domenica 30 ottobre 2011
giovedì 27 ottobre 2011
Il lavitolese, il linguaggio burino del potere
Ci hanno insegnato a scuola e in famiglia che, per ottenere i posti di potere o per entrare in certi salotti, bisognava almeno parlare italiano. Ci hanno detto una bugia.
Per essere al vertice del potere bisogna parlare il lavitolese, un burinese che mescola il vernacolo dei “senti a me”, il turpiloquio dei cazzo-merda-inculare-con-il-trapano (addirittura!), le tecniche da imbonitore del chiamare tutti “Amo’”, il passepartout per farsi ascoltare e rispettare del “me lo ha detto Lui”.
Oggi Francesco Merlo su La Repubblica ci offre un glossario ricco e argomentato.
Impariamolo a memoria, se intendiamo fare carriera. Basta con il vocabolario della lingua italiana, basta con le letture formative per imparare a parlare meglio, basta con l’autocontrollo sulle espressioni dialettali.
Il potere ha la sua grammatica sgrammaticata. Saper scegliere un vino per una cena è più importante di conoscere il congiuntivo: il culto della relazione ha sopravanzato il rispetto per uno straccio di cultura. Accettiamolo e adeguiamoci, se vogliamo sopravvivere.
Per essere al vertice del potere bisogna parlare il lavitolese, un burinese che mescola il vernacolo dei “senti a me”, il turpiloquio dei cazzo-merda-inculare-con-il-trapano (addirittura!), le tecniche da imbonitore del chiamare tutti “Amo’”, il passepartout per farsi ascoltare e rispettare del “me lo ha detto Lui”.
Oggi Francesco Merlo su La Repubblica ci offre un glossario ricco e argomentato.
Impariamolo a memoria, se intendiamo fare carriera. Basta con il vocabolario della lingua italiana, basta con le letture formative per imparare a parlare meglio, basta con l’autocontrollo sulle espressioni dialettali.
Il potere ha la sua grammatica sgrammaticata. Saper scegliere un vino per una cena è più importante di conoscere il congiuntivo: il culto della relazione ha sopravanzato il rispetto per uno straccio di cultura. Accettiamolo e adeguiamoci, se vogliamo sopravvivere.
martedì 25 ottobre 2011
Lettera aperta ai creativi
Pubblico la lettera di Alfredo Accatino che evidenzia le difficoltà, le esigenze, le aspirazioni, le rivendicazioni degli operatori italiani della creatività: creativi per pubblicità ed eventi, copy, art, graphic & industrial designer, visualizer, web, artisti, autori, stilisti, scenografi, light designer, montatori, sceneggiatori, story editor, coreografi, registi, fotografi, progettisti, blogger, compositori, video maker, illustratori, costumisti, direttori artistici, curatori, artigiani di ricerca, traduttori, ghost writer (http://www.creativi.eu/).
Cari creativi,
vi chiedo di leggere questo post. Ci metterete 5’. Parla di voi. Dopo, sarete un po’ incazzati. Forse, più motivati. Magari saprete cosa fare. Altrimenti, postate una canzone.
Ora passo al tu. Se appartieni al 94% di chi “non” possiede o dirige un’azienda di successo, con i riconoscimenti che ne derivano, contratti o dividendi, prendi un foglio di carta e scrivi su quali forme di tutela puoi contare. Fatto?
Che prospettive ritieni di potere avere, superati i 50 anni, se non dovessi divenire titolare, dirigente, star acclamata? E se ti trovassi nella condizione di doverti ri-immettere sul mercato?
Oggi, su quali garanzie puoi contare sotto il profilo sanitario, pensionistico, in caso di malattia, disoccupazione, maternità Se invece sei un libero professionista o un free lance, che tutele hai su pagamenti e tempi? Quali spese scarichi? E gli utili corrispondono agli studi di settore?
Se hai un contratto a progetto, a chi ti puoi rivolgere per mutui o finanziamenti?
