giungemmo alla conclusione che, poiché la violenza nel Paese era ormai inevitabile, sarebbe stato irrealistico e sbagliato per i leader africani continuare a predicare la pace e la non violenza in un momento in cui il governo rispondeva con la forza alle nostre richieste pacifiche. […] Nel manifesto dell’Umkhonto [ala militare dell’ANC], pubblicato il 16 dicembre 1961, dichiaravamo:
«Nella vita di ogni nazione c’è un momento in cui rimangono soltanto due alternative: sottomettersi o lottare»”

Per il secondo tema, il rifiuto dell’accusa di comunismo, Mandela ricorre a un paragone che lascia poco spazio alla replica.
“Un’altra accusa avanzata dal pubblico ministero è che gli obiettivi e gli scopi dell’ANC fossero gli stessi del Partito Comunista. […] In nessun momento della sua storia l’ANC ha sostenuto la necessità di un cambiamento rivoluzionario nella struttura economica del Paese, né, a quanto ricordi, ha mai condannato la società capitalista. […]
È vero che c’è stata spesso una stretta collaborazione tra ANC e Partito Comunista, ma tale collaborazione è semplicemente la prova di un obiettivo comune, in questo caso l’abolizione della supremazia dei bianchi, e non di una totale comunione di interessi.
Ecco che arriva il paragone.
“La storia mondiale è piena di esempi analoghi. Forse il più eclatante è quello della collaborazione tra Gran Bretagna, Stati Uniti d’America e Unione Sovietica nella lotta contro Hitler. Nessuno, eccetto Hitler, avrebbe osato insinuare che tale collaborazione rendesse Churchill o Roosvelt dei comunisti o degli strumenti del comunismo, né che la Gran Bretagna e l’America si stessero adoperando per creare un mondo comunista.”

Il discorso al processo di Rivonia è per Mandela anche un’occasione per sottolineare l’assurdità della discriminazione. Per farlo usa l’espediente retorico dell’esempio.
“Ogni volta che c’è da trasportare o da pulire qualcosa, l’uomo bianco si guarda intorno in cerca di un africano che lo faccia al posto suo, indipendentemente dal fatto che questi sia al suo servizio oppure no. […] I bianchi tendono a considerare gli africani come appartenenti a una specie diversa. Non li vedono come persone che hanno una famiglia, non si rendono conto che provano emozioni, che si innamorano proprio come i bianchi, che desiderano stare con la moglie e i figli proprio come i bianchi, che vogliono guadagnare abbastanza da mantenere adeguatamente la loro famiglia, da nutrire i figli, vestirli e mandarli a scuola.”
I neri di Mandela avevano diritto alla loro “fetta di Sudafrica”. Le sue parole ci ricordano come tutti, anche gli ultimi, abbiamo diritto alla loro fetta di mondo.
http://www.youtube.com/watch?v=-CNewYDzeDg

lunedì 2 dicembre 2013

Grillo e i suoi nemici

Ogni eroe che si rispetti ha bisogno di un nemico. Lo sa bene Berlusconi che ha fatto dei suoi antagonisti i comunisti, prima, la magistratura, poi. Lo sa Renzi che si è scagliato contro i vecchi in politica, nemici da rottamare. Lo sapeva benissimo quel grande comunicatore di Steve Jobs che, quando ha lanciato il Macintosh, ha utilizzato uno spot che faceva apparire il concorrente Ibm intrusivo, omologante e dittatoriale come il Grande Fratello. http://www.youtube.com/watch?v=ipQngtV_8oU

Beppe Grillo del Vaffaday di Genova ha individuato vari nemici: i partiti e la finanza (super classici della sua fegatosa oratoria), i politici, i sindacati, le Regioni e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il quale ha chiesto l’impeachment.

Napolitano è l’antieroe di turno. Quello su cui spostare tutte le antipatie del pubblico.

“Napolitano, uno che si è raddoppiato la carica e nello stesso giorno ha distrutto le intercettazioni con Mancino. Uno così non lo voglio. Rimarrà solo. E la deve tradire da solo, l’Italia.”


Regola numero 1: se vuoi essere eroe trovati un antieroe e dallo in pasto alla piazza.

domenica 1 dicembre 2013

Collaborare per il bene comune, Roma, 3 dicembre 2013

Il 3 dicembre 2013 sono onorata di moderare l'incontro "Collaborare per il bene comune" che riguarda le forme di collaborazione tra profit, non profit e Pubblica Amministrazione.

L'incontro di terrà al Tempio di Adriano a Roma a Piazza Di Pietra, dalle 10 alle 13.

http://www.rm.camcom.it/archivio27_focus_0_238_0_1.html


mercoledì 27 novembre 2013

Santo Berlusconi martire prega per noi

“Io non ho paura” dice Berlusconi dalla fossa dei leoni. Nella sua personale narrazione gioca il ruolo del martire: perseguitato, umiliato e offeso.

Anzi, è molto di più di un martire è un protomartire come Santo Stefano, il primo cristiano morto per la fede. I suoi sostenitori reggono il gioco narrativo. Sono ora davanti a Palazzo Grazioli con i rami di ulivo in mano.

La celebrazione diventa liturgia. L’uomo politico pregiudicato diventa santo. Il peccato diventa miracolo.


giovedì 14 novembre 2013

Olivetti e Jobs: parlare futuro

Adriano Olivetti e Steve Jobs sono stati due sognatori che hanno avuto la capacità di condividere le proprie visioni attraverso gli oggetti che hanno prodotto e le parole che hanno pronunciato. Hanno sfatato quel falso mito che vuole che affabulatori, narratori e retori siano cialtroni buoni a nulla.

Non è così: gli affabulatori, i narratori e i retori possono far crescere la produttività del 500% in poco più di dieci anni come ha fatto Olivetti o trasformare il silicio in life style come Jobs.

Se vuoi sapere come parlavano Olivetti e Jobs, vai su Huffingtonpost
:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/olivetti-e-jobs-parlare-futuro_b_4271574.html


venerdì 8 novembre 2013

Il “credo” dell’oratore Olivetti

La fiction “La forza di un sogno” ha portato alla luce un personaggio chiave della storia dell’impresa italiana.

