giovedì 21 giugno 2012

De Gasperi, maestro della retorica priva d'infingimenti

«Grace under pressure»: grazia sotto pressione. È la definizione, presa in prestito da Hernest Hemingway, utilizzata da John F. Kennedy nel libro Profiles in Courage (Kennedy, 2000). Kennedy descrive il coraggio di otto senatori americani che hanno avuto la capacità di agire con autocontrollo e rigore, malgrado la pressione del proprio partito e dell’elettorato.

Dimostra «grace under pressure» Alcide De Gasperi nel 1946, alla Conferenza di Pace di Parigi in un discorso storico riportato nella collana “Le parole che hanno cambiato il mondo” in edicola questa settimana con il Corriere della Sera.

De Gasperi rappresenta un Paese nemico. Le ventuno nazioni vincitrici della Seconda Guerra Mondiale sono riunite al palazzo del Lussemburgo per redigere il Trattato di Pace, comprendente le sanzioni per i Paesi sconfitti come l’Italia. De Gasperi, allora presidente del Consiglio, affronta un’aula in cui l’atteggiamento ostile è palpabile. Saragat, membro della delegazione italiana, commenta:

«mi par di rivivere quel terribile pomeriggio del 10 agosto 1946 […]. Per non contaminare con la nostra presenza gli sguardi dei delegati […] ci fecero entrare nella grande sala affollata da una porticina che immetteva nell’ultima fila dei seggi in alto: non vedevamo che schiere di gente silenziosa» (Craveri, 2006).

Il presidente del Consiglio inizia il suo discorso ammettendo, senza preamboli, la difficoltà di rappresentare un Paese vinto e il suo conseguente status di «imputato», che deve vestire il «saio del penitente»:

«Signor presidente, signori ministri, signori delegati, prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione».

È la più sofisticata tra le captatio benevolentiae (ricerca della benevolenza), un topos retorico che di norma si trova all’inizio di una composizione orale o scritta e viene utilizzato per stimolare un atteggiamento benevolo da parte del pubblico.

Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso si rivolge a Ippolito d’Este, figlio di Ercole I, con una captatio benevolentiae:

«Piacciavi, generosa Erculea prole, / ornamento e splendor del secol nostro, / Ippolito, aggradir questo che vuole / e darvi può l’umil servo vostro».

La captatio benevolentiae è un espediente retorico guardato con sospetto per la sua componente lusingatrice o, addirittura, ruffiana. De Gasperi, però, ci fornisce una prova di come si possa farne uso con dignità e decoro. È la verità delle cose dette a fare la differenza. Non è qui una formula di maniera, un generico appello alla simpatia del pubblico. È espressione sincera di un sentimento personale e, allo stesso tempo, descrizione – puntuale, senza infingimenti diplomatici – del clima ostile di quell’aula.

martedì 19 giugno 2012

Fioroni usa tecniche linguistiche di distruzione contro i diritti dei gay

L’ex ministro Fioroni usa una tecnica linguistica di distruzione, per smontare l’idea di Bersani di inserire il riconoscimento delle coppie di fatto nell’agenda politica.

«Le persone che incontro non mi chiedono di coppie gay e di testamento biologico… vogliono sapere di fisco e di esodati, di occupazione e di misure per la crescita.»

Una tecnica argomentativa facile da mettere in campo ma anche facile da smascherare: il fatto che un diritto non risolva un problema urgente non lo rende meno giusto e meno importante.

giovedì 14 giugno 2012

Discorsi potenti collezione: pillole di retorica

È tempo di un nuovo elemento di Discorsi potenti collezione: il film L’amore ha due facce, diretto e interpretato nel 1996 da Barbra Streisand.

Barbra interpreta una professoressa di letteratura della Columbia University, bruttina ma brillante. Magistrale è la sua lezione sull’amore. La domanda cui dà una risposta è: perché, malgrado tutti sappiamo che presto finirà e che soffriremo come cani, tutti – ma proprio tutti – vogliamo innamoraci?

Nel discorso sono presenti due particolari stratagemmi retorici:

Il primo. La costruzione dell’intero discorso si basa su un’aspettativa tradita: l’ascoltatore crede che il discorso vada verso una denigrazione dell’amore, considerato come ingenuo e antiquato. Invece si conclude con un’esaltazione dell’amore.

