Ecco un post tutto dedicato a Nichi Vendola, il politico italiano che ha fatto dell’arte del dire un tratto distintivo.
Ernesto Galli della Loggia, in un suo editoriale su “Il Corriere della Sera” del 21 dicembre, definisce «populista» lo stile-nichi: «lo studiato populismo del governatore pugliese».
I supporter della retorica – categoria nella quale appartengo – definirebbero il modo di esprimersi di Vendola «argomentativo», piuttosto che «populista».
Qual è la differenza?
L’argomentazione è una tecnica della comunicazione che consiste nel presentare una serie di ragionamenti per convincere i destinatari della validità di una tesi e sollecitare l’adesione a una causa, attingendo – (è questa la magia) al vissuto dei propri destinatari.
Il populismo, invece, è una generica e demagogica esaltazione dei valori e delle qualità delle classi popolari alla rinfusa, quali che siano.
Quando Vendola, nel suo articolo su “Il Manifesto” del 23 dicembre, parla dei senatori che devono approvare la riforma dell’Università usa un’argomentazione che si avvale di una metafora: «[i senatori] vogliono calare il prima possibile l’ultima saracinesca su quei ragazzi, per potersi gustare il cenone avendoli chiusi in una cantina buia e senza nemmeno una finestrella aperta sul futuro».
È argomentazione o populismo? Fatemi avere il vostro parere.
Torniamo indietro in un recente passato e ricordiamo una frase pronunciata da Barack Obama nel discorso dall’Università del Cairo (giugno 2009). Il presidente americano usa un’espressione metaforica per comunicare il suo dissenso contro il conflitto tra israeliani e palestinesi: «la violenza è una strada senza vie di uscita. Lanciare razzi sui bambini addormentati o far saltare in aria anziane donne a bordo di un autobus non è segno di coraggio né di forza».
E in questo caso? È argomentazione o populismo? Aspetto i vostri commenti.
Voto 8 a Vendola per la metafora.
Articoli: Ernesto Galli della Loggia, L’orecchino populista di Vendola, “Il Corriere della Sera”, 21 dicembre 2010; Nichi Vendola, Gli abracadabra del Palazzo, “Il Manifesto”, 23 dicembre 2010.
domenica 26 dicembre 2010
venerdì 17 dicembre 2010
Di Pietro vuole sposare Bersani e Vendola: avranno fatto il corso pre-matrimoniale?
Antonio Di Pietro ha proposto a Bersani e Vendola di mettere in piedi una coalizione Idv, Pd e Sel.
Lo ha fatto con una metafora: «sposiamoci entro Natale».
Apprezzo il linguaggio figurato del leader dell’Idv. Ha un’accezione rurale e conferisce al personaggio una cifra stilistica molto caratterizzante.
Amo le metafore. Però, attenzione: sono strumenti linguistici affascinanti ma impegnativi. Allargano il campo semantico creando aspettative. Se di Pietro dice «sposiamoci» ci aspettiamo che, tra i futuri congiunti, ci sia almeno un briciolo di passione e ci chiediamo se gli sposi intendono fare la rituale preparazione pre-matrimoniale. E ci chiediamo ancora: Il loro è vero amore o è una più prosaica unione di convenienza?
Non per essere romantici a tutti i costi, ma i matrimoni d’interesse spesso non durano. Ricordiamoci come è finita, solo qualche giorno fa, con il cornificatore Scilipoti.
Allo «sposiamoci entro Natale» di Di Pietro do voto 7 con riserva. La riserva è dovuta al dubbio sul fatto che sia vero amore. Noi ragazze – anche se attempate - non prescindiamo.
Lo ha fatto con una metafora: «sposiamoci entro Natale».
Apprezzo il linguaggio figurato del leader dell’Idv. Ha un’accezione rurale e conferisce al personaggio una cifra stilistica molto caratterizzante.
Amo le metafore. Però, attenzione: sono strumenti linguistici affascinanti ma impegnativi. Allargano il campo semantico creando aspettative. Se di Pietro dice «sposiamoci» ci aspettiamo che, tra i futuri congiunti, ci sia almeno un briciolo di passione e ci chiediamo se gli sposi intendono fare la rituale preparazione pre-matrimoniale. E ci chiediamo ancora: Il loro è vero amore o è una più prosaica unione di convenienza?
Non per essere romantici a tutti i costi, ma i matrimoni d’interesse spesso non durano. Ricordiamoci come è finita, solo qualche giorno fa, con il cornificatore Scilipoti.
