Il fuoco peggiore è il fuoco amico. Enrico Letta, ieri a
Palazzo Chigi, ha dimostrato di voler lottare fino all’ultimo contro il nemico
interno Matteo Renzi.
Prima, con un eufemismo, ha definito “franco e sincero” l’incontro
con il suo antagonista nel quale, presumibilmente, ci sarà stata una tensione
da tagliare con il coltello.
Poi, a Palazzo Chigi, ha portato la sua argomentazione chiave: la
schiettezza sulle proprie mire come forma di rispetto nei confronti delle
Istituzioni. Il presupposto
implicito, il non detto, è: chi trama non ha rispetto per le
Istituzioni e per il Paese, non vi fidate. Ora frega me, domani toccherà a voi.
“Ieri sera mi hanno chiamato diversi vostri colleghi [giornalisti] per
chiedere… Giravano voci di… Ma le dimissioni non si danno per dicerie, per
manovre di Palazzo, perché un retroscena dice questo. Io penso che il rispetto
nei confronti delle istituzioni voglia dire che ognuno debba pronunciarsi
esplicitamente. Ognuno deve dire che cosa vuol fare. Mi verrebbe da dire
soprattutto chi vuole venire qui al posto mio deve dire che cosa vuol fare. […]
Ognuno di noi deve giocare assolutamente a carte scoperte.”
Il premier ha anche ostentato il distacco di chi ha giocato
la sua partita con correttezza. Anche in questo caso c’è una presupposizione, un
non
detto: Renzi, l’antagonista, non dimostrato
lealtà. Il concetto viene tradotto con un linguaggio tipico della generazione
dei quarantenni, condendosi con “hashtag” e “Zen”.
“L'hashtag potrebbe essere 'IoSonoSereno, anzi zen' mi verrebbe da dire.
Se mi andasse male questa vicenda penso che potrei andare in qualsiasi posto a
insegnare pratiche zen".
Letta continuerà con lo stile del non detto? Aspettiamo gli sviluppi in streaming.
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