mercoledì 26 settembre 2012

La Polverini riforma la grammatica: «Questa gente la mando a casa io.» Ma non era lei la mandata a casa?

La mandata a casa diventa colei che manda casa. Da oggetto a soggetto del discorso. È la straordinaria riforma grammaticale operata dall’ex governatrice della Regione Lazio Renata Polverini nei manifesti con i quali ieri ha tappezzato Roma.

«Questa gente la mando a casa io.»

Ma non era lei che era stata mandata a casa? Goffo tentativo di recuperare uno straccio di verginità.

martedì 25 settembre 2012

Matteo Renzi, ieri sera a Roma, va oltre la rottamazione

Gli slogan sono un’arma a doppio taglio. Offrono il favore della riconoscibilità ma rischiano di ingabbiare in un cliché il personaggio cui sono legati. Lo sa bene Matteo Renzi, sfidante alle primarie del Pd, che cerca di non farsi intrappolare dalla felice, ma potenzialmente asfittica, trovata della “rottamazione” (vedi post del 9 novembre 2010).

Ieri sera a Roma - in un Auditorium della Conciliazione strapieno in cui campeggiava un’enorme scritta “Adesso!” - Renzi ha orientato il suo sforzo argomentativo su un concetto: la rottamazione è un punto di partenza, non di arrivo. L’”Adesso!-pensiero” non si riduce alla distruzione del passato ma guarda alla costruzione del futuro.

L’equazione Renzi = rottamatore ha funzionato alla grande, facendo salire il sindaco di Firenze agli onori della politica nazionale. Ma era necessario un passo avanti, una via di uscita per evitare di scivolare nel magma dell’antipolitica.

La via scelta da Matteo è il “futuro”. Un tema che rischia, tuttavia, di essere terribilmente generico se non viene riempito di una progettualità puntuale. Lo sforzo di Renzi, ieri sera, è stato quello di concentrarsi su questa progettualità, fatta di Stati Uniti di Europa, di nuove regole per il merito, di razionalizzazione (non riduzione) della spesa pubblica e così via.

Se (se!) Renzi continuerà su questa strada, anche con qualche impopolare ma chiara presa di posizione, darà filo da torcere ai suoi avversari. Attento, Bersani.

domenica 16 settembre 2012

Matteo Renzi, a Verona, non ha paura di sbagliare il calcio di rigore


Renzi, il profeta del “nuovo”, ha pronunciato a Verona il discorso della discesa in campo. Ha parlato in maniche di camicia, dietro a un podio con la scritta «ADESSO!», lo slogan scelto per accompagnare la corsa alla premiership.

L’allocuzione ha un’impalcatura retorica e narrativa tutt’altro che casuale, malgrado Renzi dichiari di averla preparata all’ultimo momento:

«Ho scritto il discorso dopo aver messo a letto i bambini. […] Per una volta, volevo scriverlo l’intervento.»

Bill Clinton non ha fatto mistero di aver impiegato tutta l’estate per scrivere, riscrivere e limare il suo intervento alla Convention del partito democratico di Charlotte (post del 6 settembre); Steve Jobs provava le sue presentazioni decine di volte, prima di infilarsi il maglioncino nero e i Levi’s e salire sul palco. Malgrado questi precedenti, Renzi sceglie di ostentare disinvoltura nell’affrontare un compito tutt’altro che semplice. Dimostrare naturalezza nel fare cose difficili è una “sprezzatura”. Ne sono maestre le ballerine o le atlete del nuoto sincronizzato che sorridono apparentemente beate, mentre fanno una fatica nera nell’eseguire coreografie massacranti. Baldesar Castiglione ne Il libro del cortegiano teorizza questa abilità: «per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia» (Castiglione, 1965, orig. 1528).

L’intero discorso di Verona prende spunto da un video che ripercorre gli ultimi 25 anni della nostra storia. Sembra un innocuo amarcord, ma non lo è. Il trentasettenne Renzi sta armando i cannoni per assestare un paio di bordate ai danni del nemico numero uno: il “vecchio”, riferito ai rottamabili Bersani, D’Alema, Berlusconi e alle altrettanto rottamabili correnti e correntine di partito.

«Loro [i miei figli] farebbero fatica anche a credere che 25 anni fa stavamo senza telefonino.»