È naturale chiedersi come parlava Olivetti, qual era la sua cifra oratoria. Nelle raccolta di discorsi pubblicata da Edizioni di comunità appare uno stile ricco di riferimenti religiosi. Adriano era ebreo da parte di padre, ma si era convertito al cattolicesimo nel 1949.

È raro, anzi rarissimo, trovare un linguaggio religioso in azienda. Olivetti, fa eccezione: il suo dire era originale come il suo stile imprenditoriale. Adriano era convinto che l’uomo possedesse una “fiamma divina”:

“Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea […], risponde a una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo giacché i tempi avvertono che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna. […] La nostra Società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto.”

E l’anafora, la ripetizione di “crede”, rende il discorso preghiera.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. […]

Credo nello Spirito santo…

lunedì 30 settembre 2013

Re Travicello e le rane: la favola di Letta. Gli animali parlanti ci sono. Manca solo la morale

Ieri sera a CheTempoCheFa Enrico Letta ha rispolverato una favola di Fedro per esprimere la sua amarezza di capo del governo senza potere.
La favola è un componimento nel quale sono protagonisti animali parlanti e dalla quale i destinatari dovrebbero trarre una morale. Il racconto è Le rane chiesero un re di Gaio Giulio Fedro (20-15 AC circa 51 DC).
Protagoniste del racconto sono le rane che nuotano in libertà nello stagno, senza avere un sovrano. Un giorno chiedono a Zeus di avere un re e il dio le accontenta mandando loro un travicello, un semplice pezzo di legno inanimato. Quando le rane si rendono conto che il travicello è un re senza personalità e senza potere, chiedono a Zeus un re vero. Zeus le accontenta mandando loro una serpe che comincia a divorarle una dopo l’altra.
Per la paura le rane perdono la voce. Le poche che riescono a salvarsi chiedono all’Olimpo di avere un altro re. E Zeus risponde: "Poiché un buon re vi dispiacque, abbiatene uno malvagio".

Nella politica italiana gli animali parlanti sono tanti. Forse è il momento della morale.

domenica 29 settembre 2013

Berlusconi: dal rigiro della frittata all’ignoratio elenchi

Letta dice che Berlusconi, con la sua ultima uscita, ha “rigirato la frittata”. È vero: ha voluto attribuire la decisione impopolare dell’aumento dell’iva al Pd, sfilandosi da ogni responsabilità.

«l’aumento dell’iva è una grave violazione dei partiti»
«ho invitato la delegazione dei Popolo della Libertà al governo a valutare l’opportunità di presentare immediatamente le proprie dimissioni per non rendersi complice di un’ulteriore odiosa vessazione imposta dalla sinistra agli italiani»

Nella logica, è una fallacia. Per estensione direi che è una ignoratio elenchi (http://www.retoricatiamo.it/reto-parole/#i), la presentazione di un argomento di discussione fuori tema, che ha l’obiettivo di distogliere l’attenzione dell’uditorio. Nel caso specifico l’argomento dell’iva non è propriamente fuori tema, ma è un aspetto di un tema più grande e complesso: le strategie per risollevare l’economia italiana.


Berlusconi si tira fuori, organizzando una fuga a gambe levate di se stesso e dei suoi. La fuga linguistica nasconde una fuga dalle responsabilità.

lunedì 23 settembre 2013

Grillo è l'invidia e B. è l'inganno

Oggi è uscita una mia intervista sui discorsi potenti e impotenti: si parla di Berlusconi, Grillo, Luther King, De Gasperi.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/grillo-e-linvidia-b-e-linganno/2214984/9

martedì 16 luglio 2013

Malala, l’anafora, il paradosso, l’anticlimax

Una ragazzina vestita di rosa confetto. Ha lo scialle di Benazir Bhutto e un paio di scarpe basse. Parla all’Onu nell’aula magna gremita, davanti a Ban Ki-moon. È il giorno del suo compleanno: appena 16 anni.
È sicura come un’oratrice navigata: ha un foglio davanti ma non legge; concede il suo sguardo a tutti i presenti in sala, senza fissarsi sugli ascoltatori più accondiscendenti; declama ad alta voce, lancia le sue bordate e attende per vedere l’effetto che fanno. E l’effetto c’è, eccome. Il pubblico applaude sempre più frequentemente. Qualcuno – le donne – si asciuga le lacrime.
Nel 2012 i Talebani hanno colpito alla testa questa ragazzina e hanno rivendicato l’attentato, accusandola di essere una “femmina oscena”.
Non è una fanciulla come le altre. Non lo è la sua storia e non lo è il suo eloquio. Lei lo sa, ma non vuole farlo pesare: preferisce apparire come una ragazza qualsiasi, non come un fenomeno della natura. Teme l’effetto Guiness dei primati, che sposterebbe l’attenzione su di lei e sulla performance, lasciando in un angolo dimenticato i contenuti. È per questo che, dopo i ringraziamenti di rito, Malala mette in campo una excusatio propter infimitatem, una voluta diminuzione della sua persona e della sua storia.
“Io sono qui, una ragazza tra tante, e non parlo per me, ma per tutti i bambini e le bambine.”
Segue un classico della retorica: un’anafora, la ripetizione di una parola o di un gruppo di parole all’inizio di frasi successive:
“Voglio far sentire la mia voce non perché posso gridare, ma perché coloro che non l’hanno siano ascoltati. Coloro che lottano per i loro diritti: il diritto di vivere in pace, il diritto di essere trattati con dignità, il diritto di avere pari opportunità e il diritto di ricevere un’istruzione.”
La storia personale della pallottola in testa viene messa in evidenza da un paradosso, una contraddizione voluta:
“I terroristi pensavano che sparando avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni, ma niente nella mia vita è cambiato tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Così pure le mie speranze sono le stesse.”
Dal paradosso scaturisce un messaggio d’amore, dal sapore messianico:
“Cari fratelli e sorelle io non sono contro nessuno. Nemmeno contro i terroristi. Non sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i Taliban o qualsiasi altro gruppo terrorista. Sono qui a parlare a favore del diritto all’istruzione di ogni bambino.”
È un messaggio che crea un impatto, perché spiazza l’uditorio che viene trascinato fino al culmine del ragionamento: anche i figli dei Taliban, quelli che le hanno sparato in testa, hanno diritto all’istruzione:
“Io voglio che tutti i figli e le figlie degli estremisti, soprattutto Taliban, ricevano un’istruzione.”
L’uditorio è convinto di essere arrivato al punto più alto dell’emozione. Ma l’oratrice Malala non si ferma, alza l’asticella dei sentimenti con un anticlimax, una scala discendente che porta il ragionamento dalla divina misericordia ultraterrena, all’eroica misericordia terrena, fino all’immensità quotidiana dell’insegnamento dei genitori di una bimba la cui testa è stata perforata dal proiettile di un idiota che pretendeva di conoscere la verità del mondo. Un idiota che invece non sapeva niente di niente.
“Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questa è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è quello che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro.”
Poi la rivelazione, la verità nel suo splendore: i terroristi terrorizzano perché sono terrorizzati. Terrorizzati dalle donne e dall’istruzione. Che miseria.
“Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. Hanno paura del potere dell’istruzione. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Ed è per questo che hanno appena ucciso a Quetta 14 innocenti studenti di medicina. È per questo che fanno saltare scuole in aria tutti i giorni. È per questo che uccidono i volontari antipolio nel Khyber Pukhtoonkhwa e nelle Fata. Perché hanno avuto e hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza che essa porterebbero nella nostra società. […] I Taliban hanno paura dei libri perché non sanno che cosa c’è scritto dentro”.
Malala affonda il coltello, grazie all’ironia. Si prende gioco dei Taliban, facendoli apparire ridicoli:
“Pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore che manderebbe le bambine all’inferno soltanto perché vogliono andare a scuola.”
L’explicit – il finale – è fortissimo. Malala lo declama con un dito alzato, guardando negli occhi il mondo intero. È potente perché non perde il focus del discorso. Rimane incollata alla tesi iniziale: l’istruzione che salva la vita:
“Queste sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo.”
Grande Malala, la ragazzina vestita di rosa confetto.