Il secondo. L’uso del turpiloquio come culmine di un crescendo. Un turpiloquio che funziona perché è necessario all’armonia del testo e ne rappresenta il momento massimo di drammatizzazione. Insomma, anche un “cazzo” è retorica:


Testo della lezione sull’amore di Barbra Streisand

… L’essenza e il fine dell’amore romantico è: Mike? Il sesso? Mike, Mike. Il sesso! Ma è una fissa! Il matrimonio? Il matrimonio, sì esatto! Ma non è sempre stato così. Intorno al 1100, c’era un concetto, noto come amor cortese, che non aveva nulla a che vedere né con il matrimonio, né con il sesso. Nella maggior parte dei casi veniva definito come un’appassionata affinità fra un cavaliere della corte e una dama che era già sposata. E quindi non avrebbero mai consumato il loro amore…

Riflettete su questo: il sesso è sempre stato la pozione fatale. Guardate la letteratura del tempo: Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta. Consumare il sesso conduceva soltanto alla follia, alla disperazione, alla morte.

Gli esperti clinici, gli studiosi, mia zia Ester, sono d’accordo nell’affermare che il vero amore ha una dimensione spirituale. Mentre l’amore romantico non è altro che menzogna e illusione, un mito moderno…  Quando andiamo al cinema, noi vediamo gli innamorati che si baciano sullo schermo, la musica aumenta di volume e noi ce la beviamo, così, quando il mio ragazzo mi porta a casa e mi dà il bacio della buonanotte, se non sento la filarmonica, io lo mollo.

Ora la domanda è: perché ce la beviamo? Noi ce la beviamo perché, che sia un mito o una manipolazione, diciamocelo, tutti vogliamo innamorarci. Vero? Perchè ? Perché è un’esperienza che ci fa sentire completamente vivi, ci rigenera, risveglia tutti i sensi, ingigantisce ogni emozione, la nostra realtà quotidiana è scossa e siamo catapultati in paradiso. Può durare un solo momento, un’ora, un pomeriggio… Quindi la domanda finale è: perché le persone hanno sete d’amore pur sapendo che ha una data di scadenza e può essere doloroso e devastante? Che ne pensate? Perché porta alla riproduzione della specie? Un bisogno psicologico di entrare in contatto con gli altri?...

Belle risposte, ma un po’ troppo intellettuali per me. Io credo che sia perché, finché l’amore dura, cazzo, non c’è niente di meglio!

domenica 10 giugno 2012

Santoro dixit: Monti ha una banca al posto del cervello

"Mi pare che Monti abbia una banca al posto del cervello"

E' stato  il commento potente di Michele Santoro, intervistato dal Manifesto sulla nomina della presidente della Rai Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d'Italia.

martedì 5 giugno 2012

La verità inutile e invincibile che interrompe la querelle tra Fornero e Patroni Griffi

Gustoso il botta e risposta tra i Ministri Elsa Fornero e Filippo Patroni Griffi sul licenziamento dei dipendenti pubblici.

Ieri Fornero (senza “la”, il ministro non gradisce l’articolo) ha auspicato parità di trattamento tra i dipendenti pubblici e i dipendenti privati.

Ma il collega della Funzione pubblica Patroni Griffi ha espresso il suo dissenso.

In serata hanno voluto dimostrare che il Governo non è spaccato in due attraverso una nota congiunta che suonava così:

«i licenziamenti sono una sanzione e possono essere un deterrente […]. Sono uno strumento, non l’unico.»

È un modo elegante per uscire dall’impasse, attraverso una verità invincibile ma inutile, banale. Una strategia che serve per riempire il vuoto senza veramente prendere una posizione.

venerdì 1 giugno 2012

Il Trapattonish è letterario, I said you cazzarola!

Il commissario tecnico della nazionale irlandese ci delizia con la sua neolingua: un po’ di italiano, un po’ di inglese e tanto trappattese.

Intervistato nel campo di Coverciano contesta le domande dei giornalisti: «what do you think that I sleep?».

Si arrabbia: «I said you cazzarola».

Per affermare la sua natura di uomo di fatti non di sole parole dice:
«In Italy le parole fiuuu».

Ricorda Gadda:
“Gli attavolati si sentivano sodali nella eletta situazione delle poppe, nella usucapzione d’un molleggio adeguato all’importanza di un loro deretano…”
(La cognizione del dolore, 1938, 1963).

Il meglio del Trapattonish in questo video, dove compare lo strepitoso proverbio:
«No say the cat is in the sac when you have not the cat in the sac». Chapeau.