venerdì 25 marzo 2011

Presentazione di Discorsi potenti a Bruxelles


Programma

Reading da a cura di Emiliano Masala e Dominique Pattuelli

Intervengono:

Graham Watson, deputato del Parlamento Europeo

Andrea Pierucci, Professore di organizzazione politica europea, Università di Napoli L’Orientale

Modera Barbara Roffi

Sarà presente l’autrice

lunedì 21 marzo 2011

Bertrand Russel. Nel libretto pubblicato con L’Espresso, un incipit magistrale

Affrontare il foglio bianco è il dramma di tutti noi. In particolare, in un discorso l’attacco - l’incipit - è cruciale: è la chiave per attirare l’attenzione dell’uditorio.

Nel libretto uscito questa settimana con il settimanale L’Espresso è pubblicato un discorso contro la corsa agli armamenti nucleari, che il filosofo britannico Bertrand Russel pronunciò nel 1954 alla Bbc.

L’incipit è geniale:
«In questa circostanza non parlerò come cittadino britannico, europeo o di una democrazia occidentale, ma come essere umano, membro della specie Uomo, la cui sopravvivenza è ora messa in dubbio.

Il mondo è pieno di conflitti: quello tra ebrei e arabi, indiani e pachistani, bianchi e neri in Africa e, al di sopra di tutti i conflitti minori, la lotta titanica tra comunismo e anticomunismo.

Quasi tutti coloro che hanno una coscienza politica nutrono profonde convinzioni riguardo a uno o più di tali questioni, ma ora, se vi è possibile, vorrei che lasciaste da parte queste convinzioni e vi consideraste semplicemente membri di una specie biologica con una storia importante alle spalle e di cui nessuno di noi può desiderare la scomparsa.»

Potente, vero?

venerdì 18 marzo 2011

Napolitano 2: il discorso per l’Unità d’Italia è in stile risorgimentale, ma non mancano messaggi chiari e contemporanei


Essere aulici e ricercati non vuol dire essere poco chiari. Lo dimostra il presidente della repubblica con il suo raffinato discorso pronunciato ieri a Montecitorio in occasione della celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

Dal raffinato eloquio di Napolitano (vedi post precedente) emergono argomentazioni precise. Ne cito alcune:

• la nascita dello Stato nazionale ha rappresento una spinta verso il progresso:
«Entrammo, così, insieme, nella modernità, rimuovendo le barriere che ci precludevano quell'ingresso.»

• il federalismo deve rafforzare l’unità italiana, non indebolirla:
«E oggi dell'unificazione celebriamo l'anniversario vedendo l'attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un'evoluzione in senso federalistico - e non solo nel campo finanziario - potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell'unità nazionale. E' tale rafforzamento, e non il suo contrario, l'autentico fine da perseguire.»

• Il Mezzogiorno rappresenta un’opportunità per lo sviluppo del Paese:
«pesa altresì l'oscurarsi della consapevolezza delle potenzialità che il Mezzogiorno offre per un nuovo sviluppo complessivo del paese e che sarebbe fatale per tutti non saper valorizzare.»

• Non esiste futuro e progresso senza unità:
«Reggeremo - in questo gran mare aperto - alle prove che ci attendono, come abbiamo fatto in momenti cruciali del passato, perché disponiamo anche oggi di grandi riserve di risorse umane e morali. Ma ci riusciremo ad una condizione: che operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità.»
Bello il cemento: metafora potente!

Napolitano 1: il discorso per l’Unità d’Italia è in stile risorgimentale


Solenne e imponente il discorso (testo) pronunciato ieri a Montecitorio dal presidente della Repubblica, in occasione della celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

Un'oratoria che potremmo definire risorgimentale. Napolitano, nella sua allocuzione, ripercorre la storia italiana dall’unità d’Italia ai nostri giorni. Cita passi tratti dai protagonisti di quel periodo storico – come Cavour e Mazzini – il cui stile non si discosta da quello del discorso presidenziale.

