giovedì 28 ottobre 2010

Capezzone e Vucinic: l’epiteto amplifica lo sdegno e rende eroi

Esprimere indignazione richiede una buona dose di retorica. È il caso delle dimostrazioni di solidarietà bipartisan indirizzate al portavoce del Pdl Daniele Capezzone, colpito dal pugno di un aggressore sconosciuto il 26 ottobre a Roma.
Due esempi tra tanti.
Maurizio Lupi, vice presidente della Camera, esprime «solidarietà per il grave e ignobile atto».
Dario Franceschini, a nome del Pd, parla di «ignobile aggressione».
Gli aggettivi «grave» e «ignobile» intendono rendere vivo il sentimento di indignazione. Sono una patente che certifica l’autenticità delle emozioni di chi prova lo sdegno.
Le espressioni di Lupi e Franceschini hanno, tuttavia, un altro elemento in comune: sono entrambe antiche. L’aggettivo prima del nome ha un sapore arcaico, che ci porta nella sfera dell’epica. Una sfera nella quale il protagonista della vicenda è l’eroe (Capezzone) e l’antagonista è l’anti-eroe (l’aggressore).
Gli epiteti sono aggettivi ornamentali, spesso posti prima del sostantivo. Ne sono un esempio modi di dire vetusti come «l’ampio petto» o «il pallido volto». Un esempio nobile è la «pargoletta mano» della poesia Pianto antico di Carducci (1887).
Ma gli epiteti non sono solo dominio della politica e della letteratura. Qui abbiamo un bell’esempio da Il Romanista che fa rivivere le “gesta” del calciatore Mirko Vucinic: «Era il 2006, Mirko fece i bagagli in un caldo giorno d’estate: era arrivato nel 2000, scelto personalmente da Pantaleo Corvino che era andato a vederlo in Montenegro già quando aveva 16 anni». (27 ottobre 2010).

(discorsi potenti)

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