Questa mattina è scomparso Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999. La notizia è arrivata da Twitter, che ha "bruciato" le agenzie di stampa.
Un esempio interessante di come i social media stiano cambiando l'informazione.
Ps Ovviamente il profilo su Wikipedia è stato già aggiornato.
domenica 29 gennaio 2012
sabato 28 gennaio 2012
"Se hai più di 30 anni e non hai ancora l'autista vuol dire che sei uno sfigato". Margaret Tatcher
Un lettore mi ha ricordato con un suo post questa frase della lady di ferro. Michel Martone studia da Tatcher?
Anche se questa frase è stata attribuita alla Tatcher ma non esiste una conferma che sia stata effettivamente pronunciata dalla iron lady.
Anche se questa frase è stata attribuita alla Tatcher ma non esiste una conferma che sia stata effettivamente pronunciata dalla iron lady.
mercoledì 25 gennaio 2012
Margaret Thatcher. La lady di ferro usava parole di ferro?
Venerdì 27 gennaio esce in Italia il film "The iron lady", nel quale Maryl Streep interpreta la donna che è stata premier della Gran Bretagna per tre mandati, dal 1979 al 1990.
La signora Thatcher è passata alla storia per la sua politica intransigente. Nel 1981 non cede alle richieste di un gruppo di estremisti dell’Ira che avevano proclamato lo sciopero della fame per rivendicare lo status di prigionieri politici. Dieci tra loro muoiono. Nel 1982 alimenta il patriottismo britannico, inviando l’esercito nelle isole Falkland, occupate dall’Argentina. Nel 1984 reprime con durezza i picchetti dei minatori, sconfiggendo i trade unions. Nel 1988 vota il section 28, che combatte la promozione dell’omosessualità. L’attuale premier britannico Cameron ne ha preso le distanze nel 2009, giudicandolo offensivo. Vive, inoltre, una felice congiunzione astrale con il presidente Usa Ronald Reagan, con il quale condivide le strategie antisovietiche.
Ma le sue parole erano heavy metal come la sua politica? Guardando i video e leggendo i discorsi emerge un personaggio spigoloso e volitivo. Una durezza che sembra intenzionalmente evidenziata, costruita a tavolino pezzo per pezzo. Del resto essere donna e figlia del droghiere nella snob Gran Bretagna degli anni Settanta non sono certo i migliori requisiti per la carriera pubblica. Ma Margaret sgobba, si laurea in chimica, si sposa, ha due gemelli e, lo stesso anno, completa gli studi per diventare avvocato.
Nei primi discorsi ha una voce sottile, stridula, gallinesca video. Ci lavora su e la rende profonda e sofisticata, quella di un capo di Stato. Nel 1976, prima di diventare premier, pronuncia il discorso “Britain awake” al Kensigton Town Hall che le farà conquistare la definizione di “Iron lady”, usata per la prima volta da Stella rossa, giornale dell’esercito sovietico.
Il linguaggio è effettivamente ferroso: nessun giro di parole, dritta al punto senza temporeggiare. Le parole sono semplici e i concetti taglienti come l’acciaio (siamo ormai oltre il ferro).
In quel discorso accusa i Labour di aver reso il paese vulnerabile nei confronti di un’improbabile aggressione comunista, a causa dei tagli agli armamenti.
«L’avanzata del potere comunista minaccia il nostro stile di vita. […] In altre parole: più a lungo i Labour rimarranno al potere, sempre più il nostro paese sarà vulnerabile. […] Se ci saranno ulteriori tagli, forse sarebbe opportuno che il Segretario della Difesa cambi il suo titolo, per maggiore precisione, in Segretario dell’Insicurezza»
E il “forse” è sarcastico, non dubitativo.
Ancora ferro: «La nostra capacità di giocare un ruolo costruttivo nelle politiche internazionali è certamente collegata alla nostra forza economica e militare.»
Nel 1984 a Brighton, nel corso di un congresso di partito, sopravvive a un attentato degli estremisti irlandesi dell’Ira a causa del quale muoiono cinque persone. La Thatcher dichiara alla stampa:
«Non ti aspetti che possa capitare a proprio a te. Ma la vita deve andare avanti. Come al solito. La conferenza andrà avanti. La conferenza andrà avanti. Come… al solito!» (video)
«As… usual!»