È risorgimentale la scelta delle parole e la loro posizione nel periodo, con l’aggettivo posto prima del nome che costruisce un epiteto:
«luminosa evidenza»; «suprema pazienza»; «fortificanti motivi»; «generosa utopia».

È risorgimentale l’uso del passato remoto, ormai ingiustamente trascurato nel linguaggio comune e nei discorsi pubblici:
«Fu dunque la consapevolezza di basilari interessi e pressanti esigenze comuni, e fu, insieme, una possente aspirazione alla libertà e all’indipendenza, che condussero all’impegno di schiere di patrioti – aristocratici, borghesi, operai e popolani, persone colte e incolte, monarchi e repubblicani – nelle battaglie per l’unificazione nazionale.»

È risorgimentale il periodo ricco di incisi:
«Una formidabile galleria di ingegni e di personalità - quelle femminili fino a ieri non abbastanza studiate e ricordate - di uomini di pensiero e d'azione. A cominciare, s'intende, dai maggiori: si pensi, non solo a quale impronta fissata nella storia, ma a quale lascito cui attingere ancora con rinnovato fervore di studi e generale interesse, rappresentino il mito mondiale, senza eguali - che non era artificiosa leggenda - di Giuseppe Garibaldi, e le diverse, egualmente grandi eredità di Cavour, di Mazzini e di Cattaneo.»

Un’oratoria antica ed elegante nella quale non mancano, però, argomentazioni straordinariamente precise e contemporanee, che troverete nel prossimo post (Napolitano 2).

lunedì 14 marzo 2011

John Kennedy 3. Nel libretto pubblicato con L’Espresso, inventare una nuova espressione per passare alla storia: la «nuova frontiera»


Arrivo al punto chiave del discorso di John Kennedy alla Convention nazionale democratica del 1960: la «nuova frontiera» (new frontier).
L’espressione è il punto culminante e il filo conduttore dell’intera allocuzione.

Con «frontiera» Kennedy fa riferimento ai pionieri americani che, nell’Ottocento, si sono spinti alla conquista dell’ovest del Paese: il Far West.

La «nuova frontiera» è quella degli anni Sessanta con le sfide della modernità: «E io vi dico che la nuova frontiera è qui, che noi la cerchiamo oppure no. Al di là si trovano i territori inesplorati della scienza e dello spazio, i problemi irrisolti della pace e della guerra, le sacche non debellate dell’ignoranza e del pregiudizio, le questioni irrisolte della povertà e della sovrapproduzione.

Sarebbe più facile ritirarsi da quella frontiera, per guardare alla sicura mediocrità del passato, per cullarci nelle buone intenzioni e nella retorica delle belle parole, e chi preferisce quella strada non dovrebbe votare per me, qualunque sia il suo partito politico.»

La strategia linguistica di attribuire una definizione originale a un concetto o a un’idea si rivela quasi sempre efficace. Tale pratica ha un interessante risvolto mediatico, perché i mezzi d’informazione sono particolarmente ricettivi nei confronti di formule e slogan e l’opinione pubblica tende a memorizzarli a farli propri.

Un esempio illustre è l’enunciazione «Una casa divisa non può stare in piedi»,
pronunciata da Abramo Lincoln nel 1858, per sostenere la necessità di unire l’America divisa dalla schiavitù.

Tornando a tempi più recenti, chi non ricorda lo «Yes we can» usato nel 2008 da Barack Obama nel corso delle primarie americane. Lo slogan ha avuto un effetto eco formidabile anche grazie will.i.am, il fondatore e produttore del gruppo pop rap Black Eyed Peas, che ne ha fatto una canzone scaricabile su youtube.com e dipdive.com.

Anche in Italia abbiamo esempi simili. Silvio Berlusconi ha lanciato lo slogan «L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio», a seguito dell’aggressione ricevuta il 13 dicembre 2010 a Milano dallo squilibrato Massimo Tartaglia. Lo slogan è diventato il titolo di un libro e il messaggio chiave della manifestazione organizzata dal Popolo della Libertà il 20 marzo a Piazza San Giovanni a Roma.

