Pensiamo a un povero disgraziato che di cognome si chiama Hitler o a un altro che si chiama Pacciani. Oppure a una che si chiama Mussolini. Anzi no. Questo - a quanto pare - sembra non essere più un problema.
Ci sono cognomi che perdono la loro semplice funzione di identificazione della persona per assurgere al ruolo di personaggi universali della commedia o della tragedia che si annida nella realtà quotidiana.
Ieri Gianni Alemanno, sindaco di Roma, ha pronunciato il suo discorso alla tre giorni dei circoli della Nuova Italia, consacrando la scarnificazione della persona Nicole Minetti e facendola diventare il simbolo universale di un modo negativo di gestire la cosa pubblica.
«Lo dobbiamo dire con chiarezza. Mai più Minetti nei consigli regionali». Ha detto Alemanno.
Da oggi, alla domanda "che tipo è?" si potrà rispondere: "una Minetti".
lunedì 26 settembre 2011
venerdì 23 settembre 2011
Il verso quinario “tutta invidia/colpa dei media”
«È tutta invidia» dice la escort Terry De Nicolò nella sua intervista a L’ultimaparola di Rai 2 nella quale elogia il Gianpi-Tarantini uomo e imprenditore e condanna i suoi detrattori.
«È colpa dei media» risuona Berlusconi, commentando il declassamento dell’Italia da parte di Standard & Poor's.
“Tutta invidia –colpa dei media” suona bene: è un quinario. Sembra il verso di una poesia o di una canzone. Un tormentone che è diventato familiarmente fastidioso come il jingle di una pubblicità. Avete presente “a far l’amore comincia tu” dello spot Wind? Più o meno l’effetto è lo stesso.
La domanda è: possibile che non esistano argomentazioni meno banali?
E la risposta è semplice. Nello spazio mediatico la regola numero uno è evitare l’imbarazzo del vuoto, della non reazione.
Quando si è sotto accusa meglio reagire con una banalità che stare zitti.
È proprio il contrario della vita reale, dove nel 90% dei casi il silenzio è d’oro.
«È colpa dei media» risuona Berlusconi, commentando il declassamento dell’Italia da parte di Standard & Poor's.
“Tutta invidia –colpa dei media” suona bene: è un quinario. Sembra il verso di una poesia o di una canzone. Un tormentone che è diventato familiarmente fastidioso come il jingle di una pubblicità. Avete presente “a far l’amore comincia tu” dello spot Wind? Più o meno l’effetto è lo stesso.
La domanda è: possibile che non esistano argomentazioni meno banali?
E la risposta è semplice. Nello spazio mediatico la regola numero uno è evitare l’imbarazzo del vuoto, della non reazione.
Quando si è sotto accusa meglio reagire con una banalità che stare zitti.
È proprio il contrario della vita reale, dove nel 90% dei casi il silenzio è d’oro.
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sabato 17 settembre 2011
"Discorsi potenti" al festival della letteratura di Narni
Il 23 settembre "Discorsi potenti" è stato invitato a partecipare al Festival della letteratura al femminile di Narni, ideato e diretto dalla filosofa Esther Basile, Presidente dell'associazione culturale Eleonora Pimentel Lopez de Leon e delegata dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.
L'appuntamento è al museo Eroli alle 10.
L'appuntamento è al museo Eroli alle 10.
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martedì 13 settembre 2011
Gli evasori sono “furbetti”? O, meglio, “ladri” e “parassiti”?
Chi mi conosce lo sa. Ogni volta che mi arriva l’e-mail del commercialista con le tasse da pagare si svolge il seguente orrido copione: pronuncio parolacce da osteria, mi maledico per non aver messo niente da parte, spendo qualche lacrimuccia, chiamo gli amici per lamentarmi e cercare comprensione (poveretti!) e mi metto a letto con le coperte fino agli occhi.
Malgrado questo atteggiamento tutt’altro che dignitoso, sono convinta che pagare le tasse sia una buona cosa. Ti permette di mandare i figli a scuola e di avere un medico che ti sta a sentire quando stai male. Chi non paga le tasse fa tutto questo a spese degli altri.
Ma veniamo agli aspetti linguistici. Gli evasori fiscali, tornati in auge in occasione della recente crisi economica, vengono spesso definiti “furbetti”. L’aggettivo è entrato prepotentemente nel nostro linguaggio, dopo essere stato utilizzato da Stefano Ricucci nel 2005, con riferimento alle banche estere che tentavano la scalata alle banche italiane.
La parola mi sembra riduttiva, perché può nascondere una vena di indulgenza. Per creare una reale e diffusa condanna sociale del fenomeno bisognerebbe chiamare gli evasori con termini più precisi: o “ladri” o “parassiti”. Inutile girarci intorno.