La signora Thatcher è passata alla storia per la sua politica intransigente. Nel 1981 non cede alle richieste di un gruppo di estremisti dell’Ira che avevano proclamato lo sciopero della fame per rivendicare lo status di prigionieri politici. Dieci tra loro muoiono. Nel 1982 alimenta il patriottismo britannico, inviando l’esercito nelle isole Falkland, occupate dall’Argentina. Nel 1984 reprime con durezza i picchetti dei minatori, sconfiggendo i trade unions. Nel 1988 vota il section 28, che combatte la promozione dell’omosessualità. L’attuale premier britannico Cameron ne ha preso le distanze nel 2009, giudicandolo offensivo. Vive, inoltre, una felice congiunzione astrale con il presidente Usa Ronald Reagan, con il quale condivide le strategie antisovietiche.
Ma le sue parole erano heavy metal come la sua politica? Guardando i video e leggendo i discorsi emerge un personaggio spigoloso e volitivo. Una durezza che sembra intenzionalmente evidenziata, costruita a tavolino pezzo per pezzo. Del resto essere donna e figlia del droghiere nella snob Gran Bretagna degli anni Settanta non sono certo i migliori requisiti per la carriera pubblica. Ma Margaret sgobba, si laurea in chimica, si sposa, ha due gemelli e, lo stesso anno, completa gli studi per diventare avvocato.
Nei primi discorsi ha una voce sottile, stridula, gallinesca video. Ci lavora su e la rende profonda e sofisticata, quella di un capo di Stato. Nel 1976, prima di diventare premier, pronuncia il discorso “Britain awake” al Kensigton Town Hall che le farà conquistare la definizione di “Iron lady”, usata per la prima volta da Stella rossa, giornale dell’esercito sovietico.
Il linguaggio è effettivamente ferroso: nessun giro di parole, dritta al punto senza temporeggiare. Le parole sono semplici e i concetti taglienti come l’acciaio (siamo ormai oltre il ferro).
In quel discorso accusa i Labour di aver reso il paese vulnerabile nei confronti di un’improbabile aggressione comunista, a causa dei tagli agli armamenti.
«L’avanzata del potere comunista minaccia il nostro stile di vita. […] In altre parole: più a lungo i Labour rimarranno al potere, sempre più il nostro paese sarà vulnerabile. […] Se ci saranno ulteriori tagli, forse sarebbe opportuno che il Segretario della Difesa cambi il suo titolo, per maggiore precisione, in Segretario dell’Insicurezza»
E il “forse” è sarcastico, non dubitativo.
Ancora ferro: «La nostra capacità di giocare un ruolo costruttivo nelle politiche internazionali è certamente collegata alla nostra forza economica e militare.»
Nel 1984 a Brighton, nel corso di un congresso di partito, sopravvive a un attentato degli estremisti irlandesi dell’Ira a causa del quale muoiono cinque persone. La Thatcher dichiara alla stampa:
«Non ti aspetti che possa capitare a proprio a te. Ma la vita deve andare avanti. Come al solito. La conferenza andrà avanti. La conferenza andrà avanti. Come… al solito!» (video)
«As… usual!»
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domenica 22 gennaio 2012
Monti a Otto e mezzo risponde: “sì”, “prestissimo”, “no”. Evviva il laconismo!
Venerdì 20 gennaio Monti, ospite a Otto e mezzo, ha affermato per l’ennesima volta uno stile definito “sobrio”.
In cosa consiste la sobrietà del Monti style?
Uno degli ingredienti è la rinuncia alla verbosità, all’ansia di riempire il vuoto.
Alla domanda di Lilli Gruber (vado a memoria) “pensate di nominare il nuovo direttore generale del Tesoro?” [per sostituire Vittorio Grilli, nominato viceministro dell’economia e delle finanze del Governo Monti n.d.r.].
La riposta è “sì”. Segue una pausa.
Alla domanda della Gruber “quando, presto?”.
La risposta è “prestissimo”.
“Ci può dare qualche anticipazione sul nome?”
“No”. Pausa.
Mario Monti è spesso laconico. Poche parole, tanta autorevolezza.
