Il premier Renzi ha fatto
del nuovo la sua bandiera, tanto da trasformarlo in un vero e proprio topos letterario, un motivo ricorrente
della sua narrazione, un cavallo di battaglia. Lo ha confermato lunedì 24
febbraio nel suo discorso al Senato e agli italiani speranzosi che il nuovo si possa
tradurre ben presto in più lavoro e meno tasse.
Tutto sa di nuovo: la
squadra di Governo giovane e rosa, l’atteggiamento informale delle mani in
tasca ma, soprattutto, il discorso a braccio. Per la prima volta un presidente
del Consiglio ha il coraggio di chiedere la fiducia basandosi solo su qualche
appunto scritto a penna. Una scelta che è stata molto criticata, ma che
certamente dimostra coraggio, padronanza e una prodigiosa capacità oratoria. Sì,
anche gli scettici (e gli invidiosi?) lo devono ammettere. Renzi sa parlare, e
di brutto.
Dopo i saluti e i
ringraziamenti di rito, il premier si serve di un altro topos letterario: il sogno di un mondo migliore che resiste,
malgrado siamo costretti a vivere in un tempo di “grande difficoltà, di
struggenti responsabilità”.
“[…] di fronte all'ampiezza di questa
sfida, abbiamo la necessità di recuperare il coraggio, il gusto e, per qualche
aspetto, anche il piacere di provare a fare dei sogni più grandi rispetto a
quelli che abbiamo svolto sino ad oggi e contemporaneamente accompagnarli da
una concretezza puntuale, precisa.”
Non si fa aspettare il topos più importante nella retorica
renziana: il nuovo. Il premier non perde occasione per sottolineare la sua
giovane età, citando una canzone di Gigliola Cinquetti.
“Riflettevo stamattina sul fatto che io non ho l'età per sedere
nel Senato della Repubblica. Non vorrei iniziare con una citazione colta e
straordinaria della pur bravissima Gigliola Cinquetti, ma è così: non ho l'età.”
Lo stesso topos viene
sottolineato anche in negativo. Il nuovo spazza via il “vecchio”. È la sua
natura.
“[…] vorrei essere l'ultimo
Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest'Aula.”
In un discorso al Paese
non può mancare una captatio
benevolentiae, una strizzata d’occhio a coloro che sono fuori dall’aula, ai
cittadini che hanno la netta sensazione che le decisioni vengano sempre prese
sopra la loro testa, salvo poi chiedere loro di pagare il conto quando le cose
vanno male. Il concetto viene supportato da una doppia paronomasia, una figura retorica che accosta parole che hanno una
somiglianza fonica ma un significato diverso: mercati rionali - mercati
finanziari; Paese finito – Paese infinito.
“Tuttavia, non possiamo non partire
da un giudizio reale su ciò che sta fuori da queste Aule. Se in questi anni
avessimo prestato ai mercati rionali lo stesso ascolto che abbiamo prestato ai
mercati finanziari, ci saremmo accorti che la prima richiesta è la richiesta di
semplicità, di pace, di chiarezza; è la richiesta di una tregua della politica
rispetto ai cittadini. L'impressione che invece abbiamo dato è quella di un'angoscia
nel rapporto tra politici e cittadini, per i quali l'idea che oggi è forte nel
Paese è che l'Italia abbia già finito tutto il futuro che aveva, che l'Italia
abbia esaurito le sue carte e che sia un Paese finito, più che un Paese
infinito.”
Il concetto, viene
supportato da un paradosso,
un’affermazione contraria al senso comune: i cittadini sono “più avanti”
rispetto ai politici; sono i politici a doverli rincorrere, a dover accettare
di farsi condurre.
