lunedì 7 maggio 2012
Ich bin ein Berliner. La preghiera di Kennedy per la libertà
Sono in viaggio di lavoro in giro per il Sud America e posso seguire con difficoltà i discorsi più o meno potenti di casa nostra. Ne approfitto per una pausa salutare e per rispolverare qualche super classico dell'oratoria.
La collana di Dvd "Le parole che hanno cambiato il mondo", in edicola in questi giorni con il Corriere della sera, ha riproposto il discorso pronunciato da John F. Kennedy nel giugno del 1963 a Berlino Ovest, in piena della Guerra Fredda.
Un'allocuzione passata alla storia per una frase chiave che il presidente Usa dice in tedesco, incastonandola in un discorso pronunciato in inglese:
«Ich bin ein Berliner», "Sono un berlinese".
Quanta retorica in questa fase. E di quella buona! Le arguzie linguistiche e stilistiche si sommano offrendo all'uditorio vari livelli di comprensione e coinvolgimento. Non è affatto scontato che il pubblico li individui tutti. Anzi, questo non avviene quasi mai, ciò malgrado ne riesce ad apprezzare lo spessore e la portata.
Innanzitutto Kennedy mette in campo una captatio benevolentiae. Forse banale, ma sempre un cavallo di battaglia. Noi tutti proviamo gratitudine per lo straniero che si sforza di parlare la lingua locale. Lo sanno bene le pop e le rock star che, nei concerti, cercano di pronunciare qualche frasetta nella lingua indigena. Sembra che la Pausini sia un'esperta assoluta nel campo.
Poi, il presidente Usa si sofferma sulla spiegazione del significato della frase, in puro stile divulgativo made in Usa, che mira alla comprensione anche dei più disattenti o dei più impermeabili alle profondità della lingua:
«Duemila anni fa, il più grande orgoglio era dire "civis Romanus sum" oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire "Ich bin ein Berliner".»
In chiusura Kennedy torna sul punto, non vuole che a nessuno sfugga il concetto. Tutti, proprio tutti, devono comprendere cosa intende dire:
«Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire "Ich bin ein Berliner".»
Ecco un altro livello: essere berlinesi come metafora di libertà.
Non manca una liturgia: l'iterazione di una frase gemella, benché eterozigote, di «Ich bin ein Berliner»:
«Che vengano a Berlino.»
È la risposta ai sostenitori del comunismo, dei quali Kennedy rievoca e smonta le argomentazioni, formando quattro coppie:
Coppia uno.
«Ci sono molte persone al mondo che veramente non capiscono, o dicono di non capire, quale sia il grande elemento di differenza tra il mondo libero e quello comunista.
Che vengano a Berlino.»
Coppia due.
«Ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l'onda del futuro.
Che vengano a Berlino.»
Coppia tre.
«E ce ne sono alcune che, in Europa come altrove, dicono che possiamo collaborare con i comunisti.
Che vengano a Berlino.»
Coppia quattro.
«E ce ne sono anche certe che dicono che è vero che il comunismo è un sistema malvagio, ma che permette di ottenere il progresso economico.
Che vengano a Berlino.»
È il meccanismo che coloro che vanno a messa conoscono bene: «Cristo pietà, Signore pietà».
Saluti da Bogotà.
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Blog interessantissimo complimenti
RispondiEliminaGrazie mille per i complimenti.
RispondiEliminaMi scuso se in questi giorni non sto "postando" nuovi contributi ma sono in giro per il Sud America per lavoro.
Mi metterò in pari al mio ritorno il 21 maggio.
Saluti da Quito,
Flavia