E, ora, una curiosità. La parola proviene dal greco lakonismos che significa “modo proprio degli spartani”. La Laconia è un’area del Peloponneso nella quale si trova Sparta. Anticamente si riteneva che gli Spartani avessero un modo di parlare caratterizzato da brevità. La parola, infatti, doveva servire per il comando o per la trasmissione di informazioni, non per la conversazione considerata una perdita di tempo e un’attività di scarso rilievo.
In cosa consiste la sobrietà del Monti style?
Uno degli ingredienti è la rinuncia alla verbosità, all’ansia di riempire il vuoto.
Alla domanda di Lilli Gruber (vado a memoria) “pensate di nominare il nuovo direttore generale del Tesoro?” [per sostituire Vittorio Grilli, nominato viceministro dell’economia e delle finanze del Governo Monti n.d.r.].
La riposta è “sì”. Segue una pausa.
Alla domanda della Gruber “quando, presto?”.
La risposta è “prestissimo”.
“Ci può dare qualche anticipazione sul nome?”
“No”. Pausa.
Mario Monti è spesso laconico. Poche parole, tanta autorevolezza.
E, ora, una curiosità. La parola proviene dal greco lakonismos che significa “modo proprio degli spartani”. La Laconia è un’area del Peloponneso nella quale si trova Sparta. Anticamente si riteneva che gli Spartani avessero un modo di parlare caratterizzato da brevità. La parola, infatti, doveva servire per il comando o per la trasmissione di informazioni, non per la conversazione considerata una perdita di tempo e un’attività di scarso rilievo.
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venerdì 20 gennaio 2012
Discorsi potenti collezioni: pillole di retorica
Arringa de “Il verdetto” (1982). Paul Newman, che interpreta l’avvocato Galvin, si rivolge alla giuria:
«Voi siete la legge, non i libri, non gli avvocati, non una statua di marmo o l’apparato della Corte. Quelli sono simboli del nostro desiderio di essere giusti, ma essi sono di fatto una preghiera. Sono una fervente, una spaventata preghiera. Nella mia religione si dice “agisci come se avessi fede. E la fede, la fede ti sarà data”. Se… se dobbiamo avere fede nella giustizia, ci basta credere in noi stessi e agire con giustizia. E credo che ci sia giustizia nei nostri cuori.»
«Voi siete la legge, non i libri, non gli avvocati, non una statua di marmo o l’apparato della Corte. Quelli sono simboli del nostro desiderio di essere giusti, ma essi sono di fatto una preghiera. Sono una fervente, una spaventata preghiera. Nella mia religione si dice “agisci come se avessi fede. E la fede, la fede ti sarà data”. Se… se dobbiamo avere fede nella giustizia, ci basta credere in noi stessi e agire con giustizia. E credo che ci sia giustizia nei nostri cuori.»
mercoledì 18 gennaio 2012
De Falco e Schettino: l'eroe e l'antagonista dello story telling mediatico
Anche i media, non solo la fiction, hanno bisogno dell'eroe e del suo contrario. E la grammatica della narrazione è esigente: pretende che i due personaggi non siano macchiati da alcuna contraddizione.
È il caso dei due involontari protagonisti del naufragio della nave da crociera Concordia, il capo della sala operativa della Capitaneria di porto De Falco e il comandante della nave Schettino.
De Falco è ritratto come coraggioso, onesto, ottimo padre di due bambine. Gli si attribuisce anche quel pizzico di "birichinaggine" che serve a completare il quadro: «quando non è in mare, inforca la moto e corre sull'Aurelia oppure parte in camper con la sua famiglia in giro per l'Italia e l'Europa» (Corriere della sera di oggi). Un po' eroe un po' zingaro.
Schettino, invece, è ritratto come un vigliacco, bugiardo, cialtrone.
Il buono senza macchia e il cattivo che più cattivo non si può.
Raffaella, la moglie del buono, riporta un po' di senso della misura nella vicenda: «la cosa preoccupante è che persone come mio marito, persone che fanno semplicemente il loro dovere ogni giorno, diventino subito in questo Paese idoli, personaggi, eroi. Non è per niente normale».
È il caso dei due involontari protagonisti del naufragio della nave da crociera Concordia, il capo della sala operativa della Capitaneria di porto De Falco e il comandante della nave Schettino.