Ed ecco che arriva la prima bordata, condita di sarcasmo:

«Se guardo a 25 anni fa, persino i loghi e i nomi dei partiti erano completamente diversi. I leader no. Sono rimasti gli stessi per farci un servizio, per darci la certezza di qualche punto di riferimento in una cornice che cambia [applauso]». Boom.

Il colpo è apparentemente (ma solo apparentemente) attenuato da un’affermazione che contiene un espediente super classico della retorica: la preterizione.

«Oggi noi siamo qui non per parlare dei leader di allora. Siamo qui per puntare il compasso e per girarlo dall’altra parte.»

Non è lì per parlarne, ma ne parla eccome! Anzi, è proprio questo l’oggetto del discorso; è esattamente questo il “posizionamento” (come lo chiamano gli esperti di marketing) del candidato premier Matteo Renzi che sfida i fossili della politica, invitandoli cordialmente a togliersi dai piedi. La preterizione, vi ricordate? L’abbiamo studiata a scuola. È una figura che consiste nel dichiarare che si ometterà di parlare di qualcosa o qualcuno, per poi in realtà parlarne. Nel Canzoniere Petrarca scrive “Cesare taccio che per ogni piaggia/fece l’erbe sanguigne/di lor vene, ove il nostro ferro mise”. (Il poeta si riferiva alle battaglie di Cesare contro i barbari, Italia mia, ben che il parlar sia indarno, Il Canzoniere, 1374).

Malgrado la dichiarazione di voler evitare di parlare dei vecchi politici, Renzi insiste lanciando una seconda bordata. Ari-boom:

«Possiamo candidarci senza portare la giustificazione. Siamo gli unici che non devono portare la giustificazione, raccontare cosa hanno fatto in questi ultimi 25 anni. Perché, mentre loro erano in Parlamento, noi andavamo all’asilo. Mentre loro erano in Parlamento noi cercavamo di combattere contro un sistema educativo, quello scolastico, che, a parole, è sempre stato la centralità del Paese e che, in realtà, è sempre stato considerato ai margini di un investimento educativo, se non dai Comuni. […] Lo Stato ha troppo spesso perduto delle occasioni. Pensate a quanto poteva essere diversa l’Italia se, in questi 25 anni, avessimo avuto la forza e l’intelligenza di scommettere su un’economia della conoscenza basata sul capitale umano [applauso].»

Renzi conclude l’intemerata con una seconda preterizione dal tono biblico (Ecclesiaste 3, vedi il post del 12 settembre):

«Ma non è il tempo del rimpianto e della nostalgia. È il tempo della costruzione.»

Il tempo della costruzione è in seguito sintetizzato da tre parole, che assumono il valore di uno slogan:

«Futuro, Europa, merito.»

Nel corso del suo intervento, Renzi ricorda più volte la sua capacità pratica e la sua lontananza dalle “vecchie” logiche di Palazzo. Per sottolineare il concetto usa diversi espedienti dell’arte del dire. Tra questi, la metafora – secondo me felice - del “pianeta delle chiacchiere”:

«Noi, signori, non veniamo dal pianeta delle chiacchiere. Siamo sindaci, siamo amministratori.»

Il concetto è sottolineato anche dall’associazione della parola “Italia” con i nomi propri di cittadini che la abitano, dei quali Renzi racconta gli aneddoti da esperto story teller. Un paio di esempi:

«Questa è l’Italia che si trova davanti al Bivio Teresa, che è una ragazza che fa l’avvocatessa a Bari… mamma di due figli. Decide di lasciare la professione per mettersi in gioco come insegnante. Va a fare il proprio test e vede, come tanti altri, che i test sono tutti sbagliati […]. È l’Italia di Carla che, al termine di una festa democratica […], mi dice: “io non ho paura del merito – è un’impiegata pubblica – dammelo il merito, ma dammelo davvero il merito. Non mettermi un principio di merito e poi il mio dirigente dà a tutti le stesse valutazioni, così non si rompe le scatole e non si mette in discussione”.»

Matteo Renzi afferma la sua visione politica ispirata alla collaborazione, riferendosi esplicitamente ai “Mobama”, la macchina da guerra politica formata da Barack e Michelle.