Se stai iniziando ora, quali aiuti hai ricevuto per lo start up?
E, infine, se hai un’idea innovativa, chi è pronto ad ascoltarti? Che strumenti hai per proteggerla?
Ma soprattutto, chi riconosce il tuo valore, e ti considera una forza importante e strategica? Chi ci rappresenta? Quale corrispondenza esiste tra le nostre idee, la nostra visione del mondo e delle cose, l’amore per il bello in tutte le sue forme, e il sistema Paese?
Se, al contrario, appartieni a quel 6% che ottiene onori e premi, chiediti quanto sei veramente tutelato, e se non hai anche tu, stampigliata da qualche parte, la data di scadenza. Cosa succede se un fondo ti acquisisce e decide che non sei performante? Se litighi con soci, se soffri di ansia da prestazione, se il tuo mercato viene travolto dalla crisi, se improvvisamente ti pesa fare l’ennesima notte? Ma soprattutto, chiediti cosa puoi fare tu per il 94% di talenti che, meno di te, hanno ottenuto visibilità, guadagni, opportunità.
In Italia non esistono cifre che dicano quanti siano i professionisti che svolgono attività finalizzate alla creatività. I “creativi”, semplicemente, non esistono.
Eppure siamo quelli che costruiamo, ogni giorno, l’immagine della filiera industriale e commerciale, in alcuni casi, sogni e tendenze. Quelli che progettano le piattaforme dove ci si confronta. Che creano stili, storie e visioni da condividere. Disegnano il presente.
Io ritengo che in Italia siano più di 2 milioni le persone che vivono delle proprie capacità creative. Il doppio se si considerano ambienti di riferimento e indotti.
Non siamo identificati, rappresentati, tutelati, rispettati, valorizzati. Facciamo un lavoro logorante, che spesso riduce la capacità competitiva con l’avanzare degli anni. Prigionieri di stereotipi che ci vedono modaioli e svagati, con il biliardino all’ingresso e il lupetto nero, sempre alle prese con cose divertenti. In realtà protagonisti di quella fuga di cervelli che porta i più intraprendenti di noi ad andare all’estero per poter vivere e realizzare le proprie idee.
Facciamo un lavoro anonimo. Senza diritto d’autore, con ritmi superiori a qualsiasi regime contrattuale, disposti a lavorare di notte e nei festivi, sulla scia di quell’entusiasmo e disponibilità che è insita nel nostro lavoro, al quale non potremmo rinunciare, ma che diviene regola in luogo di eccezione. Ma non siamo missionari e non stiamo salvando la vita a dei bambini. Siamo solo uno strumento del sistema industriale. Lavoratori dell’immateriale, braccianti della mente.
Eppure, insieme alla ricerca tecnologica, rappresentiamo l’identità storica della nazione, il made in Italy, quello che ancora ci garantisce un briciolo di credibilità nel mondo.
Ci confrontiamo e diamo voce alle culture giovanili e riformiste, invisibili e marginali per i media e il potere quanto lo siamo noi. Sperimentiamo tecnologie e linguaggi.
Pensiamo internazionale.
Siamo quelli che hanno contribuito alla creazione della cultura web e social, della quale conosciamo, più di tutti, dinamiche, linguaggi e modalità. Ma non siamo mai coinvolti nelle scelte e nelle soluzioni. Mai consultati, mai coinvolti nei processi decisionali sui grandi temi di questa società. Che rinuncia, di fatto, a valorizzare uno straordinario capitale di energia e innovazione.
Mi spiace dirlo, ma le associazioni di categoria in questo momento non hanno più senso. Così come il parlare di pubblicitari, grafici, architetti, e di mille altre piccole nicchie. Sono finite le corporazioni. Potranno essere utili solo dopo, per specifiche esigenze di settore, per l’aggiornamento professionale e il confronto tecnico. E poi, basta.
Non ci sono creativi fighi e creativi di serie B. O lo sei, o non lo sei.
