“Tornando a casa,
troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: 'Questa è la carezza del
Papa'. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una
parola di conforto.”
Il
Discorso alla Luna di Papa Roncalli è stato rivoluzionario per la sua epoca. Un
discorso a braccio pronunciato al termine della giornata di apertura del
Concilio Vaticano II a Roma nel 1962.
Nel
discorso, il papa sbaglia un congiuntivo. I puristi inorridiscono quando l’eloquio
inciampa sulla grammatica. Io sono convinta che non sia un problema. Anche
perché i congiuntivi li sbagliamo tutti.
La
grammatica è importante, ma la lingua è fatta per comunicare. Dopo aver letto e
ascoltato migliaia di discorsi, penso di poter dire che il bravo oratore non è
quello che non ha incertezze, che non sbaglia mai. Il bravo oratore è quello
che riesce ad attingere al suo vissuto e a restituirlo al mondo attraverso le
parole. Poi, se ci mette un po’ di tecnica - un po’ di retorica, intendo – le
parole volano e l’uditorio vola con loro.
Ecco il
salto del congiuntivo di Roncalli:
“Si direbbe che persino la Luna si è affrettata stasera. Osservatela in alto, a guardare questo
spettacolo, Noi chiudiamo una grande giornata di pace. Sì, di pace: Gloria a
Dio, e pace agli uomini di buona volontà.”
Ode alla s-grammatica.
Guarda il
video: https://www.youtube.com/watch?v=QoShzJiwop4
Testo
completo:
Papa Giovanni XIII, Discorso alla Luna, Roma, 11 ottobre
1962
Cari figlioli, sento le vostre
voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo. E qui di fatto il
mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la Luna si è affrettata stasera.
Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo, Noi chiudiamo una grande
giornata di pace. Sì, di pace: Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona
volontà.
Se domandassi, se potessi chiedere
ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui
specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini,
e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente
di rappresentare la Roma caput mundi, la capitale del mondo, così come per
disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli.
La mia persona conta niente: è un
fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro
Signore. Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci
così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è,
qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà.
Tornando a casa, troverete i
bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”.
Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola
di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle
ore della mestizia e dell’amarezza. E poi tutti insieme ci animiamo: cantando,
sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che
ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla
benedizione aggiungo l’augurio della buona notte.
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