Allo «sposiamoci entro Natale» di Di Pietro do voto 7 con riserva. La riserva è dovuta al dubbio sul fatto che sia vero amore. Noi ragazze – anche se attempate - non prescindiamo.
martedì 7 dicembre 2010
Berlusconi e la minaccia perlocutiva: «maneggioni della vecchia politica». La risposta: «catacombale»
Inutile negarlo, l’arte della persuasione è fatta anche di avvertimenti, intimidazioni, minacce.
Domenica 5 novembre il premier Silvio Berlusconi è intervenuto in collegamento telefonico alla manifestazione “Italia avanti“ organizzata a Roma dal Pdl.
Dalla cornetta ha lanciato la sua minaccia rivolta a coloro che non hanno intenzione di appoggiarlo:
«Volete rimettere l’Italia nelle mani dei maneggioni della vecchia politica?»
È un atto linguistico perlocutivo, un’espressione che intende produrre un effetto persuasivo, risvegliando nel destinatario sentimenti di paura, di obbligazione, di convincimento.
Ma c’è di più: Berlusconi definisce «vecchi» gli altri per allontanare da sé la stessa definizione. Ha funzionato? Non sembra. Casini ha subìto ribattuto con un’equazione: Berlusconi = catacomba.
Domenica 5 novembre il premier Silvio Berlusconi è intervenuto in collegamento telefonico alla manifestazione “Italia avanti“ organizzata a Roma dal Pdl.
Dalla cornetta ha lanciato la sua minaccia rivolta a coloro che non hanno intenzione di appoggiarlo:
«Volete rimettere l’Italia nelle mani dei maneggioni della vecchia politica?»
È un atto linguistico perlocutivo, un’espressione che intende produrre un effetto persuasivo, risvegliando nel destinatario sentimenti di paura, di obbligazione, di convincimento.
Ma c’è di più: Berlusconi definisce «vecchi» gli altri per allontanare da sé la stessa definizione. Ha funzionato? Non sembra. Casini ha subìto ribattuto con un’equazione: Berlusconi = catacomba.
Voto a Berlusconi: 5. Voto a Casini: 7. Micidiale Massimo D’Alema che, due anni fa, definì Berlusconi:
«un sito archeologico, benché tirato a lucido».
«un sito archeologico, benché tirato a lucido».
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La burocrazia deve scrivere per forza burocratese? La lezione dei testi resi noti da Wikileaks
La riposta è no, la burocrazia non deve per forza scrivere burocratese.
Questo post è dedicato a coloro che lavorano nella pubblica amministrazione italiana. Sono persone che spesso incontro nei corsi di formazione sulla scrittura. Molti lamentano il fatto di essere costretti a scrivere in burocratese.
Com’è il burocratese? Subordinate su subordinate, prima di arrivare al verbo principale seppellito sotto strati di polvere. «In considerazione di…»; «Nell’ambito del progetto tal dei tali e alla luce della normativa…»; «Premesso che…». Vi ricorda qualcosa?
I dispacci inviati dal corpo diplomatico Usa per informare il proprio governo sulla situazione politica mondiale sono un esempio di come si possa scrivere, anche su temi delicati, utilizzando uno stile semplice. I messaggi resi pubblici dal sito Wikileaks hanno uno stile asciutto che, senza troppo subordinate, va subito al dunque: “soggetto + verbo + complemento. Punto”.
La pubblicazione di materiale informativo delicato e confidenziale non è certamente meritevole, anzi è un reato bello e buono. Resta tuttavia la lezione di scrittura: se vogliamo comunicare in modo forte e chiaro è meglio preferire uno stile con periodi brevi e poche frasi subordinate. Anche in italiano, non solo in inglese.
Chiudo il post con una citazione da Paolo Villaggio sul burocratese:
«ho visto dei funzionari “tentare” delle lettere e insabbiarsi su una serie di premesse, di coordinate e subordinate dalle quali non sono più usciti»
Villaggio P. (1971), Fantozzi, Rizzoli, Milano.
Voto ai testi della diplomazia Usa: 10.
Questo post è dedicato a coloro che lavorano nella pubblica amministrazione italiana. Sono persone che spesso incontro nei corsi di formazione sulla scrittura. Molti lamentano il fatto di essere costretti a scrivere in burocratese.
Com’è il burocratese? Subordinate su subordinate, prima di arrivare al verbo principale seppellito sotto strati di polvere. «In considerazione di…»; «Nell’ambito del progetto tal dei tali e alla luce della normativa…»; «Premesso che…». Vi ricorda qualcosa?