martedì 9 luglio 2013

Dov’è tuo fratello? È morto in mare. Francesco ci ricorda che Caino siamo noi

Potente, potentissimo papa Francesco, nella omelia di Lampedusa. Potente perché ha sussurrato nell’orecchio di tutti noi: uno per uno.

Ci ha detto che non ci possiamo chiamare fuori. Che, se 20 mila persone sono morte nel Mediterraneo, è anche colpa nostra. Sì, colpa nostra. Dove eravamo? Perché non abbiamo detto niente? Perché abbiamo lasciato che succedesse? Perché?

Ma andiamo alle parole del papa. Francesco inizia con la preghiera, la più semplice, la più umile: un papa che chiede “per favore”. La scelta linguistica impone un ribaltamento dei ruoli. Non sono i fedeli a implorare il pontefice, è il contrario.

“Immigrati morti in mare […]. Non si ripeta per favore.”

Segue il saluto ai Musulmani in lampedusano: o scià, che significa “fiato mio”, “respiro mio”. Le due culture si fondono. Grazie a una frase, diventano una. Non più “noi” isolani e “loro” che fastidiosamente spuntano dal mare, ma “noi tutti”: uomini, donne e bambini del mondo.

“Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!”

Poi la bordata, resa solo un po’ meno violenta dall’uso del “noi”. Francesco non si tira fuori, include se stesso nella schiera dei peccatori:

“Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri.”

Il riferimento a Caino e Abele della Genesi è devastante. Caino non è lo straniero che viene dal mare, Caino siamo noi. E Dio, sussurrando al nostro orecchio, ci mette alla strette chiedendo a ognuno di noi dov’è finito nostro fratello.

“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?».”

Segue una metafora tratta dalla vita quotidiana: la bolla di sapone. È apparentemente innocua, piacevole; ma introduce un’altra bordata.

“La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”

Cosa potevamo fare? Come potevamo intervenire? Ci chiediamo annichiliti. Francesco non ci lascia scampo. Potevamo esprimere il nostro solidale dolore con un atto semplice e primordiale: il pianto.

“Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”

«Sono forse io il guardiano di mio fratello?» chiede Caino al Signore. La risposta è sì. Ce lo ricorda Francesco.


Testo integrale dell’Omelia di Papa Francesco a Lampedusa, 8 luglio 2013:

sabato 8 giugno 2013

Alemanno e Marino: le parole dei supereroi che vogliono salvare Roma #eleroma

Gianni Alemanno garantisce di liberare i cittadini dai Mali: Imu, Equitalia, nomadi. Ignazio Marino da quello che, dal suo punto di vista, è il Male dei Mali, il Male per antonomasia: Gianni Alemanno.
Gianni e Ignazio fanno i supereroi. Chi sarà il Superman che salverà Roma?
Non saprai chi vincerà, ma scoprirai tutto sulla retorica dei salvatori della capitale. Leggi qui:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/alemanno-e-marino-le-parole-dei-supereroi-che-vogliono-salvare-roma_b_3401543.html?utm_hp_ref=italy#comments

martedì 28 maggio 2013

Grillo e il topos del "sono tutti uguali"

Dopo il flop elettorale del Movimento 5 Stelle, Grillo critica coloro che votano Pd e Pdl e i partiti che «li rassicurano ma in realtà hanno distrutto il Paese, si sta condannando a una via senza ritorno».
È il topos  del "sono tutti uguali".
Funzionerà ancora?

lunedì 27 maggio 2013

“NO. I giorni dell’arcobaleno”. Grande film sulla comunicazione politica

Ieri ho finalmente visto “NO. I giorni dell’arcobaleno”, il film di Pablo Larrain dedicato al referendum che nel 1988 ha, di fatto, liberato il Cile dalla dittatura di Pinochet.
È un grande film sulla comunicazione politica, nel quale il fronte del Sì e quello del NO si sfidano a colpi di spot pubblicitari.
Vince il No, che nega a Pinochet un nuovo mandato di otto anni.
La comunicazione pro-Pinochet era incentrata, tra l’altro, al raggiungimento della ricchezza individuale. Mi ha colpito una frase pronunciata dal pubblicitario assoldato dal Governo. La cito a memoria, sperando di non sbagliare:
“Tutti aspirano a essere ricchi. Ma non tutti lo diventano, solo qualcuno. È impossibile perdere quando tutti aspirano a essere quel qualcuno.”
Perdono. Per fortuna, la ricchezza non è la sola argomentazione possibile.

venerdì 24 maggio 2013

Un sito sulla #retorica. Ci voleva. Ci voleva?