«Io non credo che il modello culturale della politica sia il “ghe pensi mi”: “lasciate fare a me”. Io ho avuto successo nella vita, io risolverò i problemi degli altri. Il modello è quello del “tocca a noi”, non del “ghe pensi mi”. Il vero successo – ha detto Michelle Obama alla convention dei democratici a Charlotte […] – il vero successo non è quanti soldi hai fatto. Il vero successo è riuscire a fare la differenza nella vita degli altri.»

L’allusione, non troppo velata, riporta allo storico discorso che, nel 1994, ha segnato la discesa in campo di Berlusconi: «Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.»

Tra le tante metafore usate da Renzi non manca quella calcistica, della quale di serve nella fase conclusiva del discorso:

«Spero che mio figlio, tra qualche anno, comunque vada questa sfida, sappia che suo padre non ha avuto paura di vivere una sfida controvento e spero che sappia che nella vita di tutti noi arriva un momento il cui il vero rischio è non tirare il calcio di rigore, non sbagliarlo, il vero rischio è restare in panchina.»

“Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore”, cantava De Gregori. Ma Matteo non ha paura.

 

Guarda il video.

mercoledì 12 settembre 2012

Slogan elettorali: “Forward” di Obama, “We built it” di Romney, “A time for greatness” di JF Kennedy

Gli americani sono maestri nella creazione di slogan elettorali. Quello della campagna 2012 di Obama è “Forward”.

Le giornate della convention repubblicana di Romney, invece, sono state contraddistinte da tre temi, uno al giorno:
“We believe in America
“We can do better”
“We built it”

Ho ritrovato un poster elettorale di Kennedy del 1960. Lo slogan ha un sapore biblico (Ecclesiaste 3):
“A time for greatness”

There is a time for everything,
and a season for every activity under the heavens:
a time to be born and a time to die,
a time to plant and a time to uproot,
a time to kill and a time to heal,
a time to tear down and a time to build,
a time to weep and a time to laugh,
a time to mourn and a time to dance […]

venerdì 7 settembre 2012

Obama accetta la candidatura alle presidenziali Usa e riafferma il “basic bargain”: lavora duro e avrai la tua opportunità

L’oratore Obama non perde il suo smalto e la sua grinta. Ieri sera alla convention di Charlotte ha formalmente accettato la candidatura alla elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America.
La sua entrata sul palco è preannunciata dalla moglie Michelle:
«Sono emozionata, onorata e fiera di presentare l’amore della mia vita, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama.»

Barack guadagna la scena e Michelle lo abbraccia, sussurrandogli qualcosa nell’orecchio, poi si siede in prima fila con le figlie Malia e Sasha.

Obama è sicuro come sempre. La testa alta e lo sguardo lontano che sfida il modo. La platea urla in coro «Four more years, four more years, four more years». Ancora quattro anni.

La speranza è il primo tema affrontato nel discorso, con un esplicito riferimento al messaggio chiave che ha contraddistinto l’ispirazione politica di Obama: «The audacity of hope», il coraggio della speranza.

Uno slogan che i repubblicani stanno usando come arma contro l’attuale presidente, tacciando di scarsa concretezza la sua politica. Obama vuole sgombrare subito il campo e scrollarsi di dosso l’accusa di sognatore velleitario e inconcludente:

«Now, the first time I addressed this convention in 2004, I was a younger man; a Senate candidate from Illinois who spoke about hope, not blind optimism or wishful thinking, but hope in the face of difficulty; hope in the face of uncertainty…» [La prima volta che ho parlato in questa convention nel 2004 ero un uomo più giovane, un candidato al Senato dell'Illinois che parlava di speranza, non di cieco ottimismo o di utopie; di speranza di fronte alle difficoltà, di speranza di fronte all'incertezza.]