De Falco è ritratto come coraggioso, onesto, ottimo padre di due bambine. Gli si attribuisce anche quel pizzico di "birichinaggine" che serve a completare il quadro: «quando non è in mare, inforca la moto e corre sull'Aurelia oppure parte in camper con la sua famiglia in giro per l'Italia e l'Europa» (Corriere della sera di oggi). Un po' eroe un po' zingaro.
Schettino, invece, è ritratto come un vigliacco, bugiardo, cialtrone.
Il buono senza macchia e il cattivo che più cattivo non si può.
Raffaella, la moglie del buono, riporta un po' di senso della misura nella vicenda: «la cosa preoccupante è che persone come mio marito, persone che fanno semplicemente il loro dovere ogni giorno, diventino subito in questo Paese idoli, personaggi, eroi. Non è per niente normale».
martedì 17 gennaio 2012
Discorsi potenti collezioni: pillole di retorica
Parte oggi una rubrica di Discorsi potenti: "discorsi potenti collezione". Raccoglierà piccoli capolavori di retorica. Inizio con i grandi processi del cinema. Pubblico oggi "Codice d'onore" (1992) nel quale il grande Jack Nicholson pronuncia un discorso che, per quanto negativo nei contenuti ed eticamente discutibile, è tecnicamente perfetto.
La citazione: «Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco»
giovedì 12 gennaio 2012
Patroni Griffi prostrato dalla casa
L’ennesimo putiferio per la casa strasottopagata mostra il protagonista, il ministro della funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, devastato dalla pressione mediatica.
Certo, 170 mila euro nel 2001 per 100 metri quadri vicino al Colosseo a Roma sono pochini pochini. Ma sarebbe interessante capire quanti di quelli che oggi lanciano la pietra sono riusciti a intercettare occasioni d’oro nell’opaco mondo immobiliare romano.
Ma questo blog non entra nel merito della questione, ma delle argomentazioni utilizzate dal protagonista della vicenda, che prostrato dice:
«Ma cosa potevo saperne io che sarei divenuto ministro e avrei trovato giornalisti così aggressivi e insinuazioni così velenose.»
Delle tante argomentazioni che si potevano mettere in campo non mi sembra la più felice.
Le scelte individuali non assumono un valore etico diverso sulla base della variabile “diventerò ministro oppure no”.
Certo, 170 mila euro nel 2001 per 100 metri quadri vicino al Colosseo a Roma sono pochini pochini. Ma sarebbe interessante capire quanti di quelli che oggi lanciano la pietra sono riusciti a intercettare occasioni d’oro nell’opaco mondo immobiliare romano.
Ma questo blog non entra nel merito della questione, ma delle argomentazioni utilizzate dal protagonista della vicenda, che prostrato dice:
«Ma cosa potevo saperne io che sarei divenuto ministro e avrei trovato giornalisti così aggressivi e insinuazioni così velenose.»
Delle tante argomentazioni che si potevano mettere in campo non mi sembra la più felice.
Le scelte individuali non assumono un valore etico diverso sulla base della variabile “diventerò ministro oppure no”.
lunedì 9 gennaio 2012
Monty style: dallo story telling all’economy telling
Per quanto tempo lo storytelling, la narrazione finalizzata a coinvolgere l’uditorio, è stata indicata come unica arma di comunicazione vincente, a scapito di altre forme di argomentazione? Troppo.
Monti, con il suo stile, dimostra che le vie dell’argomentazione sono infinite e che non esiste la formula buona per tutte le stagioni.
Il neo premier, al contrario di quanto predicano guru o presunti guru della comunicazione, non affabula. Si limita a illustrare le ragioni delle scelte del suo governo. A volte riesce a farlo in modo semplice, a volte invece le spiegazioni sono un po’ ostiche per i più, ma l’uditorio apprezza comunque la competenza e il fatto stesso di essere trattato da pari a pari.
Monti puntualizza. Ci tiene a chiamare le cose con il loro nome. Chi evade le tasse è un ladro. Non è il Governo a mettere le mani nelle tasche degli italiani attraverso la tassazione – come sosteneva Berlusconi – ma sono gli evasori a farlo:
«Sono loro a mettere le mani nelle tasche di chi fa sacrifici».