Ho pubblicato parte del mio archivio sulla retorica:
http://www.retoricatiamo.it/

L'ho fatto per me. Perché, ogni volta che cercavo qualcosa, impazzivo tra archivi digitali e cartacei. Credo, però, possa essere utile anche a tutti coloro che amano i discorsi e l'arte della parola.

In retoricatiamo.it troverete allocuzioni, dialoghi imperdibili di film, una bibliografia sul tema e un breve glossario con esempi tratti dal passato e dall'attualità.

Il sito non è completo. Ci metterò un po' per ritrovare e caricare tutti i materiali che, negli anni, mi sono illusa di riporre in modo ordinato. Ma è pur sempre un inizio.


martedì 21 maggio 2013

Matteo Renzi si libera dell’entimema “rottamazione”


Il sindaco di Firenze ha presentato il suo nuovo libro “Oltre la rottamazione”, pubblicato per Mondadori. A quanto pare il termine era diventato una gabbia.

“…un po’ come quei marchi che ti rimangono appiccicati sopra. Forse abbiamo fatto un po’ paura nel dare un messaggio tutto incentrato sul ricambio, senza essere capaci di spiegare che c’era qualcosa di più. E quando uno non riesce a spiegarlo è colpa sua, non colpa degli altri.”
(Salone del libro di Torino)

“Rottamazione” può essere definito come entimema o sillogismo retorico. Si tratta di un’argomentazione in forma di sillogismo nella quale, al contrario di quanto avviene nel sillogismo logico, una delle premesse non è certa. L’entimema trae la sua valenza persuasiva proprio grazie alla sua somiglianza con il sillogismo logico. L’uso del termine “rottamazione” ne è un esempio, in quanto parte da una premessa assolutamente opinabile, dandola per scontata: i vecchi politici rappresentano un fatto negativo. Nella prima repubblica era implicitamente diffusa l’opinione contraria. Un’età avanzata era sinonimo di esperienza e di saggezza.

A ogni tempo il suo entimema.

venerdì 17 maggio 2013

Stati generali della comunicazione politica

Il 28 maggio alle 17 sarò ospite degli Stati Generali della Comunicazione Politica alla Luiss Guido Carli. Si parlerà di satira e "popolarizzazione".

lunedì 13 maggio 2013

Letta e la felicità del dire; Boccassini e l’infelicità del dire


“Come ho detto che non avrei fatto un esecutivo a tutti i costi, così oggi ti dico che non andrò avanti a tutti i costi.”
Nel pulmino che porta i ministri al ritiro di Sarteano, Enrico Letta ha usato queste parole per esprimere il suo disappunto nei confronti della manifestazione del Pdl contro i giudici.

Essere pronti a mollare tutto è un’argomentazione che ha la sua efficacia. Porta chi la pronuncia a conquistare una condizione di felicità del dire, di vantaggio, di autorevolezza in uno specifico contesto. C’è però un effetto collaterale: il rischio di dover mollare tutto.

“La minore, extracomunitaria, persona – lo ripeto – intelligente, furba, di quella furbizia proprio orientale…”
Nella requisitoria nel corso del processo Ruby, Ilda Boccassini ha definito in questo modo quella che al tempo era una ragazzina, perché una diciassettenne è sempre una ragazzina. È stata una gaffe, non ci sono dubbi. Ma la Boccassini ha perso autorevolezza, felicità del dire.

Parole felici e parole infelici. Il dire non è mai neutro. O meglio lo è se è insapore e inodore, come quando “si auspica il dovuto dialogo”. Con l’auspicio del dovuto dialogo non si sbaglia mai, ma si dice poco o niente.

martedì 7 maggio 2013

Simply the best. Le migliori frasi in #andreottese


Andreotti ha lasciato un suo stile verbale, un suo frasario in puro “andreottese”, che fa rima (baciata) con “politichese”.
Tutte le sue freddure sono intrise di un pragmatismo spiazzante, credo sia questa la loro forza e, allo stesso tempo, la loro debolezza. Perché hanno il potere di sminuire, di riportare tutto ai numeri negativi che sono al di sotto del grado zero del realismo.
Ecco alcune delle sue battute suddivise sulle base degli espedienti linguistici utilizzati.

Ritmo
“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia.”
A volte una battuta funziona perché, con un ritmo azzeccato, fotografa una filosofia di vita e un modo di intendere la politica.

Paradosso
“Il potere logora chi non ce l’ha.”
“Non basta avere ragione. Ci vuole qualcuno disposto a dartela.”
“I miei amici che facevano sport sono morti da tempo.”
“Ci sono due tipi di matti. Quelli che credono di essere Napoleone e quelli che credono di risanare le Ferrovie dello Stato.”
Un’apparente contraddizione, ci fa scoprire qualcosa di nuovo sulla realtà: il potere non è solo una responsabilità schiacciante ma può essere un afrodisiaco; è saggio chi è capace di raccogliere consensi, non chi sa più degli altri; quello che tutti pensano possa essere salutare, come lo sport, fa male; chi si propone grandi progetti è pazzo.

Ostentata ottusità
“So di essere di media statura, ma non vedo giganti intorno a me.”
“Aveva spiccato il senso della famiglia. Infatti ne aveva due e oltre.”
Ci sono battute che si basano su una ostentata, e falsa, incomprensione di un meccanismo linguistico, come confondere la statura con il livello morale o l’amore per la famiglia con la tendenza a farsene più di una.

Fughe semantiche
Quando gli chiesero se era vero che con Gelli, capo della P2, si telefonavano tutti i giorni rispose:
“Neanche con mia moglie, da fidanzati, ci sentivamo tutti i giorni.”
Quando gli chiesero come poteva essere amico di Gorbaciov e di Riina:
“Credo che Totò Riina sarà inorgoglito dall’equiparazione con Gorbaciov.”
Ti chiedono capra, rispondi cavoli. È un modo per fuggire a gambe levate da una domanda scomoda introducendo un nuovo argomento.