John Kennedy 2. Nel libretto pubblicato con L’Espresso, il futuro è un calembour


Senza esagerare: è la premessa delle premesse. Senza esagerare, dicevo, nei discorsi è possibile usare qualche gioco di parole per facilitare la memorizzazione, per dare ritmo alla frase o per colpire il pubblico con la nostra arguzia.

Nel discorso pronunciato nel 1960 da John Kennedy alla Convention nazionale democratica troviamo un passaggio che si conclude con un riuscito gioco di parole sul tema del futuro.

«Una nazione organizzata e governata come la nostra è in grado o no di durare? Questo è il dilemma sostanziale. Ne abbiamo o non ne abbiamo la volontà e la forza d’animo? Siamo o no in grado di superare un’epoca nella quale assisteremo non solo a novità rivoluzionarie nel campo degli armamenti più distruttivi, ma anche a una gara per il dominio del cielo e della pioggia, degli oceani e delle maree, delle remote profondità dello spazio e degli intimi recessi delle menti umane? Siamo davvero capaci di questo? Siamo davvero all’altezza della situazione? Siamo davvero decisi a sacrificare anche noi il presente al futuro come fanno i russi, o dobbiamo sacrificare il nostro futuro per goderci il presente?»

Ecco un gioco di parole, una sorta di calembour. J’adore.

John Kennedy 1. Nel libretto pubblicato con L’Espresso, la preterizione di chi dice di non voler parlare male ma la fa


Mi tengo ancora qualche giorno fuori dalla politica nostrana per seguire le pubblicazioni de L’Espresso. Questa settimana il libretto uscito con il settimanale riporta alcuni tra i più famosi discorsi di John e Robert Kennedy.

Prendo in considerazione l’allocuzione alla Convention nazionale democratica tenuta da John Kennedy a Los Angeles nel luglio 1960. Per intenderci, è il discorso in cui l’allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti usa la ben nota espressione «nuova frontiera» (new frontier).

Tratterò la metafora «nuova frontiera» nel post John Kennedy 3, perché vorrei andare per ordine e segnalare qui un altro passaggio interessante, che è presente nello stesso discorso: una bella preterizione.

È una figura logica che permette all’oratore di fingere di voler tacere di un argomento, nel momento stesso in cui ne sta parlando.

La preterizione è presente nel linguaggio quotidiano, soprattutto quando si vuole dimostrare bontà d’animo o superiorità, senza però privarsi della soddisfazione di lanciare qualche frecciatina avvelenata. Un esempio:

«non voglio parlare di quanto sia spilorcio, incapace e puzzolente il mio collega Mario Rossi, perché sono una persona che odia i pettegolezzi».

Nel discorso alla Convention nazionale democratica, Kennedy usa una sofisticata preterizione per demolire il suo avversario Nixon e il partito repubblicano, in quel momento al potere:

«Noi tuttavia non stiamo solamente gareggiando contro il signor Nixon. Il nostro compito non è solamente quello di fare l’elenco degli insuccessi dei repubblicani. Cosa che poi non è affatto necessaria. Perché le famiglie cacciate dalle campagne sapranno per chi votare, senza che noi glielo diciamo. I minatori e gli operai tessili rimasti senza lavoro sapranno come votare. Gli anziani rimasti senza assistenza sanitaria, le famiglie senza una casa decorosa, i genitori senza possibilità di nutrire e istruire adeguatamente i loro figli, sanno tutti che è arrivato il momento di cambiare.»

Questo passaggio porta a una metafora potente, diretta conseguenza della preterizione appena citata:

«Siamo qui non per lamentarci del buio, ma per accendere la candela che ci può guidare attraverso quel buio, verso un futuro che ci veda sani e salvi.»

giovedì 10 marzo 2011

Presentazione di Discorsi potenti a Bruxelles, 30 marzo, Piola book shop

Il 30 marzo alle 18,27 (sì, 27: è un'abitudine della libreria) presenterò Discorsi potenti a Bruxelles alla libreria Piola, 66-68 rue Franklin.