Ieri sera, a CheTempoCheFa, ha dimostrato anche che non bisogna sempre (e solo) parlare terra terra per farsi capire e per coinvolgere i propri interlocutori. Ha utilizzato un linguaggio sofisticato, mettendo in campo parole come «dissipare», «manicheo» («nelle cose economiche non si può essere manichei»), «cogente», «durevole» («veri e durevoli posti di lavoro»).
È riuscito anche a sfatare il mito del politico che deve sempre avere risposte per tutto e, di conseguenza, è costretto a ricorrere agli slogan per colmare la carenza di soluzioni precostituite:
«Sarò un po’ evasivo […] le politiche vere meritano riflessioni che durano più di qualche secondo.»
Certo non essere stato costretto a promettere mari e monti per essere eletto è un grande vantaggio, come pure è un vantaggio essere stato presentato agli italiani come salvatore della patria. Ma sicuramente gli italiani erano stanchi della bonomia pubblicitaria che porta a dire che i ristoranti sono pieni quando il Paese è in crisi; della semplificazione estrema delle faccine di Brunetta e di essere tallonati dalle ricerche di mercato.
Monti, con il suo stile, dimostra che le vie dell’argomentazione sono infinite e che non esiste la formula buona per tutte le stagioni.
Il neo premier, al contrario di quanto predicano guru o presunti guru della comunicazione, non affabula. Si limita a illustrare le ragioni delle scelte del suo governo. A volte riesce a farlo in modo semplice, a volte invece le spiegazioni sono un po’ ostiche per i più, ma l’uditorio apprezza comunque la competenza e il fatto stesso di essere trattato da pari a pari.
Monti puntualizza. Ci tiene a chiamare le cose con il loro nome. Chi evade le tasse è un ladro. Non è il Governo a mettere le mani nelle tasche degli italiani attraverso la tassazione – come sosteneva Berlusconi – ma sono gli evasori a farlo:
«Sono loro a mettere le mani nelle tasche di chi fa sacrifici».
Ieri sera, a CheTempoCheFa, ha dimostrato anche che non bisogna sempre (e solo) parlare terra terra per farsi capire e per coinvolgere i propri interlocutori. Ha utilizzato un linguaggio sofisticato, mettendo in campo parole come «dissipare», «manicheo» («nelle cose economiche non si può essere manichei»), «cogente», «durevole» («veri e durevoli posti di lavoro»).
È riuscito anche a sfatare il mito del politico che deve sempre avere risposte per tutto e, di conseguenza, è costretto a ricorrere agli slogan per colmare la carenza di soluzioni precostituite:
«Sarò un po’ evasivo […] le politiche vere meritano riflessioni che durano più di qualche secondo.»
Certo non essere stato costretto a promettere mari e monti per essere eletto è un grande vantaggio, come pure è un vantaggio essere stato presentato agli italiani come salvatore della patria. Ma sicuramente gli italiani erano stanchi della bonomia pubblicitaria che porta a dire che i ristoranti sono pieni quando il Paese è in crisi; della semplificazione estrema delle faccine di Brunetta e di essere tallonati dalle ricerche di mercato.
giovedì 5 gennaio 2012
Calderoli, la toppa e il buco. Ma il popolo leghista è così disperato?
L’ex ministro Calderoli ha scatenato un polverone mediatico accusando Il premier Mario Monti di aver organizzato un «veglione» a Palazzo Chigi:
«Andrò a denunciare il presidente del consiglio in Procura. Ci è cascato in pieno, non doveva tenere aperto il portone di Palazzo Chigi per ragioni di sicurezza e di costi. Se c’è stato un veglione deve dimettersi».
Monti ha replicato con una precisione talmente maniacale da far risultare ridicole le accuse dell’ex ministro lumbàrd. La risposta è un bell’esempio di presupposizione linguistica, perché il premier non è caduto nella trappola del “come si permette” o dell’”allora Berlusconi del quale avete sopportato in silenzio feste e festini?”.
Si limita, invece, a diramare un elenco puntuale: menu; commensali; approvvigionamento di lenticchie, cotechino e tortellini (ad opera della signora Monti); personale di cucina (ancora la signora Monti); camerieri per il servizio a tavola (sempre e solo la signora di cui sopra); lista degli ospiti intervenuti (una folla di dodici parenti stretti, bimbi compresi).