Antonomasia
“Nascosto nell’ombra c’è un Andreotti più Andreotti di me?”
L’autoironia è l’arma del pragmatico. Andreotti gioca sull’antonomasia che associa il suo nome a tutti i mali dell’Italia.
Sullo stesso stile gioca la frase che segue:
“A parte le guerre puniche mi viene attribuito veramente tutto.”

Infine, l’apoteosi del pragmatismo:
“A pensare male degli altri si fa peccato. Ma ci s’indovina.”

giovedì 25 aprile 2013

#Streaming: con la metafora del freezer. #Letta esce a testa alta


Enrico Letta esce a testa alta dal temibile incontro in streaming con i rappresentanti del Movimento 5 Stelle.

Inizia con una excusatio propter infirmitatem, ammettendo la propria consapevolezza di affrontare una sfida complessa:
“Mi trovo di fronte a un compito nuovo e irto di difficoltà.”

Tuttavia, chiarisce immediatamente che non lascerà spazio all’inesperienza dei parvenue delle istituzioni con una metafora che, allo stesso tempo, è un’allusione alla predilezione dei 5 Stelle nei confronti della verginità politica:
“I ministri non devono fare scuola guida.”

Il grillino Nuti ribatte utilizzando la stessa metafora:
“In Italia ci sono molti che hanno la patente ma che non sanno guidare bene.”

Ma un Letta in piena forma non cade nel tranello:
“Cercherò di mettere persone competenti.”
“Non ho detto con 40 anni di esperienza.”

Poi, mette alle strette Crimi e Lombardi con una serie di metafore: il “congelamento” che, in altri passaggi, diventa “freezer” e “saracinesca”:

“Se le nostre istituzioni sono al degrado è perché non sono in grado di decidere. È un danno per i cittadini.”
“Scongelate le vostre posizioni dai no.”
“Vorremmo trovare un modo di parlarvi, non di discutere come in un grande freezer.”
“C’è questa saracinesca abbassata.”

È un modo per distribuire le responsabilità e un monito, per evitare di consegnare “ai cittadini un nulla di fatto”.

Roberta Lombardi tenta il colpo, consegnando all’incaricato premier la proposta di legge del Movimento sui rimborsi elettorali. Letta ringrazia, la prende e non commenta.

In chiusura, Enrico Letta vuole dare una stoccata a Grillo che nel suo blog oggi ha pubblicato un requiem della Repubblica italiana, espresso con un’anafora:
“Il 25 aprile è morto.
Nella nomina a presidente del Consiglio di un membro del Bilderberg
il 25 aprile è morto, nella grassa risata del piduista Berlusconi in Parlamento
il 25 aprile è morto, nella distruzione dei nastri delle conversazioni tra Mancino e Napolitano
il 25 aprile è morto”

Letta è caustico:
“Dite a Beppe Grillo che Dio è morto ma che dopo tre giorni è risorto.”

Un riferimento al Pd?

mercoledì 17 aprile 2013

Un mese di Francesco: habemus comunicatorem

Il "papa buonasera" è un oratore di altissimo livello: raffinato, preciso, diretto, alla portata di tutti. Un comunicatore nato. In un mese di pontificato, le sue parole hanno tracciato una linea precisa. Hanno avuto la capacità di mordere la realtà, mettendo a nudo sentimenti, paure e debolezze. Anche personali.

Se vuoi sapere tutto sullo stile di Francesco in un mese di pontificato, vai qui:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/papa-francesco-habemus-comunicatorem_b_3090454.html

venerdì 12 aprile 2013

Esce un libro di Autieri sulle consulenze della pubblica amministrazione. Ma sono tutte oro?

Nella lingua esiste una coppia di fatto: Consulenza e Oro. Di solito si riferisce alle consulenze della pubblica amministrazione che vengono viste con sospetto, diffidenza, talvolta anche con disprezzo. Gli articoli di giornale tuonano: 10 mila euro a Tizio; 20 mila euro a Caio.

Forse non tutti sanno che 10 mila euro per un consulente si riducono, di fatto, alla metà. Sì, perché il consulente deve pagarsi la pensione, accantonare per eventuali malattie e, se è donna, per la maternità, pagare le tasse.

Scrivo questo post perché faccio parte della categoria dei consulenti: per il settore pubblico e per il privato. Vi assicuro che non siamo una manica di nullafacenti e di raccomandati. Ce ne sono, certo. Ma non siamo tutti così. Siamo invece persone che se non si aggiornano in continuazione se ne vanno a casa e che cercano di non dire mai “no” (per lo stesso motivo citato sopra). Siamo persone, infine, il cui compenso è pubblico, perché il valore economico dei nostri contratti è online. Mentre quello dei dipendenti non lo è. Mi chiedo perché.

Lo dico a Daniele Autieri che esce oggi con un libro dedicato a questo tema e che si intitola Il saccheggio (Castelvecchi): “Daniele, scoppiamo la coppia Consulenza-Oro!”.

lunedì 8 aprile 2013

“Haec ornamenta mea”. Maroni gioca a fare Cornelia

La metafora come riscatto etico. Maroni a Pontida ha mostrato al popolo leghista i sacchetti con i diamanti acquistati dall’ex tesoriere Belsito, ora espulso dal partito e inquisito.

La ricerca della verginità perduta trova nel suo cammino una metafora: i bravi leghisti sono preziosi come diamanti.

Brandendoli Maroni afferma:

“Ho chiesto ai dirigenti delle varie regioni di consegnarli ai militanti più meritevoli e alle sezioni che più s’impegnano per il movimento: sono loro i nostri diamanti.”

“Questi sono i miei gioielli”. Maroni come Cornelia?

sabato 6 aprile 2013

La Lombardi e la potenza del non dire


Il dire è potente, ma il non dire può esserlo ancora di più. Roberta Lombardi capo gruppo alla Camera del Movimento Cinque Stelle - dopo il bucolico raduno di ieri nell’agriturismo con Beppe Grillo - non ha detto. Ma, allo stesso tempo, ha detto e come.

“Non ci sono espulsioni, nessuno verrà cacciato […]. Chi deciderà di votare con il Pd farà una scelta personale tradendo gli impegni verso gli elettori. Sarà quindi lui a decidere di uscire dal movimento.”