“Bene, noi abbiamo accelerato e
deciso di cambiare l'impostazione del Governo nelle forze politiche che lo
sostengono perché pensiamo che fuori di qui ci sia un'Italia viva, brillante e
curiosa; un'Italia che, nell'aspettarci fuori da questi Palazzi, si vuole bene
e che ci tiene a presentarsi bene. Un'Italia che non ci segue per un motivo:
perché è avanti a noi. È avanti a noi: siamo noi a doverla rincorrere e doverla
recuperare. È l'Italia che forse si sta stancando di aspettarci, e vi propongo,
vi proponiamo, come Governo, di fare di tutto per raggiungerla attraverso un
pacchetto di riforme che parta e consideri il semestre europeo come la principale
opportunità, che affronti prima del semestre europeo le scelte legate alle
politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla
giustizia, che metta al centro il valore della scuola, ma che parta
naturalmente dalle riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle
quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene
questo Governo, e per il quale noi non possiamo che dire che gli accordi li
rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite.”
Nel discorso del premier
colpisce un’ammissione. Renzi sconta pubblicamente il suo peccato originale:
non avere un “chiaro mandato elettorale”.
“Avrei preferito che questo passaggio
fosse stato preceduto da un chiaro mandato elettorale.”
Il discorso continua con
il desiderio di manutenere una
parola, ripristinando la nobiltà del suo significato. È il sostantivo
“politica”. Renzi rivendica di essere a capo di un Governo politico, non
tecnico.
“Non vi sorprenderà il fatto che in
questo Governo sono rappresentati i segretari dei maggiori partiti, perché
questo è un Governo politico e noi pensiamo che la parola "politica"
non sia una parolaccia. Noi pensiamo di poter andare nelle piazze a dire che la
politica che noi abbiamo in testa è reale, vera e precisa.”
Verso la conclusione,
emerge un colpo da maestro: l’attacco all’Italia piagnona.
“L'idea che il futuro dell'Italia non
sia quello di essere il fanalino di coda dell'Europa, che il futuro dell'Italia
non sia stare a lamentarsi e piangere dalla mattina alla sera, che il futuro
dell'Italia non sia semplicemente raccontarci come le cose vanno male o perché
non ci fanno lavorare.”
Ricorda la geniale Lezione
sul coraggio di Oscar Farinetti, amico e sostenitore di Renzi.
“Secondo me tutti noi nella vita, a
parte le grandi sventure legate alla salute, abbiamo un 50% di eventi sfigati e
un 50% di eventi fortunati. Il saldo è questo. Ci dividiamo in due grandi
categorie: chi ricorda e memorizza le sfighe e le racconta, chi ricorda e
memorizza le fortune e le racconta. Fortunatamente la maggioranza racconta le
sfighe. E sapete perché? Perché si cerca consolazione e si ottiene
consolazione. […] La consolazione è un appagamento interiore che diventa come
una droga. […] Man mano che sei consolato diventi sempre più sfigato e racconti
le tue disgrazie. […] Però, quando dobbiamo fare una società, quando dobbiamo
andare in vacanza, quando dobbiamo uscire la sera a cena, quando dobbiamo
sposarci, chi cerchiamo? Mica gli sfigati. Cerchiamo i fortunati. Quelli che
noi riteniamo essere fortunati. Quindi conviene essere fortunati.»
Tornando al discorso di Matteo
Renzi, appare con decisione un altro topos:
il coraggio. Matteo ha fatto di questa virtù un suo tratto distintivo. Il 24
febbraio ha offerto il suo petto, trasformandosi in eroe: “Se perderemo questa
sfida, la colpa sarà soltanto mia”. Al topos del coraggio, Renzi affida l’explicit del discorso.
“Noi abbiamo una sola occasione: è
questa. E noi vi diciamo, guardandovi negli occhi, che se dovessimo perdere,
non cercheremmo alibi. Se perderemo questa sfida, la colpa sarà soltanto mia.
Deve finire infatti il tempo in cui chi va nei palazzi del potere, poi, tutte
le volte trova una scusa. Non ci sono più alibi per nessuno e primo per me.”
“Noi siamo assolutamente certi che,
mettendo tutti noi stessi in questa sfida, la possibilità di cambiare è reale,
concreta e immediata, purché ciascuno di noi viva il futuro non come
un'incognita e purché ciascuno di noi sappia che è il tempo del coraggio e che
questo tempo del coraggio non esclude nessuno e non lascia alibi a nessuno.”
È il tempo di Matteo.
Tutti noi speriamo di cuore che lo sappia usare.
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