Il cambiamento che vi propongo è di mentalità e di visione.
Siamo e siete un’unica entità, qualunque cosa facciate: creativi per pubblicità e eventi, copy, art, graphic & industrial designer, visualizer, web. Ma anche artisti, autori, stilisti, scenografi, light designer, montatori, sceneggiatori, story editor, coreografi, registi, fotografi, progettisti, blogger, compositori, video maker, illustratori, costumisti, direttori artistici, curatori, artigiani di ricerca, traduttori, ghost writer… Nelle grandi città, come in provincia, dove maggiori sono le difficoltà.
Occorre spostare il livello di percezione/visibilità. Piantarla di fare gli individualisti. Divenire massa critica, movimento di opinione, influencer. Smettere di pensare all’orticello per acquisire quella che il buon Pasolini chiamava “coscienza di classe”.
Se il mondo non ci considera, usiamo le metodologie che il mondo comprende.
• Diventiamo lobby
• Impostiamo una rivendicazione sindacale (sì, avete letto bene)
• E quindi, diveniamo Gruppo di Pressione.
Anche in un momento di crisi, che potrebbe far sembrare irrealizzabili e utopiche queste istanze. Perché è quando si è in curva che occorre spingere sull’acceleratore.
Primo passo, renderci visibili, sollevando il problema. Al pari di quanto hanno fatto pochi anni fa i nostri colleghi sceneggiatori americani.
Blocchiamo il giocattolo.
Occupiamo la rete. Facciamoci vedere. Anche nelle strade. Senza sentirci obbligati a dover, per forza, fare manifestazioni fighe e creative. Poi, diveniamo piattaforma.
Cosa chiedere? Di ascoltarci. Di avere, in questo paese, un ruolo consultivo e decisionale. Ma anche ciò che hanno ottenuto tante altre categorie che, nella storia, prima di noi, hanno affermato in maniera organica i propri diritti:
1 - Tutela dei più giovani, con contratti a progetto e stipendi che assomigliano al conto di un ristorante. Regolazione del sistema stage e incentivi per chi assume. Finanziamenti o prestito d’onore per attrezzature e alta formazione
2 - Garanzia di tempi e modalità di pagamento per professionisti esterni e free lance. Con possibilità di accedere in maniera diretta a un collegio arbitrale per la risoluzione di problematiche professionali
3 - Istituzione di un Fondo di Solidarietà, pagato contestualmente alla prestazione d’opera, o inserito direttamente nel contratto. Destinato ad aiutare chi si trova a vivere momenti di difficoltà, per maternità, problemi di salute, disoccupazione. Con tassi agevolati per mutui e fidi
4 - Diritto d’autore per nuove categorie o forme espressive, per ridurre una disparità di trattamento non più giustificabile. Anche alla luce della recente sentenza Bertotti contro Fiat.
5 - Adeguamento legislativo del concetto di "idea", oggi del tutto privo di rilevanza e tutela giuridica.
6 - Nel caso di partita IVA, iscrizione in categoria separata, con imposta calcolata al 75%, come avviene nell’ambito della cessione dei diritti. O inserimento delle categorie nella gestione Enpals, inserendo il concetto del "collocamento"
7- Facilities per l’aggiornamento professionale, per il consumo di beni culturali e soggiorni all’estero, elementi ala base del nostro lavoro
Diritti, si badi bene, che non devono essere appannaggio del soggetto singolo, ma anche di aziende e studi professionali che pongono la creatività come core business. Questo non vuol dire, quindi, lotta tra poveri, in un momento di grave congiuntura, ma condivisione di opportunità:
1 - Regolazione del sistema gare e riconoscimento della “creatività” all’interno del formulari di gara
2 - Diritto a poter scaricare le spese effettuate dalle aziende per ricerca, sperimentazione, nuove tecnologie. E incentivi per stage, apprendistato, assunzioni, contratti nell’area creativa
3 - Riduzione fiscali e incentivi in caso di start-up, con particolare attenzione nei confronti di under 30, factory, realtà collettive, in un contesto che valorizzi 3 assi portanti: creatività, ricerca tecnologica, arti
4 - Attivazione di ammortizzatori anche per quelle aziende che non raggiungono i minimali previsti per accedere a cassa integrazione o mobilità
Ho finito. E, detto tra noi, non avrei mai pensato di dover scrivere un giorno un testo simile a un vecchio volantino sindacale o a una predica mormonica. Ma così è. Con la netta sensazione che il social, pensato per unire teste e mondi, possa servire a qualcosa di più che postare una canzone.