Traduzione: Attenti a voi. Seguite la grillo-strada. 

venerdì 5 aprile 2013

Onida e la veridizione

Il bambino cattivo Giuseppe Cruciani de La zanzara ha fatto la sua solita, discutibile marachella. Confessa candidamente: “non sapevo che inventarmi per la trasmissione.”

Una telefonata di una finta Margherita Hack (l’imitatore Merkù) ha tratto in inganno Valerio Onida, uno dei membri della commissione di saggi voluta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Onida ha confessato l’inconfessabile:
“Guardi, sì. Questa cosa dei saggi probabilmente è inutile […]. Serve a coprire questo periodo di stallo […] insomma è un lavoro di copertura di questo momento di stallo. […]. In sostanza non servirà un granché.”

Secondo Greimas e Courtés la “veridizione” è un contratto. Li cito, perché è complicato (ma interessante e – non vi preoccupate - breve): “un creder-vero deve essere installato alle due estremità del canale della comunicazione, ed è questo equilibrio, più o meno stabile, questa tacita intesa di due complici più o meno coscienti che noi chiamiamo contratto di veridizione”.

In sostanza la gaffe di Onida è una vera gaffe se anche noi, dall’altra parte del filo della comunicazione, crediamo che “questa cosa dei saggi” sia inutile.

E, ahimè, mi sa tanto che lo crediamo.

venerdì 15 marzo 2013

Merkel, Bachelet, Thatcher, Iotti. Le parole del pink power


Problema. Le donne si sono stra-rotte le scatole di essere gli angeli del focolare. Come gestire questo travolgente cambiamento sociale? Il modello della donna che gioca un ruolo di secondo piano sta faticosamente e molto lentamente tramontando e questa evoluzione comporta la necessità di cambiare il modo di pensare e di agire.
Ne è una prova il fatto che nella composizione del nostro nuovo Parlamento si registra un dato inedito: un record di presenza femminile del 30%. Ma quali peculiarità ha il potere delle donne? Possiede caratteristiche specifiche o è uguale a quello degli uomini? Credo sia difficilissimo dare una risposta a questa domanda. Ma potrebbe risultare utile vedere come il potere rosa si traduca nelle parole e nei discorsi di quelle donne che, nel mondo contemporaneo, hanno raggiunto i vertici della società. Ne scelgo quattro tra molte - purtroppo ancora non moltissime - per offrire una veloce panoramica delle diverse sfumature del pink power.

Se ti interessa il resto. vai su Huffington:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/merkel-bachelet-tatcher-iotti-le-parole-del-pink-power_b_2876256.html

mercoledì 13 marzo 2013

Francesco, papa della spontaneità


Il nuovo papa, dopo la consueta e teatrale attesa della sua comparsa al balcone di San Pietro, parla con spontaneità e con un simpatico accento sudamericano.

Facendo riferimento alla sua provenienza argentina, esordisce con una captatio benevolentiae, utile a vincere l’emozione della piazza.
“il nuovo papa sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo.”

Una frase che passerà alla storia.

Si presenta come un papa che vuole abbattere le distanze tra potere ecclesiastico e popolo:

“Un cammino vescovo e popolo. Un cammino di fratellanza, amore e fiducia per noi.”

Infine, un rovesciamento. Prima di benedire il popolo, chiede al popolo di pregare per lui. Invoca l’incoraggiamento della piazza, della città e del mondo. È un passaggio interessante, perché il neo papa usa parole consuete:

“Vi chiedo un favore: la preghiera del popolo per il suo vescovo. La preghiera di voi su di me.”

Habemus papam et habemus comunicatorem.

mercoledì 6 marzo 2013

“Almeno sono onesti”. Il gangnam style del dopo voto


Nei media, negli uffici, nei bar tutti commentano le elezioni.
Il ritornello che ossessiona le nostre menti come un gangnam style è riferito ai girillini, la cui inesperienza genera qualche preoccupazione nei cittadini schifati dai soliti politicanti ma, allo stesso tempo, impensieriti dall’ondata di dilettantismo.
Il rito di rassicurazione collettiva consiste nella ripetizione infinita del ritornello “almeno sono onesti”.  
L’onestà dovrebbe essere il grado zero. È diventata il grado più alto della scala della fiducia e della delega. Strano destino di una parola. E di un Paese.




lunedì 4 marzo 2013

Titoli tossici: un articolo sul mestiere del ghostwriter

http://www.scribd.com/doc/128337444/Titoli-Tossici-Il-Mercato-Segreto-Dei-Ghostwriter-La-Repubblica-04-03-2013

giovedì 21 febbraio 2013

Giaguari, nipotini, bufale. Il rhetoric checking della campagna elettorale

In questa campagna abbiamo familiarizzato con il fact checking, la verifica delle affermazioni pubbliche dei candidati, questo post propone invece il rhetoric checking, l'individuazione degli espedienti del dire, messi in campo dagli sfidanti.
Lente di ingrandimento su Berlusconi, Monti, Giannino, Grillo, Bersani, Ingroia. Leggi tutto su Huffington post:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/tra-giaguari-nipotini-e-bufale-il-rhetoric-checking-della-campagna-elettorale_b_2718376.html#

venerdì 15 febbraio 2013

#sanctusremus Roberto Baggio, foolish, hungry

Ieri sera a Sanremo Baggio ha dedicato una lettera ai giovani. Un campione imbarazzato, chino sul foglio, talvolta impacciato. Ma ricordiamo che Cicerone ammoniva gli oratori che non si sentivano intimiditi al momento dell’esordio del loro discorso, perché l’arte del dire era diventata per loro una fredda routine. Non è stato così per Roberto Baggio che, malgrado l’emozione, è riuscito a comunicare affetto e sincerità.

L’incipit del discorso è un’excusatio associata a una captatio benevolentiae:
“So che i giovani non amano i consigli. Anch’io ero così.”

L’espediente narrativo utilizzato è quello delle parole. Cinque parole per cinque insegnamenti sulla vita:
“Vorrei invitare i giovani a riflettere su alcune parole. La prima è passione. […] guardatevi dentro e la troverete.

