martedì 23 dicembre 2014

Parole sul bene più prezioso della democrazia: la scuola

Tra “studia, sennò ti brucio la Play Station” e “vi prego, fatemi studiare” c’è una differenza abissale. Intendiamoci, gli studenti che non hanno voglia di applicarsi hanno le loro cattive ma stra-condivisibili ragioni. Studiare è una fatica nera e rientra nella natura umana la perenne inclinazione allo scantonamento. Un pomeriggio di studio, che per qualcuno sembra il peggiore dei destini, è un miraggio per qualcun altro. Questioni di punti di vista, di posizioni geografiche e di periodi storici. Questo post è dedicato alle parole a sostegno dello studio. Un “meglio di” sulla scuola e l’istruzione che va da Calamandrei a papa Francesco, passando per la numero uno, la vera star dei discorsi sulla scuola: la piccola-grande Malala, la ragazza che si disegnava le equazioni sulle mani con l’henné e che, pur di studiare, si è fatta sparare in testa dai talebani, sulla strada della scuola, mentre era con le sue compagne.
Pochi giorni fa, Malala Yousafzai ha vinto il premio Nobel per la pace. È rimasto storico il suo discorso all’Onu del luglio 2013. Aveva solo 16 anni.
Senza mostrare alcuna paura, Malala si prende gioco dei talebani, ironizzando sulla loro ignoranza e disarmante rozzezza. La verità è paradossale: i terroristi terrorizzano perché sono terrorizzati.
“Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. […] I talebani hanno paura dei libri perché non sanno che cosa c’è scritto dentro.”
La ragazzina con il foulard rosa confetto rincara la dose, senza paura:
“I talebani pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore che manderebbe le bambine all’inferno soltanto perché vogliono andare a scuola.” (Discorso alle Nazioni Unite, 12 luglio 2013) Video
Ma veniamo all’Italia. Il giurista Piero Calamandrei usa un paragone: la scuola è come il sangue. Un elemento essenziale dell’organo costituzionale. Senza la scuola pubblica – che deve venire prima di quella privata – non ha senso parlare di democrazia.
“Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura. Ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue.” (Discorso al Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950) Testo
Sostenere la causa dell’istruzione sembra un “ti piace vincere facile” delle argomentazioni; ovviamente finché si rimane nel campo delle parole e non si sconfina in quello accidentato dei fatti o del consenso politico. Tuttavia la foga di Tony Blair nel sostenere gli investimenti nella “education”, ci fa capire che anche questa argomentazione non è poi così scontata. O, almeno, non lo era nella Gran Bretagna della fine degli anni ’90. Blair parlava di scuola utilizzando la teatrale strategia linguistica dell’iterazione:
"Chiedetemi le tre principali priorità del Governo e vi dirò: istruzione, istruzione, istruzione." (Blackpool, 1996) Video
Una strategia linguistica efficace, ripresa anche dal nostro premier Matteo Renzi nella sua Lettera aperta ai sindaci del marzo 2014.
Se, poi, al diritto allo studio non corrisponde almeno un po’ di voglia di studiare, i risultati sono deprimenti. In puro spirito pragmatico made in Usa, Barack Obama ribalta il punto di vista: cosa fai tu, studente, per meritare il diritto all’istruzione?
Il presidente americano si fa portatore di un’orrenda verità: imparare fa rima con sgobbare. E non ci sono scuse per chi non si comporta di conseguenza.
“[…] alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita – il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare – non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo.
Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola. Non c’è scusa per chi non ci prova. Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando.” (Discorso agli studenti, 8 settembre 2009) Video
Ma ce n’è anche per i prof., non solo per i poveri scolari. E le mazzate arrivano da papa Francesco. Anche gli insegnanti devono fare la loro parte, per conquistarsi il rispetto dei ragazzi. I giovani hanno fiuto, hanno la capacità di riconoscere a naso un cattivo o un buon maestro. Parola di Francesco che è stato alunno, studente, insegnante e, da vescovo di Buenos Aires, ha incontrato moltissime scuole.
“Perché se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capiscono, hanno “fiuto”, e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, “incompiuto”, che cercano un “di più”, e così contagiano questo atteggiamento agli studenti.” (Discorso al mondo della scuola italiana, Piazza San Pietro, 10 maggio 2014) Video
I discorsi sull’istruzione dovrebbero essere in grado di suggerire agli studenti una strada. Dovrebbero aiutarli a capire quello che vogliono e quello che non vogliono fare da grandi. Dovrebbero sgombrare il campo dai condizionamenti: dalla paura che infonde una società come la nostra, una repubblica fondata sull’incertezza; dalle pressioni familiari; dai giudizi a volte imperfetti degli insegnanti (sono esseri umani anche loro!); ma soprattutto da loro stessi, spesso i giudici più severi e castranti.
Steve Jobs, nel suo celebre discorso “Siate affamati, siate folli” racconta la sua storia, una storia fatta di puntini da collegare con una linea.
“Non avevo idea di cosa volevo fare della mia vita e di come il college potesse aiutarmi a capirlo. Era ovviamente impossibile unire i puntini guardando al futuro mentre ero al college […]. Ma la realizzazione era estremamente chiara, guardandola dieci anni dopo.
Ve lo ripeto, non puoi unire i puntini guardando al futuro, puoi connetterli in un disegno, solo se guardi al passato. Dovete quindi avere fiducia nel fatto che i puntini si connetteranno, in qualche modo, nel vostro futuro. Dovete avere fede in qualcosa, il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, quello che sia. Perché credere che i puntini si uniranno strada facendo, vi darà la sicurezza di seguire il vostro cuore”. (Siate affamati, siate folli, 14 giugno 2005, Stanford) Video
Si può certamente obiettare che in un Paese come il nostro, con il 40 per cento di disoccupazione giovanile, mettersi pure a seguire il cuore rischia di sfociare nella pura demenza. Ma se ai ragazzi togliamo pure quel briciolo di passione che forse la società non è riuscita ancora a estirpare, siamo definitivamente rovinati. 

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