Un elenco che grida senza mai dirlo esplicitamente – ecco la presupposizione linguistica – quanto sia assurda, ridicola, grottesca l’accusa di Calderoli.
L’ex ministro risponde: «è una toppa peggiore del buco».
Ma il popolo leghista è così deluso e disperato da accontentarsi di questi rantoli forcaioli? Penso si aspetti e meriti di più.
«Andrò a denunciare il presidente del consiglio in Procura. Ci è cascato in pieno, non doveva tenere aperto il portone di Palazzo Chigi per ragioni di sicurezza e di costi. Se c’è stato un veglione deve dimettersi».
Monti ha replicato con una precisione talmente maniacale da far risultare ridicole le accuse dell’ex ministro lumbàrd. La risposta è un bell’esempio di presupposizione linguistica, perché il premier non è caduto nella trappola del “come si permette” o dell’”allora Berlusconi del quale avete sopportato in silenzio feste e festini?”.
Si limita, invece, a diramare un elenco puntuale: menu; commensali; approvvigionamento di lenticchie, cotechino e tortellini (ad opera della signora Monti); personale di cucina (ancora la signora Monti); camerieri per il servizio a tavola (sempre e solo la signora di cui sopra); lista degli ospiti intervenuti (una folla di dodici parenti stretti, bimbi compresi).
Un elenco che grida senza mai dirlo esplicitamente – ecco la presupposizione linguistica – quanto sia assurda, ridicola, grottesca l’accusa di Calderoli.
L’ex ministro risponde: «è una toppa peggiore del buco».
Ma il popolo leghista è così deluso e disperato da accontentarsi di questi rantoli forcaioli? Penso si aspetti e meriti di più.
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lunedì 2 gennaio 2012
Giorgio Napolitano. Il discorso di fine anno del regista della politica italiana
Elegante e preciso. Due aggettivi per definire il discorso di fine anno di Giorgio Napolitano.
La varietà lessicale e la precisione millimetrica nella gestione del periodo ne fanno un’allocuzione che ha un carattere aristocratico e ottocentesco, senza perdere tuttavia quel mordente necessario a lasciare il segno.
La voce è calda (direi paterna) e la pronuncia chiarissima, appena ammorbidita da un tocco partenopeo, che la rende più vicina e terrena.
Uno stile – come sottolineato più volte nel blog – che in questo momento storico viene apprezzato per differenza, essendo l’esatto opposto della sguaiatezza, della sproporzione e della semplificazione in stile marketing dall’era berlusconiana.
Alcuni ingredienti del discorso di Napolitano.
1. PAROLE
(in ordine di apparizione nel discorso)
Recato
«Grazie a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell'Italia unita e i suoi 150 anni di vita».
Sconsiglio tutti quelli che non sono Giorgio Napolitano (e non ne hanno la statura istituzionale) di usare il termine “recato” al posto di “andato”.
Dibatte
«La radice di questi stati d'animo [scoraggiamento e pessimismo per la condizione attuale dell’Italia], anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l'Italia si dibatte».
I comuni mortali avrebbero detto “la crisi finanziaria ed economica che l’Italia affronta”, ma “dibatte” è più preciso e ricco di sfumature, perché significa “reagire con fatica e anche in modo scomposto”.
Lena
«[…] colpire corruzione ed evasione fiscale. È un'opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità».
“Lena” significa respiro, fiato.
Maestranze
La parola viene pronunciata dal Presidente quando ricorda gli incontri nelle fabbriche che hanno caratterizzato il suo passato politico.
Il termine è preciso, in quanto indica “l’insieme di operai che lavorano in un grosso complesso industriale” (Devoti, Oli). Mi sembra però che abbia un’accezione leggermente snob. Avrei preferito “lavoratori”. “Operai”, invece, sarebbe stata una parola sbagliata, per la storia politica cui è legata, che avrebbe rischiato di dividere l’uditorio invece di unirlo.
Severa
«L'Italia può e deve farcela. La nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa».
Bell’aggettivo per suggerire che i politici e i cittadini devono dimostrare maggiore rigore ed essere alieni da cedimenti.