In questo percorso illuminante il dialogo che gli sceneggiatori di un piccolo film “Generazione 1000 euro” hanno messo in bocca a due amici, perennemente stagisti. “Questa è l’unica epoca in cui i figli stanno peggio dei padri….” è il commento di Matteo quando apprende che un suo coetaneo disoccupato lascia Milano per tornare dai genitori: “E qual è la nostra risposta? Mangiare Sushi.”
E a me, il sushi, non basta più.
Alfredo Accatino
Cari creativi,
vi chiedo di leggere questo post. Ci metterete 5’. Parla di voi. Dopo, sarete un po’ incazzati. Forse, più motivati. Magari saprete cosa fare. Altrimenti, postate una canzone.
Ora passo al tu. Se appartieni al 94% di chi “non” possiede o dirige un’azienda di successo, con i riconoscimenti che ne derivano, contratti o dividendi, prendi un foglio di carta e scrivi su quali forme di tutela puoi contare. Fatto?
Che prospettive ritieni di potere avere, superati i 50 anni, se non dovessi divenire titolare, dirigente, star acclamata? E se ti trovassi nella condizione di doverti ri-immettere sul mercato?
Oggi, su quali garanzie puoi contare sotto il profilo sanitario, pensionistico, in caso di malattia, disoccupazione, maternità Se invece sei un libero professionista o un free lance, che tutele hai su pagamenti e tempi? Quali spese scarichi? E gli utili corrispondono agli studi di settore?
Se hai un contratto a progetto, a chi ti puoi rivolgere per mutui o finanziamenti?
Se stai iniziando ora, quali aiuti hai ricevuto per lo start up?
E, infine, se hai un’idea innovativa, chi è pronto ad ascoltarti? Che strumenti hai per proteggerla?
Ma soprattutto, chi riconosce il tuo valore, e ti considera una forza importante e strategica? Chi ci rappresenta? Quale corrispondenza esiste tra le nostre idee, la nostra visione del mondo e delle cose, l’amore per il bello in tutte le sue forme, e il sistema Paese?
Se, al contrario, appartieni a quel 6% che ottiene onori e premi, chiediti quanto sei veramente tutelato, e se non hai anche tu, stampigliata da qualche parte, la data di scadenza. Cosa succede se un fondo ti acquisisce e decide che non sei performante? Se litighi con soci, se soffri di ansia da prestazione, se il tuo mercato viene travolto dalla crisi, se improvvisamente ti pesa fare l’ennesima notte? Ma soprattutto, chiediti cosa puoi fare tu per il 94% di talenti che, meno di te, hanno ottenuto visibilità, guadagni, opportunità.
In Italia non esistono cifre che dicano quanti siano i professionisti che svolgono attività finalizzate alla creatività. I “creativi”, semplicemente, non esistono.
Eppure siamo quelli che costruiamo, ogni giorno, l’immagine della filiera industriale e commerciale, in alcuni casi, sogni e tendenze. Quelli che progettano le piattaforme dove ci si confronta. Che creano stili, storie e visioni da condividere. Disegnano il presente.
Io ritengo che in Italia siano più di 2 milioni le persone che vivono delle proprie capacità creative. Il doppio se si considerano ambienti di riferimento e indotti.