Segue la tesi principale del discorso. I cittadini, attraverso il voto, sono chiamati a scegliere una strada, una visione del mondo, un’idea di cosa sia veramente il sogno americano:
«And on every issue, the choice you face won’t be just between two candidates or two parties. It will be a choice between two different paths for America. A choice between two fundamentally different visions for the future. Ours is a fight to restore the values that built the largest middle class and the strongest economy the world has ever known.» [E su ogni questione, la scelta che farete non sarà solo tra due candidati o due partiti. Sarà una scelta tra due diverse strade per l'America. Una scelta tra due visioni completamente diverse del futuro. La nostra è una lotta per ripristinare i valori che hanno costruito la più grande classe media e l'economia più forte che il mondo abbia mai conosciuto.]
L’American dream prende la forma del basic bargain (il patto fondamentale) e Barack le sembianze del cavaliere che lo difende dagli attacchi nemici. È il “patto” il cuore dell’argomentazione di Obama:
«My grandparents were given the chance to go to college, buy their own -- their -- their own home, and fulfill the basic bargain at the heart of America’s story: the promise that hard work will pay off; that responsibility will be rewarded; that everyone gets a fair shot, and everyone plays by the same rules, from Main Street to Wall Street to Washington, D.C. And I ran for President because I saw that basic bargain slipping away.» [I miei nonni hanno avuto la possibilità di andare al college, di comprare la propria casa e adempiere al patto fondamentale al centro della storia americana: la promessa che il duro lavoro pagherà, che la responsabilità sarà premiata; che ognuno ha un’opportunità e tutti giocano con le stesse regole, da Main Street a Wall Street a Washington, DC. Ho scelto di correre per la presidenza perché ho visto il rischio che il patto fondamentale svanisse.]
Solo dopo questa lunga introduzione, Obama pronuncia lo slogan della campagna 2012: «Forward.». Avanti! Uno messaggio che contiene una presupposizione linguistica: gli Usa di Barack hanno intrapreso la strada giusta, ma il cammino da fare è ancora lungo e accidentato. Si tratta di una formula felice, perché è assertiva e positiva ma non rinnega le difficoltà affrontate nel primo mandato e quelle da fronteggiare nell’eventuale secondo.
«I won’t pretend the path I’m offering is quick or easy. I never have. You didn’t elect me to tell you what you wanted to hear. You elected me to tell you the truth.» [Non voglio fingere che la strada che sto prospettando sia rapida o facile. Non l’ho mai fatto. Non mi avete eletto per dirvi quello che volevate sentirvi dire. Mi avete eletto per dirvi la verità.]
Nell’intero discorso ricorre il tentativo di coinvolgere direttamente l’uditorio, facendolo sentire protagonista e responsabile del futuro del Paese. Qualche esempio.
«We can help big factories and small businesses double their exports, and if we choose this path, we can create a million new manufacturing jobs in the next four years. You can make that happen. You can choose that future.» [Possiamo aiutare le grandi fabbriche e le piccole imprese a raddoppiare le loro esportazioni e, se si sceglie questa strada, siamo in grado di creare un milione di posti di lavoro nel manifatturiero nei prossimi quattro anni. Potete fare in modo che ciò accada. Potete scegliere questo futuro.]

«Help me recruit 100,000 math and science teachers within ten years, and improve early childhood education. Help give two million workers the chance to learn skills at their community college that will lead directly to a job. Help us work with colleges and universities to cut in half the growth of tuition costs over the next ten years. We can meet that goal together. You can choose that future for America.» [Aiutatemi ad assumere 100.000 insegnanti di scienze e matematica entro dieci anni, a migliorare l'istruzione della prima infanzia. Aiutatemi a dare a due milioni di lavoratori la possibilità di acquisire le competenze che porteranno direttamente a un posto di lavoro. Aiutatemi a lavorare con i college e le università per dimezzare la crescita dei costi di istruzione per i prossimi dieci anni. Siamo in grado di raggiungere questo obiettivo insieme. È possibile scegliere questo futuro per l'America.]

