Nel suo discorso sullo “Stato dell’Unione”,
tenuto oggi a Strasburgo, il presidente della Commissione Europea Juncker cerca
di alzare il livello della discussione. Non cade nel tranello dei soli numeri,
buoni per una riunione di condominio della peggior specie, ma traduce i numeri
in esseri umani.
120 mila rifugiati da ripartire in quote obbligatorie
tra gli Stati sono persone: uomini, donne, bambini. Non manca un paragone con
la situazione dell’Ucraina.
"Non parliamo di numeri, ma di esseri
umani che vengono da Siria e Libia e quello che stanno passando potrebbe
accadere a chi oggi vive in Ucraina: non si può fare distinzione di credo,
etnia o di altro tipo"
Juncker ha sottolineato che i numeri del
fenomeno migratorio sono "spaventosi, ma questo non è il tempo di avere
paura, è il tempo di un'azione concertata e della solidarietà da parte dell’Unione
Europea, dei suoi Stati Membri e delle sue istituzioni". Il presidente della
Commissione Ue ha aggiunto che "è il tempo in cui deve prevalere la
dignità umana.
L’anafora “È il tempo…” ci è familiare, ricorda
l’Ecclesiaste: “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni
faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare…” (Ecclesiaste 3, http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Ecclesiaste3&versioni%5B%5D=C.E.I.).
Il discorso continua sue due fronti: l’immedesimazione
con i migranti e la volontà di sottolineare che il fenomeno migratorio non è
solo uno svantaggio per l’Europa. Anzi.
L’immedesimazione.
“Tutti noi dobbiamo ricordare che l'Europa è un continente in cui siamo
stati tutti, in un qualche momento della storia, dei rifugiati".
Il concetto viene sottolineato con una domanda retorica: “Mettiamoci noi
nei loro panni: quanto pagheremmo per rifarci una vita?”.
Il vantaggio per la UE.
"Invecchiamo, abbiamo bisogno di nuovi talenti, che arrivino da
ogni parte del mondo".
“Talenti” non zavorre. Juncker dixit.
Nessun commento:
Posta un commento