2. EPITETI
Un classico dei discorsi di Napolitano è l’aggettivo prima del nome che crea una sorta di epiteto. Tre esempi:
«gravosa ipoteca»
«fecondo dispiegarsi della conoscenza e del merito»
«acute necessità»
3. CHIAREZZA DEI CONTENUTI
Lo stile risorgimentale del Presidente non esclude la chiarezza dei contenuti. È questo l’aspetto che lo rende apprezzabile. Se i contenuti mancassero – o se non fossero chiari – l’allocuzione scivolerebbe nel puro manierismo.
Qualche esempio:
«Nessuno, oggi - nessun gruppo sociale - può sottrarsi all'impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell'Italia».
«Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell'Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale». Qui Napolitano dà un’elegante imbeccata ai sindacati, suggerendo loro il comportamento che devono tenere nel prossimo futuro.
«[…] colpire corruzione ed evasione fiscale».
«[…] i sacrifici sono inevitabili per tutti».
«All'Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali».
«[…] crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare».
Carissima Lega, hai capito?
La varietà lessicale e la precisione millimetrica nella gestione del periodo ne fanno un’allocuzione che ha un carattere aristocratico e ottocentesco, senza perdere tuttavia quel mordente necessario a lasciare il segno.
La voce è calda (direi paterna) e la pronuncia chiarissima, appena ammorbidita da un tocco partenopeo, che la rende più vicina e terrena.
Uno stile – come sottolineato più volte nel blog – che in questo momento storico viene apprezzato per differenza, essendo l’esatto opposto della sguaiatezza, della sproporzione e della semplificazione in stile marketing dall’era berlusconiana.
Alcuni ingredienti del discorso di Napolitano.
1. PAROLE
(in ordine di apparizione nel discorso)
Recato
«Grazie a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell'Italia unita e i suoi 150 anni di vita».
Sconsiglio tutti quelli che non sono Giorgio Napolitano (e non ne hanno la statura istituzionale) di usare il termine “recato” al posto di “andato”.
Dibatte
«La radice di questi stati d'animo [scoraggiamento e pessimismo per la condizione attuale dell’Italia], anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l'Italia si dibatte».
I comuni mortali avrebbero detto “la crisi finanziaria ed economica che l’Italia affronta”, ma “dibatte” è più preciso e ricco di sfumature, perché significa “reagire con fatica e anche in modo scomposto”.
Lena
«[…] colpire corruzione ed evasione fiscale. È un'opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità».
“Lena” significa respiro, fiato.
Maestranze
La parola viene pronunciata dal Presidente quando ricorda gli incontri nelle fabbriche che hanno caratterizzato il suo passato politico.
Il termine è preciso, in quanto indica “l’insieme di operai che lavorano in un grosso complesso industriale” (Devoti, Oli). Mi sembra però che abbia un’accezione leggermente snob. Avrei preferito “lavoratori”. “Operai”, invece, sarebbe stata una parola sbagliata, per la storia politica cui è legata, che avrebbe rischiato di dividere l’uditorio invece di unirlo.
Severa
«L'Italia può e deve farcela. La nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa».
Bell’aggettivo per suggerire che i politici e i cittadini devono dimostrare maggiore rigore ed essere alieni da cedimenti.
2. EPITETI
Un classico dei discorsi di Napolitano è l’aggettivo prima del nome che crea una sorta di epiteto. Tre esempi:
«gravosa ipoteca»
«fecondo dispiegarsi della conoscenza e del merito»
«acute necessità»
3. CHIAREZZA DEI CONTENUTI
Lo stile risorgimentale del Presidente non esclude la chiarezza dei contenuti. È questo l’aspetto che lo rende apprezzabile. Se i contenuti mancassero – o se non fossero chiari – l’allocuzione scivolerebbe nel puro manierismo.
Qualche esempio:
«Nessuno, oggi - nessun gruppo sociale - può sottrarsi all'impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell'Italia».
«Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell'Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale». Qui Napolitano dà un’elegante imbeccata ai sindacati, suggerendo loro il comportamento che devono tenere nel prossimo futuro.
«[…] colpire corruzione ed evasione fiscale».
«[…] i sacrifici sono inevitabili per tutti».
«All'Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali».
«[…] crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare».
Carissima Lega, hai capito?
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