Ci mancherà lo stile risorgimentale di Giorgio
Napolitano. L’uso dell’epiteto, il lessico desueto, l’inizio della frase con il
gerundio. Un’oratoria che lo ha reso unico nel linguaggio politico contemporaneo.
Un periodare aulico che non si astiene,
tuttavia, dal dare una mazzata a Salvini e ai Cinque Stelle e non manca di
dimostrare in modo esplicito le personali difficoltà.
Il discorso di fine 2014 inizia con un atto linguistico puro: dare le dimissioni,
un’azione che si produce attraverso le parole.
“Il messaggio augurale di fine d'anno che ormai dal 2006
rivolgo a tutti gli italiani, presenterà questa volta qualche tratto speciale e
un po' diverso rispetto al passato. Innanzitutto perché le mie riflessioni
avranno per destinatario anche chi presto mi succederà nelle funzioni di
Presidente della Repubblica.
Funzioni che sto per lasciare, rassegnando le dimissioni:
ipotesi che la Costituzione prevede espressamente.”
Segue un’ammissione della propria fragilità,
che viene espressa con un registro decisamente poetico: “le
incognite racchiuse dai segni dell’affaticamento”.
“[…] dico semplicemente che ho il dovere di non
sottovalutare i segni dell'affaticamento e le incognite che essi racchiudono, e
dunque di non esitare a trarne le conseguenze.”
Il presidente affida a una preterizione l’endorsement
in favore del premier Matteo Renzi.
La preterizione è una figura sofisticata:
consente di affermare di evitare di parlare di qualcosa, quando, in realtà, se
ne sta parlando. La preterizione di Napolitano è doppia ed è introdotta da “Non
occorre che io ripeta” e da “non
torno ora”. Ovviamente lo ripete
e ci torna, eccome!
“Non occorre che io ripeta - l'ho fatto ancora di recente
in altra pubblica occasione - le ragioni dell'importanza della riforma del
Parlamento, e innanzitutto del superamento del bicameralismo paritario, nonché
della revisione del rapporto tra Stato e Regioni.
Ma sul necessario più vasto programma di riforme -
istituzionali e socio-economiche - messo in cantiere dal governo, sulle
difficoltà politiche che ne insidiano l'attuazione, sulle possibilità di
dialogo e chiarimento con forze esterne alla maggioranza di governo - anche,
s'intende, e in via prioritaria, per il varo di una nuova legge elettorale -
non torno ora avendovi già dedicato largamente il mio intervento, due settimane
fa, all'incontro di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle
forze politiche e della società civile.”
Segue un riferimento alla deludente economia
italiana e agli sforzi ancora vani per rilanciarla. Il riferimento introduce
una frecciata a Salvini e al Movimento 5 Stelle e alle loro istanze anti euro.
“Nulla di più velleitario e pericoloso può invece esservi
di certi appelli al ritorno alle monete nazionali attraverso la disintegrazione
dell'Euro e di ogni comune politica anti-crisi.”
Una tripletta di gerundi apre le frasi che
esortano a non cadere del baratro dell’anti-politica: “guardando”, “vedendo”, “bollandola”.
Ritorna alla mente: “Ma sedendo e mirando…” di Giacomo
Leopardi.
“Guardando ai tratti più negativi di questo quadro, e
vedendo come esso si leghi a debolezze e distorsioni antiche della nostra
struttura economico-sociale e del nostro Stato, si può essere presi da un senso
di sgomento al pensiero dei cambiamenti che sarebbero necessari per aprirci un
futuro migliore, e si può cedere al tempo stesso alla sfiducia nella politica,
bollandola in modo indiscriminato come inadeguata, inetta, degenerata in
particolarismi di potere e di privilegio.
Non può, non deve essere questo l'atteggiamento diffuso
nella nostra comunità nazionale.”
Ed, effettivamente, davanti alla crisi
economica del nostro Paese “il cor
si spaura”.
L’intero discorso è costellato da espressioni
dal sapore antico. Lo sono gli aggettivi usati in forma di epiteto e posti
prima del nome: “ragionata fiducia”; “magnifico impegno”;”intangibili
valori”. E lo sono anche le parole ormai desuete,
soprattutto nel mondo dei media e della politica: “lena”; “cimento”.
Il discorso si conclude con l’esortazione alla
palingenesi che deve seguire alla crisi economica, così come successe nell’Italia
post-bellica.
“Ciascuno faccia la sua parte al meglio.”
È giusto, facciamo del nostro meglio.
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