Baggio inserisce la narrazione di un’esperienza personale, di un suo vissuto familare. Un Erlebnis:
“La seconda è gioia . […] Ricordo la gioia del volto stanco di mio padre e del sorriso di mia madre nel metterci, la sera, tutti e dieci intorno a una tavola apparecchiata.”

La terza parola introduce una verità rassicurante ma, allo stesso tempo, un invito al fare: sbagliare è normale, inutile piangersi addosso:
“La terza è coraggio. È fondamentale essere coraggiosi e imparare a vivere credendo in voi stessi. Avere problemi e sbagliare è semplicemente una cosa naturale. È necessario non farsi sconfiggere. La cosa più importante è sentirsi soddisfatti, sapere di aver dato tutto, di avere fatto del proprio meglio, a modo vostro e secondo le vostre capacità.”

Con “successo”, la quarta parola, Baggio sdogana un termine che, nella società attuale, ha assunto un’accezione negativa perché spesso legata ai concetti di affermazione della propria vanità e di scorciatoia per ottenerlo. Baggio ci ricorda che inseguire il “successo” può semplicemente significare avere legittime ambizioni. Sacrosante ambizioni:
“La quarta è successo. Se seguite gioia e passione, allora si può anche parlare di successo, di questa parola che sembra essere rimasta l’unico valore nella nostra società. Ma cosa vuol dire avere successo? Per me vuol dire realizzare nella vita quello che si è, nel modo migliore.”

Ancora una narrazione personale, un Erlebnis, insieme a un paradosso, il sacrificio “non è una brutta parola”:
“La quinta parola è “sacrificio”. Ho subìto da giovane incidenti alle ginocchia che mi hanno creato problemi e dolori per tutta la carriera. Sono riuscito a convivere con quei dolori grazie al sacrificio che, vi assicuro, non è una brutta parola. Il sacrificio è l’essenza della vita. La porta per capirne il significato […]. Non credete a ciò che arriva senza sacrificio, non fidatevi […]. Coloro che fanno sforzi continui sono sempre pieni di speranza. Abbracciate i vostri sogni e inseguiteli.”

Non male la versione made in Italy di “Stay Folish, Stay Hungy di Jobs.

mercoledì 13 febbraio 2013

Obama cita Kennedy

Nel discorso sullo Stato dell'Unione, Obama ha citato Kennedy:

"Cinquant'anni fa, John F. Kennedy ha dichiarato a questa Camera che 'la Costituzione non ci rende rivali per il potere ma alleati per il progresso.' E' il mio compito."

Testo completo

Dio, la vita e la maglietta

Nel primo discorso dopo le dimissioni, Benedetto XVI parla delle priorità della vita:

"Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E' Lui il Signore o sono io? Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere."
“Convertirsi, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita..."

Una scritta su una maglietta diceva: "Dio esiste. Ma non sei tu. Rilassati".

Testo integrale

Non di solo pane vivrà l'uomo

Nel suo primo discorso dopo le dimissioni, Benedetto XVI cita il passo del Vangelo sulle tentazioni di Gesù.
Ecco il testo:

1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2 E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3 E il tentatore, avvicinatosi, gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani». 4 Ma egli rispose: «Sta scritto: "Non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio"».
5 Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, 6 e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto:
"
Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo,
ed essi ti porteranno sulle loro mani,
perché tu non urti con il piede contro una pietra
"».
7 Gesù gli rispose: «È altresì scritto: "Non tentare il Signore Dio tuo"».
8 Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: 9 «Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori». 10 Allora Gesù gli disse: «Vattene, Satana, poiché sta scritto: "Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi il culto"».
11 Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli si avvicinarono a lui e lo servivano.
Matteo (4,1-11)

Diretta del primo discorso del papa dopo le dimissioni

http://video.repubblica.it/copertina/l-udienza-generale-del-papa-diretta-da-san-pietro/119307/117790?ref=HREA-1

lunedì 11 febbraio 2013

Anche il papa è umano

Mentre i politici rincorrono l’empatia accaparrandosi guance di bambini da accarezzare, adottando cuccioli e cimentandosi in gag più o meno riuscite, Benedetto XVI, per la prima volta, mostra con fatica e pudore la propria umanità. Ecco le parole di dimissioni tradotte dal latino:
«Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa»
«Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo; vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».
«Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro».
L’empatia, quella vera, ha un costo.

lunedì 4 febbraio 2013

#propostashock. Berlusconi, come Dio dopo il diluvio, pone il suo arco sulle nubi e risarcisce l’Imu

Silvio Berlusconi è Dio. Proprio così. La proposta choc di ieri lo ha portato dritto, dritto nel firmamento.

Rileggiamone il testo, perché è un capolavoro nella costruzione, nella scelta delle parole, nella creazione della suspence:
“Sentiamo tuttavia, che con tutto quello che è successo e sta succedendo, serve qualcosa di più. Serve, come dire, un atto di sutura, un atto di avvicinamento, un atto di ricucitura civile, un atto di pace dallo Stato e dal fisco verso le nostre famiglie, direi un atto simbolico ma concretissimo che apra una pagina nuova, che ridia la fiducia dei cittadini nello Stato, che consenta cioè di instaurare un rapporto nuovo tra lo Stato e i suoi cittadini. Qualcosa che ho scritto qui dopo averci pensato. Ho pensato a quel che davvero è necessario per il nostro Paese. Un atto che consenta un nuovo inizio. E allora, e allora, nel nostro primo Consiglio dei Ministri delibereremo come risarcimento per un imposizione sbagliata e ingiusta dello Stato la restituzione dell’Imu sulla prima casa pagata dai cittadini nel 2012. I vostri applausi, la vostra standing ovation dimostra che avete capito bene. Le famiglie italiane saranno rimborsate di quanto versato per l’Imu.” Video

Colpisce l’anafora: la ripetizione di “un atto” per sei volte. Segue un ossimoro, una coppia di parole volutamente antitetiche: “un atto simbolico ma concretissimo”.
Poi, l’attribuzione di un’aura di sacralità al proprio dire: “qualcosa che ho scritto qui”. Non sono quindi parole gettate al vento, ma sono parole scritte come i dieci comandamenti.
Infine, arriva il punto culminante della climax, della progressione di parole che sale per intensità e viene introdotta dall’anafora: un atto di “sutura”, “avvicinamento”, “ricucitura”, “pace”; un atto che apra una “pagina nuova”, un atto che consenta “un nuovo inizio”.