Malgrado questo atteggiamento tutt’altro che dignitoso, sono convinta che pagare le tasse sia una buona cosa. Ti permette di mandare i figli a scuola e di avere un medico che ti sta a sentire quando stai male. Chi non paga le tasse fa tutto questo a spese degli altri.
Ma veniamo agli aspetti linguistici. Gli evasori fiscali, tornati in auge in occasione della recente crisi economica, vengono spesso definiti “furbetti”. L’aggettivo è entrato prepotentemente nel nostro linguaggio, dopo essere stato utilizzato da Stefano Ricucci nel 2005, con riferimento alle banche estere che tentavano la scalata alle banche italiane.
La parola mi sembra riduttiva, perché può nascondere una vena di indulgenza. Per creare una reale e diffusa condanna sociale del fenomeno bisognerebbe chiamare gli evasori con termini più precisi: o “ladri” o “parassiti”. Inutile girarci intorno.
venerdì 9 settembre 2011
Aristotele e il fenomeno Berlusconi in "Silvio forever"
La proiezione di ieri sera del documentario "Silvio forever" su La7 ci ha fatto rivivere i momenti salienti dell'era Berlusconi. Per interpretare il fenomeno ci può aiutare Aristotele (wow!).
Mi spiego. Nell'intera berlusconeide ricorrono riferimenti alla vita privata del premier, che lui stesso cita per condividere con noi il suo mondo, reale o idealizzato: la mamma Rosa, il papà, le cinque zie suore, la tomba di famiglia progettata dall'artista Cascella, la passione per il calcio, l'amore per la famiglia, le parole che pronuncia alla sua stessa immagine davanti allo specchio (guarda caso dice: "mi piaccio"), l'hobby del giardinaggio, la passionaccia per le donne giovani e belle.
Una valanga di notazioni personali squadernate di fronte all'intero paese. Perché? La tecnica argomentativa di Silvio è basata su quello che Aristotele chiama pathos: una forma di persuasione che si basa sull'emotività. Berlusconi ha costruito il suo personaggio di padre-figlio-devoto-tifoso-latin-lover e ne ha fatto oggetto di una narrazione che ha appassionato e coinvolto la maggioranza dei cittadini-votanti.
Che gli elementi della narrazione siano reali non è poi così importante. È importante, invece, la costruzione di un personaggio che genera immedesimazione e simpatia negli elettori.
Aristotele distingue il pathos da altri due strumenti di persuasione: l'ethos e il logos. Il primo si basa sulla credibilità dell'oratore, il secondo sulla forza del ragionamento.
Nella comunicazione di tutti i politici - e di tutti noi - ethos, logos e pathos vengono messi in campo a seconda del contesto, ma il pathos sembra essere molto gettonato, soprattutto nella costruzione di un personaggio.
Berlusconi, dunque, non è solo con il suo pathos. Pensiamo a Obama, del quale proprio in questi giorni è uscito in Italia il libro "Di voi io canto", una lettera aperta dedicata alle sue figlie. Ma questo è già l'argomento di un un altro post.
Mi spiego. Nell'intera berlusconeide ricorrono riferimenti alla vita privata del premier, che lui stesso cita per condividere con noi il suo mondo, reale o idealizzato: la mamma Rosa, il papà, le cinque zie suore, la tomba di famiglia progettata dall'artista Cascella, la passione per il calcio, l'amore per la famiglia, le parole che pronuncia alla sua stessa immagine davanti allo specchio (guarda caso dice: "mi piaccio"), l'hobby del giardinaggio, la passionaccia per le donne giovani e belle.
Una valanga di notazioni personali squadernate di fronte all'intero paese. Perché? La tecnica argomentativa di Silvio è basata su quello che Aristotele chiama pathos: una forma di persuasione che si basa sull'emotività. Berlusconi ha costruito il suo personaggio di padre-figlio-devoto-tifoso-latin-lover e ne ha fatto oggetto di una narrazione che ha appassionato e coinvolto la maggioranza dei cittadini-votanti.
Che gli elementi della narrazione siano reali non è poi così importante. È importante, invece, la costruzione di un personaggio che genera immedesimazione e simpatia negli elettori.
Aristotele distingue il pathos da altri due strumenti di persuasione: l'ethos e il logos. Il primo si basa sulla credibilità dell'oratore, il secondo sulla forza del ragionamento.
Nella comunicazione di tutti i politici - e di tutti noi - ethos, logos e pathos vengono messi in campo a seconda del contesto, ma il pathos sembra essere molto gettonato, soprattutto nella costruzione di un personaggio.
Berlusconi, dunque, non è solo con il suo pathos. Pensiamo a Obama, del quale proprio in questi giorni è uscito in Italia il libro "Di voi io canto", una lettera aperta dedicata alle sue figlie. Ma questo è già l'argomento di un un altro post.
