venerdì 2 gennaio 2015

Fate vobis. Il discorso d'addio di Giorgio Napolitano


Ci mancherà lo stile risorgimentale di Giorgio Napolitano. L’uso dell’epiteto, il lessico desueto, l’inizio della frase con il gerundio. Un’oratoria che lo ha reso unico nel linguaggio politico contemporaneo.
Un periodare aulico che non si astiene, tuttavia, dal dare una mazzata a Salvini e ai Cinque Stelle e non manca di dimostrare in modo esplicito le personali difficoltà.
Il discorso di fine 2014 inizia con un atto linguistico puro: dare le dimissioni, un’azione che si produce attraverso le parole.
“Il messaggio augurale di fine d'anno che ormai dal 2006 rivolgo a tutti gli italiani, presenterà questa volta qualche tratto speciale e un po' diverso rispetto al passato. Innanzitutto perché le mie riflessioni avranno per destinatario anche chi presto mi succederà nelle funzioni di Presidente della Repubblica.
Funzioni che sto per lasciare, rassegnando le dimissioni: ipotesi che la Costituzione prevede espressamente.”
Segue un’ammissione della propria fragilità, che viene espressa con un registro decisamente poetico: “le incognite racchiuse dai segni dell’affaticamento”.
“[…] dico semplicemente che ho il dovere di non sottovalutare i segni dell'affaticamento e le incognite che essi racchiudono, e dunque di non esitare a trarne le conseguenze.”
Il presidente affida a una preterizione l’endorsement in favore del premier Matteo Renzi.
La preterizione è una figura sofisticata: consente di affermare di evitare di parlare di qualcosa, quando, in realtà, se ne sta parlando. La preterizione di Napolitano è doppia ed è introdotta da “Non occorre che io ripeta” e da “non torno ora”. Ovviamente lo ripete e ci torna, eccome!
“Non occorre che io ripeta - l'ho fatto ancora di recente in altra pubblica occasione - le ragioni dell'importanza della riforma del Parlamento, e innanzitutto del superamento del bicameralismo paritario, nonché della revisione del rapporto tra Stato e Regioni.
Ma sul necessario più vasto programma di riforme - istituzionali e socio-economiche - messo in cantiere dal governo, sulle difficoltà politiche che ne insidiano l'attuazione, sulle possibilità di dialogo e chiarimento con forze esterne alla maggioranza di governo - anche, s'intende, e in via prioritaria, per il varo di una nuova legge elettorale - non torno ora avendovi già dedicato largamente il mio intervento, due settimane fa, all'incontro di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile.”
Segue un riferimento alla deludente economia italiana e agli sforzi ancora vani per rilanciarla. Il riferimento introduce una frecciata a Salvini e al Movimento 5 Stelle e alle loro istanze anti euro.
“Nulla di più velleitario e pericoloso può invece esservi di certi appelli al ritorno alle monete nazionali attraverso la disintegrazione dell'Euro e di ogni comune politica anti-crisi.”
Una tripletta di gerundi apre le frasi che esortano a non cadere del baratro dell’anti-politica: “guardando”, “vedendo”, “bollandola”. Ritorna alla mente: “Ma sedendo e mirando…” di Giacomo Leopardi.
“Guardando ai tratti più negativi di questo quadro, e vedendo come esso si leghi a debolezze e distorsioni antiche della nostra struttura economico-sociale e del nostro Stato, si può essere presi da un senso di sgomento al pensiero dei cambiamenti che sarebbero necessari per aprirci un futuro migliore, e si può cedere al tempo stesso alla sfiducia nella politica, bollandola in modo indiscriminato come inadeguata, inetta, degenerata in particolarismi di potere e di privilegio.
Non può, non deve essere questo l'atteggiamento diffuso nella nostra comunità nazionale.”
Ed, effettivamente, davanti alla crisi economica del nostro Paese “il cor
si spaura”.
L’intero discorso è costellato da espressioni dal sapore antico. Lo sono gli aggettivi usati in forma di epiteto e posti prima del nome: “ragionata fiducia”; “magnifico impegno”;”intangibili valori”. E lo sono anche le parole ormai desuete, soprattutto nel mondo dei media e della politica: “lena”; “cimento”.
Il discorso si conclude con l’esortazione alla palingenesi che deve seguire alla crisi economica, così come successe nell’Italia post-bellica.
“Ciascuno faccia la sua parte al meglio.”
È giusto, facciamo del nostro meglio.
Buon 2015 a tutti!

Qui il testo e il video del discorso.


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