Molti i colpi di fioretto, le frasi memorabili da segnare sul diario del perfetto oratore. Ne segnalo due:
«And tonight, we pay tribute to the Americans who still serve in harm’s way. We are forever in debt to a generation whose sacrifice has made this country safer and more respected […]. When you take off the uniform, we will serve you as well as you’ve served us because no one who fights for this country should have to fight for a job, or a roof over their head, or the care that they need when they come home.» [E stasera, rendiamo omaggio ai soldati americani. Siamo in debito con una generazione il cui sacrificio ha reso questo Paese più sicuro e rispettato... Quando vi toglierete l'uniforme, a casa, vi serviremo così come voi avete servito noi. Faremo in modo che nessuna persona che combatte per questo Paese sia mai costretta a lottare per un posto di lavoro o per un tetto sulla testa o per le cure di cui ha bisogno.]
«We believe the little girl who’s offered an escape from poverty by a great teacher or a grant for college could become the next Steve Jobs, or the scientist who cures cancer, or the President of the United States, and it’s in our power to give her that chance.» [Crediamo che la bambina alla quale è stata offerta una via di fuga dalla povertà da un grande insegnante o una borsa di studio per il college può diventare il prossimo Steve Jobs o lo scienziato che trova la cura per il cancro o il presidente degli Stati Uniti. Ed è tra i nostri poteri darle questa opportunità.]
Il finale (explicit) ha il sapore di un passo della Bibbia, in linea con la tradizione oratoria segnata da Luther King:
« America, I never said this journey would be easy, and I won’t promise that now. Yes, our path is harder, but it leads to a better place. Yes our road is longer, but we travel it together. We don’t turn back. We leave no one behind. We pull each other up. We draw strength from our victories, and we learn from our mistakes, but we keep our eyes fixed on that distant horizon, knowing that Providence is with us, and that we are surely blessed to be citizens of the greatest nation on Earth.» [America, non ho mai detto che questo viaggio sarebbe stato facile, e non lo voglio promettere ora. , il nostro cammino è più difficile, ma conduce a un posto migliore. Sì, la nostra strada è più lunga, ma la percorreremo insieme. Noi non torniamo indietro. Non lasciamo indietro nessuno. Ci spingiamo a vicenda. Dobbiamo trarre la forza dalle nostre vittorie, imparare dai nostri errori e tenere gli occhi fissi su quel lontano orizzonte, sapendo che la Provvidenza è con noi, e che abbiamo la fortuna di essere i cittadini della più grande nazione sulla Terra.].
L’America di Obama, la Terra promessa.

Video

Ps Non sono una traduttrice. Se avete correzioni, sarò felice di accoglierle!

giovedì 6 settembre 2012

Convention democratica Usa. Bill Clinton, l’arte di essere semplici

Ci sono persone – poche - che hanno la capacità di esprimersi con le parole più semplici del mondo. Tra queste c’è Bill Clinton. Possiamo essere in accordo o in disaccordo sui contenuti, ma dobbiamo ammettere che l’arte oratoria è una sua prerogativa.

Ieri sera, alla convention democratica di Charlotte, ha supportato la candidatura di Obama con un impianto argomentativo ben costruito.

Ha replicato all’accusa secondo la quale i democratici sarebbero sognatori inconcludenti, affibbiando ai repubblicani l’etichetta di individualisti-egoisti:

«We Democrats think the country works better with a strong middle class, real opportunities for poor people to work their way into it and a relentless focus on the future, with business and government working together to promote growth and broadly shared prosperity. We think "we're all in this together" is a better philosophy than "you're on your own.» [Noi democratici pensiamo che il Paese funzioni meglio se ha una classe media forte; reali opportunità per i poveri di farsi strada; se esiste un'attenzione costante al futuro; se le imprese e il governo lavorano insieme per promuovere una crescita e una prosperità ampiamente condivise. Pensiamo che "siamo tutti sulla stessa barca" sia una filosofia migliore di "sei da solo”.]
Clinton ha, poi, affermato il valore dello Stato, scrollandosi di dosso le accuse di assistenzialismo, e il valore del compromesso come arte non come debolezza o inciucio.
«They think government is the enemy, and compromise is weakness. One of the main reasons America should re-elect President Obama is that he is still committed to cooperation. He appointed Republican secretaries of defense, the army and transportation. He appointed a vice president who ran against him in 2008 […]. He appointed Cabinet members who supported Hillary in the primaries. Heck, he even appointed Hillary.» [I repubblicani pensano che il Governo sia il nemico e che il compromesso sia una debolezza. Uno dei motivi principali per cui l'America dovrebbe rieleggere il presidente Obama è che è ancora impegnato nella collaborazione. Ha nominato repubblicani come segretari alla difesa, all’esercito e ai trasporti. Ha nominato un vice presidente che concorreva contro di lui nel 2008Ha nominato membri del Gabinetto che hanno sostenuto Hillary alle primarie. Diamine, ha anche nominato Hillary.]