È la “nuova alleanza” tra Stato e cittadini, dopo il diluvio universale dell’Imu:
“Dio disse:
«Questo è il segno dell’alleanza,
che io pongo tra me e voi
e ogni essere vivente che è con voi,
per tutte le generazioni future.
Pongo il mio arco sulle nubi,
perché sia il segno dell’alleanza
tra me e la terra»
Genesi 9,12

E Berlusconi disse: “sia risarcito l’Imu”. E risarcito fu?

giovedì 24 gennaio 2013

A e B. L'argomento bomba di Lincoln contro la schiavitù

Come si fa a spiegare a qualcuno che la festa è finita? Che il lavoro va pagato e che quel "negro" che sgobba per te dalla mattina alla sera è un essere umano? Si può fare appello al senso della giustizia, all'etica, alla religione. Oppure a una dimostrazione di sapore logico-matematico, capace di insinuare un dubbio spaventoso: quel "negro", un giorno neanche troppo lontano, potresti essere tu.

"Lincoln" il film di Spielberg dedicato al sedicesimo Presidente degli Stati Uniti, porta la nostra attenzione sull'uomo che nel 1865 ha posto fine alla schiavitù, grazie al tredicesimo emendamento della Costituzione americana. Il film pone l'accento sulla raffinatezza politica del Presidente e sulla sua abilità persuasiva. La dimostrazione logico-matematica contro la schiavitù ne rappresenta un esempio magistrale. Se vuoi sapere qual è leggimi su Huffington:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/a-e-b-largomento-bomba-di_b_2533727.html

domenica 20 gennaio 2013

Berlusconi, Monti e l'argomentazione dell'Agnus Dei

La politica come sacrificio, come atto estremo di altruismo nei confronti dei cittadini, come martirio.

È un'argomentazione che abbiamo ascoltato più volte in questi giorni intensi di campagna elettorale. Immolato ai lavori forzati è Silvio Berlusconi che, nella sua tournée televisiva, non perde occasione per sottolineare come avrebbe potuto vivere un'esistenza florida e piena di soddisfazioni se non si fosse sentito "costretto" a scendere in campo per la sesta volta.

Ma l''argomentazione dell'Agnello di Dio non è una prerogativa dell'abilità comunicativa berlusconiana. Anche nell'austero e controllato Monti style si ritrova il segno indelebile dell'immolazione personale, per salvare i cittadini dal baratro della crisi e dalla fine della Grecia.

Se vuoi saperne di più, leggi:
http://www.huffingtonpost.it/flavia-trupia/berlusconi-monti-e-largom_b_2493719.html

venerdì 11 gennaio 2013

Incredibile! Berlusconi si è auto-affibbiato il peggiore degli aggettivi: “vecchio”

Un Berlusconi mai visto, ieri, a Servizio pubblico. Un Cavaliere che ha saputo aggiungere alla ben nota padronanza assoluta del mezzo televisivo la capacità di essere autoironico. Dote che – fino a oggi – ci era completamente sfuggita. Imperdonabile.

All’inizio della trasmissione, ha ammesso di meritare un aggettivo che pensavamo temesse più del temibile combinato di piattole, tigna e peste bubbonica: l’aggettivo “vecchio”. Ebbene sì, Silvio Berlusconi in persona, ieri, giovedì 10 gennaio 2013, di fronte a milioni di persone, ha ammesso di essere… “vecchio”. Dichiarazione non facile per un uomo che ha fatto del tappo bruciato per colorarsi il cranio il migliore e inseparabile amico. Passi per “corruttore”, “evasore”, “utilizzatore finale”, ma vecchio…

Eppure, ieri sera, è successo. Lamentandosi di non riuscire a sentire bene lo ha ammesso:
“C’è un’acustica strana, per cui non mi, non… O sono vecchio, per cui sono diventato anche sordo…”
Santoro non si è fatto sfuggire l’occasione:
“Anche chiamandosi Silvio Berlusconi, a un certo punto…”

L’autoironia del Cavaliere non si è limitata a questa battuta, ma ha proseguito in un altro campo nel quale Silvio, da bravo imprenditore, non ha mai brillato per umorismo: la “saccoccia”, cioè i soldi che - inesorabilmente, tutti i mesi – dovranno prendere il volo dalla tasca del Cavaliere per planare nel portafogli di coccodrillo della ex moglie Veronica Lario che – in un non lontano 31 gennaio 2007 – ha pensato bene di sputtanarlo urbi et orbi dalle pagine di Repubblica.

La verve ironica di Berlusconi lo ha addirittura portato a chiamare i denari, utilizzando un lezioso baby talk: “dindi”, proprio come un grazioso nonnetto che parla con i nipotini:

Berlusconi rivolto a Santoro: “Lei è il leader della trasmissione, quindi è lei che guadagna i dindi facendo quello che sta facendo. Io sono qui gratis.”
Santoro: “E ci mancherebbe, no, che facessi guadagnare lei anche stando a La7.”
Berlusconi: “Guardi che io ho tanto bisogno di guadagnare, perché ogni giorno devo dare a una signora, che è stata mia moglie, io mi esprimo in lire, 200 milioni di lire al giorno!”

Insomma Berlusconi ha giocato il ruolo del simpaticone che si divertiva un sacco. Il cavaliere sembrava averne fatto un punto d’onore, dopo che i bookmaker nazionali e internazionali avevano scommesso che si sarebbe alzato e avrebbe lasciato la trasmissione stizzito. E invece no:
“Ma le sembra che sono arrabbiato? Mi sto divertendo.” E via sorrisi su sorrisi.

È una climax, una scala. Sempre di più. Silvio Berlusconi non solo non ha perso le staffe, ma ha improvvisato numeri da cabaret, come quando, con le movenze di un comico navigato, ha pulito la sedia sulla quale era stato seduto il suo nemico giurato di sempre: Marco Travaglio. 

Ci è sembrato di scorgere un testo in sovraimpressione, nell’immaginario dispaly della fronte berlusconiana: “non ci sperate, comunisti del ca…, non vi libererete facilmente di me.” Silvio is back.