domenica 27 aprile 2014

Per i fan del congiuntivo. Papa Giovanni XIII ci dimostra che si comunica alla grande anche senza



“Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: 'Questa è la carezza del Papa'. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto.”
Il Discorso alla Luna di Papa Roncalli è stato rivoluzionario per la sua epoca. Un discorso a braccio pronunciato al termine della giornata di apertura del Concilio Vaticano II a Roma nel 1962.
Nel discorso, il papa sbaglia un congiuntivo. I puristi inorridiscono quando l’eloquio inciampa sulla grammatica. Io sono convinta che non sia un problema. Anche perché i congiuntivi li sbagliamo tutti.
La grammatica è importante, ma la lingua è fatta per comunicare. Dopo aver letto e ascoltato migliaia di discorsi, penso di poter dire che il bravo oratore non è quello che non ha incertezze, che non sbaglia mai. Il bravo oratore è quello che riesce ad attingere al suo vissuto e a restituirlo al mondo attraverso le parole. Poi, se ci mette un po’ di tecnica - un po’ di retorica, intendo – le parole volano e l’uditorio vola con loro.
Ecco il salto del congiuntivo di Roncalli:
“Si direbbe che persino la Luna si è affrettata stasera. Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo, Noi chiudiamo una grande giornata di pace. Sì, di pace: Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà.”
Ode alla s-grammatica.

Guarda il video: https://www.youtube.com/watch?v=QoShzJiwop4 

Testo completo:
Papa Giovanni XIII, Discorso alla Luna, Roma, 11 ottobre 1962

Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo. E qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la Luna si è affrettata stasera. Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo, Noi chiudiamo una grande giornata di pace. Sì, di pace: Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà.
Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la Roma caput mundi, la capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli.
La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore. Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà.
Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza. E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte.


Nessun commento:

Posta un commento