lunedì 2 gennaio 2012

Giorgio Napolitano. Il discorso di fine anno del regista della politica italiana




Elegante e preciso. Due aggettivi per definire il discorso di fine anno di Giorgio Napolitano.

La varietà lessicale e la precisione millimetrica nella gestione del periodo ne fanno un’allocuzione che ha un carattere aristocratico e ottocentesco, senza perdere tuttavia quel mordente necessario a lasciare il segno.

La voce è calda (direi paterna) e la pronuncia chiarissima, appena ammorbidita da un tocco partenopeo, che la rende più vicina e terrena.

Uno stile – come sottolineato più volte nel blog – che in questo momento storico viene apprezzato per differenza, essendo l’esatto opposto della sguaiatezza, della sproporzione e della semplificazione in stile marketing dall’era berlusconiana.

Alcuni ingredienti del discorso di Napolitano.

1. PAROLE
(in ordine di apparizione nel discorso)

Recato
«Grazie a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell'Italia unita e i suoi 150 anni di vita».
Sconsiglio tutti quelli che non sono Giorgio Napolitano (e non ne hanno la statura istituzionale) di usare il termine “recato” al posto di “andato”.

Dibatte
«La radice di questi stati d'animo [scoraggiamento e pessimismo per la condizione attuale dell’Italia], anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l'Italia si dibatte».
I comuni mortali avrebbero detto “la crisi finanziaria ed economica che l’Italia affronta”, ma “dibatte” è più preciso e ricco di sfumature, perché significa “reagire con fatica e anche in modo scomposto”.

Lena
«[…] colpire corruzione ed evasione fiscale. È un'opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità».
“Lena” significa respiro, fiato.

Maestranze
La parola viene pronunciata dal Presidente quando ricorda gli incontri nelle fabbriche che hanno caratterizzato il suo passato politico.
Il termine è preciso, in quanto indica “l’insieme di operai che lavorano in un grosso complesso industriale” (Devoti, Oli). Mi sembra però che abbia un’accezione leggermente snob. Avrei preferito “lavoratori”. “Operai”, invece, sarebbe stata una parola sbagliata, per la storia politica cui è legata, che avrebbe rischiato di dividere l’uditorio invece di unirlo.

Severa
«L'Italia può e deve farcela. La nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa».
Bell’aggettivo per suggerire che i politici e i cittadini devono dimostrare maggiore rigore ed essere alieni da cedimenti.

2. EPITETI
Un classico dei discorsi di Napolitano è l’aggettivo prima del nome che crea una sorta di epiteto. Tre esempi:
«gravosa ipoteca»
«fecondo dispiegarsi della conoscenza e del merito»
«acute necessità»

3. CHIAREZZA DEI CONTENUTI
Lo stile risorgimentale del Presidente non esclude la chiarezza dei contenuti. È questo l’aspetto che lo rende apprezzabile. Se i contenuti mancassero – o se non fossero chiari – l’allocuzione scivolerebbe nel puro manierismo.

Qualche esempio:
«Nessuno, oggi - nessun gruppo sociale - può sottrarsi all'impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell'Italia».

«Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell'Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale». Qui Napolitano dà un’elegante imbeccata ai sindacati, suggerendo loro il comportamento che devono tenere nel prossimo futuro.

«[…] colpire corruzione ed evasione fiscale».

«[…] i sacrifici sono inevitabili per tutti».

«All'Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali».

«[…] crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare».
Carissima Lega, hai capito?

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