Da oratore scaltro, offre una sua personale traduzione alle argomentazioni dei repubblicani alla convention di Tampa.
«In Tampa, the Republican argument against the president's re-election was pretty simple: we left him a total mess, he hasn't cleaned it up fast enough, so fire him and put us back in.» [A Tampa, l'argomentazione dei repubblicani contro la rielezione del presidente era abbastanza semplice: abbiamo lasciato un totale disastro e lui non è riuscito a metterlo a posto abbastanza velocemente, così lo licenziamo e torniamo noi.]
Mette in campo anche un vecchio giochetto retorico per dimostrare nuovamente che, non solo i democratici non sono sognatori inconcludenti, ma che i loro Governi hanno portato vantaggi economici al Paese. È il gioco del “punteggio” che ricorre tre volte nel discorso. Mi sembra però che Clinton interpreti i numeri con una buona dose di malizia.

«since 1961, the Republicans have held the White House 28 years, the Democrats 24. In those 52 years, our economy produced 66 million private sector jobs. What's the jobs score? Republicans 24 million, Democrats 42 million.» [… dal 1961, i repubblicani sono stati alla Casa Bianca 28 anni, i democratici 24. In questi 52 anni, la nostra economia ha prodotto 66 milioni di posti di lavoro nel settore privato. Qual è il punteggio? repubblicani 24 milioni, democratici 42milioni.]

«The Recovery Act saved and created millions of jobs and cut taxes for 95 percent of the American people. In the last 29 months the economy has produced about 4.5 million private sector jobs. But last year, the Republicans blocked the president's jobs plan costing the economy more than a million new jobs. So here's another jobs score: President Obama plus 4.5 million, congressional Republicans zero.» [Il Recovery Act ha salvato e creato milioni di posti di lavoro e tagliato le tasse del 95 per cento. Negli ultimi 29 mesi l'economia ha prodotto circa 4,5 milioni di posti di lavoro nel settore privato. Ma l'anno scorso, i repubblicani hanno bloccato il piano di lavoro del presidente, costando all'economia più di un milione di nuovi posti di lavoro. Quindi, ecco un altro punteggio: più 4,5 milioni per il presidente Obama, zero per i repubblicani del Congresso.]

«Now there are 250,000 more people working in the auto industry than the day the companies were restructured. Gov. Romney opposed the plan to save GM and Chrysler. So here's another jobs score: Obama 250,000, Romney, zero.» [Ora abbiamo più di 250.000 persone che lavorano nel settore delle auto dal giorno in cui sono state ristrutturate le aziende. Il governatore Romney era contrario al piano di salvataggio di GM e Chrysler. Quindi, ecco un altro punteggio: Obama 250.000, Romney, zero.]

Interessante l’appello finale, incentrato sui concetti della collaborazione e della creazione di una società dove il darwinismo sociale non ha ragione di esistere.
«My fellow Americans, you have to decide what kind of country you want to live in. If you want a “you're on your own”, “winner take all” society you should support the Republican ticket. If you want a country of shared opportunities and shared responsibilities— a "we're all in it together" society, you should vote for Barack Obama and Joe Biden.» [Cari amici, dovete decidere in quale tipo di Paese desiderate vivere. Se volete il Paese del “sei da solo”e “chi vince piglia tutto” sostenete il ticket repubblicano. Se desiderate un Paese ricco di opportunità condivise e responsabilità distribuite, una società del "siamo tutti sulla stessa barca", votate Barack Obama e Joe Biden.]
Un “volemose bene”, ma molto molto chic.