Programma

Reading da Barroso, Blair, Clinton, Merkel, Luther King, Obama, Rosaria Schifani
a cura di Emiliano Masala e Dominique Pattuelli

Intervengono:

Graham Watson
, deputato del Parlamento Europeo

Andrea Pierucci, Professore di organizzazione politica europea, Università di Napoli L’Orientale

Modera Barbara Roffi


Ovviamente ci sarò anche io.


www.piolalibri.be/en_events.php

sabato 5 marzo 2011

Mandela 2: nel libretto pubblicato con L’Espresso, il locus amoenus del discorso di insediamento del 1994


Nel discorso di insediamento come presidente della Repubblica del Sudafrica, Mandela ci regala il topos letterario del locus amoenus: un luogo ideale e felice in cui l’uomo vive senza contrasti.

Il topos assume un particolare valore in una terra che ha vissuto la segregazione e la miseria ed è stata locus terribilis, l’esatto contrario del locus amoenus.

Il topos del locus amoenus, nella letteratura e nell’arte, è rappresentato dalla descrizione di una natura piacevole e rigenerante.

Ecco il locus amoenus nel discorso di insediamento di Mandela:

«Ai miei compatrioti posso dire, senza timore di sbagliare, che ciascuno di noi è intimamente legato alla terra di questo bel paese quanto lo sono i famosi alberi di jacaranda di Pretoria e le mimose di Bushveld. Ogni volta che uno di noi tocca questa terra avverte un senso personale di rinnovamento. L’umore dell’intera nazione cambia con l’alternarsi delle stagioni.
Una sensazione di gioia e di euforia ci pervade quando l’erba diventa verde e i fiori sbocciano»

Un espediente narrativo classico, come il locus amoenus, può assumere un significato nuovo e fresco, se attualizzato e contestualizzato. Il discorso di Mandela ne è la prova.

Mandela 1: nel libretto pubblicato con L’Espresso, la libertà bambina e la prosopopea del discorso di insediamento del 1994


Approfitto dell’iniziativa de L’Espresso per distrarmi dall’osservazione dei botta e risposta dell’attualità politica italiana e gettare uno sguardo ai discorsi potenti della contemporaneità.

Il libretto “Un mondo senza apartheid” riporta il discorso di insediamento di Mandela del maggio 1994.

Dopo quasi trent’anni di prigionia e una lunga campagna elettorale, Mandela vince le elezioni e diventa il primo presidente nero del Sudafrica.

Nel discorso di insediamento il suo pensiero si rivolge alla
«libertà appena nata».

Il concetto «libertà» viene identificato con una persona, una bambina neonata, da proteggere, rispettare e far crescere.

È una prosopopea, una figura retorica frequente nella letteratura. Nei romanzi, nei racconti, nelle poesie i concetti e gli esseri inanimati o animati – come gli animali - diventano persone e, spesso, acquisiscono il dono della parola.

Giosuè Carducci in Rime nuove (“Davanti a San Guido”) fa parlare i cipressi:

«Intesi allora che i cipressi e il sole / una gentile pietade avean di me, / e presto il mormorio si fe’ parole: / - Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se’»

La libertà che diventa neonata è una strategia linguistica felice per far vivere, attraverso poche parole, l’importanza di una conquista così grande per il popolo del Sudafrica e per il mondo.

mercoledì 2 marzo 2011

L'Espresso: una collana con i discorsi dei grandi

Per chi ama i grandi discorsi come me, segnalo un'interessante iniziativa de L'Espresso.

A partire dal 4 marzo, il settimanale distribuisce una collana di libri con i discorsi di grandi uomini dei nostri giorni. Tra i primi in uscita, Mandela e Kennedy.