I dispacci inviati dal corpo diplomatico Usa per informare il proprio governo sulla situazione politica mondiale sono un esempio di come si possa scrivere, anche su temi delicati, utilizzando uno stile semplice. I messaggi resi pubblici dal sito Wikileaks hanno uno stile asciutto che, senza troppo subordinate, va subito al dunque: “soggetto + verbo + complemento. Punto”.
La pubblicazione di materiale informativo delicato e confidenziale non è certamente meritevole, anzi è un reato bello e buono. Resta tuttavia la lezione di scrittura: se vogliamo comunicare in modo forte e chiaro è meglio preferire uno stile con periodi brevi e poche frasi subordinate. Anche in italiano, non solo in inglese.
Chiudo il post con una citazione da Paolo Villaggio sul burocratese:
«ho visto dei funzionari “tentare” delle lettere e insabbiarsi su una serie di premesse, di coordinate e subordinate dalle quali non sono più usciti»
Villaggio P. (1971), Fantozzi, Rizzoli, Milano.
Voto ai testi della diplomazia Usa: 10.
giovedì 2 dicembre 2010
Gli studenti anti-Gelmini e la strategia della demolizione. Il premier disse: «fuori corso!»
Riprendo i temi del blog dopo la pausa dedicata alla presentazione del libro (Roma, 30 novembre, Bibli).
Colgo un’espressione nelle cronache sulle rivolte studentesche di piazza di questi giorni contro la riforma dell’università voluta dal ministro Gelmini: «fuori corso!».
Il premier Silvio Berlusconi ha definito in questo modo i rivoltosi: un classico meccanismo di screditamento.
È una tecnica linguistica usata con frequenza per minare la credibilità dell’avversario ed è una strategia che ricorre anche in famiglia: «Che ne sai tu di politica, che sei stato pure bocciato?!»; «Che ne sai tu di calcio, che quando abbiamo vinto con la Germania 4 a 3 non eri nemmeno nato?!»
I linguisti si sono concentrati spesso sul tema dell’autorevolezza della fonte: un vero e proprio patrimonio per sostenere una discussione, un dibattito o uno scontro politico.
Una cosa è se il giudice in un tribunale dice «La seduta è tolta»; un’altra è se lo dice l’imputato (John Langshow Austin nella foto).
Frase identica, risultato opposto. Qual è la differenza? La differenza è la credibilità della fonte della comunicazione in uno specifico contesto.
Gli studenti, se fuori corso, si presuppone non abbiano nulla da fare se non protestare. Questo smantella l’autorevolezza della protesta.
Oltre alle tecniche linguistiche di persuasione, la retorica mette a disposizione tecniche linguistiche di distruzione.
Colgo un’espressione nelle cronache sulle rivolte studentesche di piazza di questi giorni contro la riforma dell’università voluta dal ministro Gelmini: «fuori corso!».
Il premier Silvio Berlusconi ha definito in questo modo i rivoltosi: un classico meccanismo di screditamento.
È una tecnica linguistica usata con frequenza per minare la credibilità dell’avversario ed è una strategia che ricorre anche in famiglia: «Che ne sai tu di politica, che sei stato pure bocciato?!»; «Che ne sai tu di calcio, che quando abbiamo vinto con la Germania 4 a 3 non eri nemmeno nato?!»
I linguisti si sono concentrati spesso sul tema dell’autorevolezza della fonte: un vero e proprio patrimonio per sostenere una discussione, un dibattito o uno scontro politico.
Una cosa è se il giudice in un tribunale dice «La seduta è tolta»; un’altra è se lo dice l’imputato (John Langshow Austin nella foto).
Frase identica, risultato opposto. Qual è la differenza? La differenza è la credibilità della fonte della comunicazione in uno specifico contesto.
Gli studenti, se fuori corso, si presuppone non abbiano nulla da fare se non protestare. Questo smantella l’autorevolezza della protesta.
Oltre alle tecniche linguistiche di persuasione, la retorica mette a disposizione tecniche linguistiche di distruzione.
mercoledì 1 dicembre 2010
Presentazione "Discorsi potenti": grazie a tutti
Grazie a tutti per la partecipazione alla presentazione di ieri: sia fisica che con il pensiero. Sono commossa per la presenza di oltre cento persone. Un vero record, per la presentazione di un libro che non è scritto da Camilleri!
Ringrazio tutti coloro che hanno sfidato gli scioperi, un traffico feroce e varie inondazioni e saluto con affetto tutti coloro che, per gli stessi motivi, non sono riusciti a venire. Quelli che sono ancora imbottigliati sul muro torto, ci spediscano un sos: vi mandiamo un elicottero!
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