mercoledì 5 settembre 2012

Michelle Obama contro Ann Romney: guerra di retorica rosa

Ieri sera Michelle Obama ha dato la sua personale zampata alla rivale Ann Romney, nel corso della convention democratica di Charlotte negli Usa.
Una Michelle che sfoggia il suo aspetto sicuro di sempre, con un vestito rosa, un velo di lucidalabbra, le immancabili braccia scoperte. Un’oratrice navigata: sottolinea con l’intonazione le parole chiave, parla senza fretta ma con il ritmo della passione, osserva le pause di rito, non si compiace degli applausi, incrina la voce quando il tema lo richiede.
Sfodera tutti i topos della cultura americana: il duro lavoro (hard work), il merito, i sani valori delle famiglie umili ma oneste.
Nel suo discorso, lei e Barack sono i protagonisti di un’epopea contemporanea. Provengono da due famiglie con pochi mezzi ma di sani principi; erano poveri ma oggi sono ricchi, non per i soldi accumulati ma perché possono godere del privilegio di aiutare gli altri. Ma, elemento fondamentale, non sono stati cambiati dal successo, sono rimasti fedeli a se stessi:
«Per me Barack è sempre il ragazzo che mi veniva a prendere con un’automobile così malandata che, dal posto del passeggero, si vedeva l’asfalto attraverso i buchi sotto i piedi.»
«Essere presidente non cambia chi sei ma rivela chi sei.»
Molti i punti in comune nei discorsi delle sfidanti Michelle e Ann.
Il romanticismo dei primi tempi insieme ai propri mariti: i due fidanzatini Barack e Michelle nella macchina sfasciata e il ricordo del ballo della scuola in cui Ann si è innamorata di Mitt Romney. I valori familiari ricordati da entrambe. L’amore incondizionato delle due signore per i mariti dopo anni e anni di matrimonio. Il riferimento ai malanni di famiglia, la sclerosi del padre di Michelle e la sclerosi e il cancro al seno di Ann (vedi il post: “Ann Romney. La Barbie dalle parole di ferro”).
Tuttavia, rispetto a Ann, Michelle può vantare un marito che si è fatto da solo e che incarna in pieno il topos dell’american dream:
«Barack conosce il sogno americano perché lo ha vissuto.»
Immancabile il riferimento alle dinner, il moneto chiave della giornata che vede la famiglia moderna riunita intorno al tavolo. Obama, nelle interviste e nei social media, ricorda spesso che, quando non è in viaggio, fa di tutto per presenziare alla cena delle 18,30 con Michelle e le figlie.
Lo ricorda anche Michelle, sottolineando come Barack partecipi alla vita familiare «partecipando alle strategie sulle amicizie della middle school.»
Per l’explicit (la conclusione) la first lady conserva l’arma letale: la captatio benevolantiae:

«Non sono qui come First Lady, ma come “Mum in Chief”, è questo il mio titolo più importante.»

Video: http://www.bloomberg.com/news/2012-09-05/michelle-obama-makes-personal-appeal-in-convention-speech.html

martedì 4 settembre 2012

Al via la convention democratica di Charlotte. Come reagirà Obama alle provocazioni di Romney?

Inizia oggi la convention democratica di Charlotte negli Usa. Vedremo quale sarà la riposta di Obama alle provocazioni dello sfidante Mitt Romney che, nella convention repubblicana di Tampa, aveva sfoderato tutto il suo pragmatismo da imprenditore. L’obiettivo era fare apparire Barack un sognatore incapace di concretezza.
«Il presidente Obama ha promesso di rallentare il flusso degli oceani e guarire il pianeta dai suoi mali. La mia promessa... è quella di aiutare voi e la vostra famiglia»
Obama accetterà ufficialmente la nomination giovedì. Questa sera è previsto l’intervento di Michelle. Come reagirà al fenomeno Ann Romney?

lunedì 3 settembre 2012

Elezioni Usa. Ann Romney, la Barbie dalle parole di ferro

Le vacanze sono finite. Ci consoliamo con la campagna elettorale Usa che ci ha regalato e ci regalerà uno spettacolo sempre intrigante: la lotta tra i titani dei discorsi potenti.

Il discorso di Ann Romney, la Barbie-moglie del candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney, mi ha colpito particolarmente. È pieno di astuzie retoriche al limite del manierismo.

Da notare l’elemento ricorrente del “ballo della scuola”. È la spina dorsale che sostiene l’intero discorso e riemerge con cadenza regolare come il ritornello di una canzone.

«I want to talk to you about the deep and abiding love I have for a man I met at a dance many years ago.» [Voglio parlarvi del profondo e durevole amore che provo per un uomo che ho incontrato a un ballo tanti anni fa.]