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Il ministro Sacconi e la barzelletta
Spesso i clienti che si servono del mio supporto come ghost writer mi chiedono se sia il caso di inserire una barzelletta nel loro discorso. La risposta è sempre la stessa: NO, per favore.
Per raccontare una barzelletta bisogna essere comici di professione, nel senso di attori brillanti non di buffoni da quattro soldi.
In altre parole se non sei Fiorello, lascia perdere!
Sacconi ieri, nel corso di un ragionamento sull'articolo 8 e la CGIL, ha raccontato la seguente, brutta barzelletta
"C'è un convento del '600 in cui entrano dei briganti e violentano tutte le suore, tranne una.
Il sant'Uffizio la interroga: «come mai solo lei non è stata violentata?». «Perché ho detto di no»"
Se capisco bene, la maggior parte delle suore non ha proferito parola perché aveva piacere a essere stuprata. È così?
Da donna, vorrei dare una dritta a Sacconi: nessuno è contento di essere violentato. Nemmeno le suore del '600.
Per raccontare una barzelletta bisogna essere comici di professione, nel senso di attori brillanti non di buffoni da quattro soldi.
In altre parole se non sei Fiorello, lascia perdere!
Sacconi ieri, nel corso di un ragionamento sull'articolo 8 e la CGIL, ha raccontato la seguente, brutta barzelletta
"C'è un convento del '600 in cui entrano dei briganti e violentano tutte le suore, tranne una.
Il sant'Uffizio la interroga: «come mai solo lei non è stata violentata?». «Perché ho detto di no»"
Se capisco bene, la maggior parte delle suore non ha proferito parola perché aveva piacere a essere stuprata. È così?
Da donna, vorrei dare una dritta a Sacconi: nessuno è contento di essere violentato. Nemmeno le suore del '600.
mercoledì 7 settembre 2011
Brunetta, Sacconi, Cgil è il manieristico giochino dello sparanumeri
Le stime sull’affluenza sono il classico giochino dei post-manifestazione. E anche questa volta, dopo lo sciopero di ieri, non sono mancati gli sparanumeri.
Il sindacato ha dichiarato un’adesione del 58 per cento dei lavoratori; il ministro Sacconi ha parlato di «adesione bassa»; Brunetta di uno sciopero limitato al 3-4%.
Nessuno ormai crede più che le cifre tirate fuori in queste occasioni dai vari protagonisti della scena politica abbiano molto a che fare con la verità. Gli stessi sparacifre non sembrano poi tanto convinti. Eppure tutti continuano imperterriti a sparare, cercando strenuamente di avere l’ultima parola come vecchi coniugi che litigano da più di cinquant’anni.
La verità è che la disputa sui numeri dei cortei è diventata ormai una forma di manierismo, un’elaborazione formale fine a se stessa che rende il dettaglio l’oggetto principale del discorso e rischia di far spostare l’attenzione dalla domanda cruciale: perché i cittadini sono spaventati dal futuro?
Il sindacato ha dichiarato un’adesione del 58 per cento dei lavoratori; il ministro Sacconi ha parlato di «adesione bassa»; Brunetta di uno sciopero limitato al 3-4%.
Nessuno ormai crede più che le cifre tirate fuori in queste occasioni dai vari protagonisti della scena politica abbiano molto a che fare con la verità. Gli stessi sparacifre non sembrano poi tanto convinti. Eppure tutti continuano imperterriti a sparare, cercando strenuamente di avere l’ultima parola come vecchi coniugi che litigano da più di cinquant’anni.
La verità è che la disputa sui numeri dei cortei è diventata ormai una forma di manierismo, un’elaborazione formale fine a se stessa che rende il dettaglio l’oggetto principale del discorso e rischia di far spostare l’attenzione dalla domanda cruciale: perché i cittadini sono spaventati dal futuro?
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giovedì 1 settembre 2011
Gheddafi e le donne che si arrendono
Che l'ex leader libico fosse maschilista non avevamo dubbi. Non stupisce, quindi, l'argomentazione bislacca che ha scelto per comunicare al mondo che non ha nessuna intenzione di mollare.
«Non ci arrendiamo. Non siamo donne, continueremo a combattere. Mettete la Libia a ferro e fuoco»
Parlando in termini machisti, forse gli unici che Gheddafi capisce, sarebbe bello se il rais dimostrasse di essere "uomo", uscendo dal bunker in cui è asserragliato e prendendosi le responsabilità di quello che ha fatto al suo paese.
«Non ci arrendiamo. Non siamo donne, continueremo a combattere. Mettete la Libia a ferro e fuoco»
Parlando in termini machisti, forse gli unici che Gheddafi capisce, sarebbe bello se il rais dimostrasse di essere "uomo", uscendo dal bunker in cui è asserragliato e prendendosi le responsabilità di quello che ha fatto al suo paese.
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