I discorsi pubblici
sono ricchi di fallacie, errori nel ragionamento che vengono
messi in campo per produrre un effetto
persuasivo.
Non
dobbiamo gridare allo scandalo perché è assolutamente normale. Non solo in
politica, ma anche sul lavoro e in famiglia. Tutti noi siamo produttori
consapevoli o inconsapevoli di fallacie. Quante volte abbiamo sentito dire (o
abbiamo detto) a un figlio: “Zitto tu, che non ti sei rifatto neanche il letto
questa mattina!”. Naturalmente la mancata attenzione all’ordine non è di per sé
una prova che il diretto interessato non abbia qualcosa di importante da dire.
Beppe Grillo è il re della fallacia. Ieri a
Bruxelles non ha voluto farsi rubare la scena dall’euroscettico Nigel Farage
che aveva platealmente voltato le spalle ai musicisti che eseguivano l’Inno alla gioia di Beethoven, in
occasione dell’inaugurazione dell’ottava legislatura del Parlamento Europeo.
“L’inno alla gioia è stato usato da
Hitler e dai più grandi killer della storia.”
I
logici che studiano le fallacie la chiamano generalizzazione indebita: si trae una conclusione generale,
considerando solo casi particolari.
Un’altra
generalizzazione indebita:
“Io sono venuto qui a guardare i
conti e a dire di non dare più i soldi all’Italia perché scompaiono in tre
regioni: Sicilia, Calabria e Campania. Dove ci sono la mafia, la `ndrangheta e
la camorra”.
Il
fatto che parte dei soldi Ue siano stati intercettati dalla mafie non significa
che debbano essere tolti all’Italia, negando ai tanti cittadini onesti il
sacrosanto diritto di usufruirne.
Uscendo
dal campo della logica, più che una fallacia la chiamerei una “zappata sui
piedi” degli italiani. Non ce la meritiamo.
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