«And that is where this boy I met at a high school dance comes in.
His name is Mitt Romney and you really should get to know him. [Ed ecco che il ragazzo che ho incontrato al ballo della scuola entra in gioco. Il suo nome è Mitt Romney e dovreste conoscerlo meglio.]
Now we have five sons and 18 grandchildren and I'm still in love with that boy I met at a high school dance[Ora abbiamo cinque figli e 18 nipoti e sono ancora innamorata di questo ragazzo che ho incontrato al ballo della scuola.]
«At every turn in his life, this man I met at a high school dance, has helped lift up others. He did it with the Olympics, when many wanted to give up.
He did it in Massachusetts, where he guided a state from economic crisis to unemployment of just 4.7%.» [In ogni momento di svolta della sua vita, quest’uomo che ho incontrato al ballo della scuola, ha aiutato gli altri. Lo ha fatto con le Olimpiadi, quando molti volevano mollare. Lo ha fatto nel Massachusetts, dove ha condotto uno stato dalla crisi economica a un livello di disoccupazione di appena 4,7 %.]
«It has been 47 years since that tall, kind of charming young man brought me home from our first dance. Not every day since has been easy.
But he still makes me laugh. And never once did I have a single reason to doubt that I was the luckiest woman in the world.» [Sono passati 47 anni da quando questo giovane uomo alto e affascinante mi ha portato a casa dal nostro primo ballo. Da allora, non tutti i giorni sono stati facili. Ma mi fa ancora ridere. E mai una volta da allora ho avuto una sola ragione per pensare che non fossi la donna più fortunata del mondo.]
Addirittura! Quest’ultima frase mi sembra stucchevole e soprattutto poco credibile. Ci sono giorni in cui avremmo voglia di buttare il marito dalla finestra (e viceversa, ovviamente).

La conclusione (explicit) dell’intero discorso ritorna sul tormentone-ritornello del ballo della scuola. Mitt Romney viene presentato come il cavaliere senza paura che porta a casa “sana e salva” la sua bionda principessa. Le femministe avranno storto un po’ il naso ma le signore più romantiche saranno cadute in deliquio.

«He will take us to a better place, just as he took me home safely from that dance.
Give him that chance.
Give America that chance.»

[Ci porterà in un posto migliore, proprio come mi ha portato a casa sana e salva da quel ballo. Dategli questa opportunità. Date all’America questa opportunità”]

Ma la fatina bionda Ann non rinuncia a lanciare micidiali bordate all’attuale presidente Obama, tracciando il ritratto di un’America disperata a causa della crisi economica:

«Sometimes I think that late at night, if we were all silent for just a few moments and listened carefully, we could hear a great collective sigh from the moms and dads across America who made it through another day, and know that they'll make it through another one tomorrow. But in that end of the day moment, they just aren't sure how.» [Qualche volta penso che tardi, la sera, se restassimo tutti in silenzio per qualche istante e ascoltassimo attentamente, potemmo ascoltare un grande sospiro collettivo proveniente dalle mamme e i papà americani che hanno affrontato un altro giorno, e sanno che ne dovranno affrontare un altro domani. Ma, in quel momento, della giornata non sanno come potranno cavarsela.]

Non manca la captatio benevolentiae nei confronti delle donne americane, il cui voto è fondamentale sia per Romney che per Obama.

«We're the mothers, we're the wives, we're the grandmothers, we're the big sisters, we're the little sisters, we're the daughters.
You know it's true, don't you?
You're the ones who always have to do a little more.»
«You are the best of America.
You are the hope of America
[Siamo le madri, le mogli, siamo le nonne, siamo le sorelle maggiori, siamo le sorelle minori, siamo le figlie. Sapete che è vero, non è così? Siamo quelle che devono fare sempre un po’ di più. Siete il meglio dell’America. Siete la speranza dell’America]

Infine l’arma letale. La bomba atomica sganciata da Ann per allontanare da sé l’accusa di essere una casalinga privilegiata che non ha idea di come funzioni la vita: il riferimento alla sua personale battaglia contro la sclerosi multipla e il cancro.

«I read somewhere that Mitt and I have a “storybook marriage.” Well, in the storybooks I read, there were never long, long, rainy winter afternoons in a house with five boys screaming at once. And those storybooks never seemed to have chapters called MS or Breast Cancer. » [Ho letto da qualche parte che Mitt e io abbiamo un matrimonio da libro di fiabe. Beh nei libri di fiabe che ho letto, non ci sono lunghissimi pomeriggi invernali piovosi in casa con cinque bambini che strillano tutti insieme. E in quei libri non credo ci siano capitoli sulla sclerosi multipla e il cancro al seno.»

BOOM. Brava, Ann. Questa sì, mi è piaciuta.