Non siamo identificati, rappresentati, tutelati, rispettati, valorizzati. Facciamo un lavoro logorante, che spesso riduce la capacità competitiva con l’avanzare degli anni. Prigionieri di stereotipi che ci vedono modaioli e svagati, con il biliardino all’ingresso e il lupetto nero, sempre alle prese con cose divertenti. In realtà protagonisti di quella fuga di cervelli che porta i più intraprendenti di noi ad andare all’estero per poter vivere e realizzare le proprie idee.
Facciamo un lavoro anonimo. Senza diritto d’autore, con ritmi superiori a qualsiasi regime contrattuale, disposti a lavorare di notte e nei festivi, sulla scia di quell’entusiasmo e disponibilità che è insita nel nostro lavoro, al quale non potremmo rinunciare, ma che diviene regola in luogo di eccezione. Ma non siamo missionari e non stiamo salvando la vita a dei bambini. Siamo solo uno strumento del sistema industriale. Lavoratori dell’immateriale, braccianti della mente.
Eppure, insieme alla ricerca tecnologica, rappresentiamo l’identità storica della nazione, il made in Italy, quello che ancora ci garantisce un briciolo di credibilità nel mondo.
Ci confrontiamo e diamo voce alle culture giovanili e riformiste, invisibili e marginali per i media e il potere quanto lo siamo noi. Sperimentiamo tecnologie e linguaggi.
Pensiamo internazionale.
Siamo quelli che hanno contribuito alla creazione della cultura web e social, della quale conosciamo, più di tutti, dinamiche, linguaggi e modalità. Ma non siamo mai coinvolti nelle scelte e nelle soluzioni. Mai consultati, mai coinvolti nei processi decisionali sui grandi temi di questa società. Che rinuncia, di fatto, a valorizzare uno straordinario capitale di energia e innovazione.
Mi spiace dirlo, ma le associazioni di categoria in questo momento non hanno più senso. Così come il parlare di pubblicitari, grafici, architetti, e di mille altre piccole nicchie. Sono finite le corporazioni. Potranno essere utili solo dopo, per specifiche esigenze di settore, per l’aggiornamento professionale e il confronto tecnico. E poi, basta.
Non ci sono creativi fighi e creativi di serie B. O lo sei, o non lo sei.
Il cambiamento che vi propongo è di mentalità e di visione.
Siamo e siete un’unica entità, qualunque cosa facciate: creativi per pubblicità e eventi, copy, art, graphic & industrial designer, visualizer, web. Ma anche artisti, autori, stilisti, scenografi, light designer, montatori, sceneggiatori, story editor, coreografi, registi, fotografi, progettisti, blogger, compositori, video maker, illustratori, costumisti, direttori artistici, curatori, artigiani di ricerca, traduttori, ghost writer… Nelle grandi città, come in provincia, dove maggiori sono le difficoltà.
Occorre spostare il livello di percezione/visibilità. Piantarla di fare gli individualisti. Divenire massa critica, movimento di opinione, influencer. Smettere di pensare all’orticello per acquisire quella che il buon Pasolini chiamava “coscienza di classe”.
Se il mondo non ci considera, usiamo le metodologie che il mondo comprende.
• Diventiamo lobby
• Impostiamo una rivendicazione sindacale (sì, avete letto bene)
• E quindi, diveniamo Gruppo di Pressione.
Anche in un momento di crisi, che potrebbe far sembrare irrealizzabili e utopiche queste istanze. Perché è quando si è in curva che occorre spingere sull’acceleratore.
Primo passo, renderci visibili, sollevando il problema. Al pari di quanto hanno fatto pochi anni fa i nostri colleghi sceneggiatori americani.
Blocchiamo il giocattolo.
Occupiamo la rete. Facciamoci vedere. Anche nelle strade. Senza sentirci obbligati a dover, per forza, fare manifestazioni fighe e creative. Poi, diveniamo piattaforma.
Cosa chiedere? Di ascoltarci. Di avere, in questo paese, un ruolo consultivo e decisionale. Ma anche ciò che hanno ottenuto tante altre categorie che, nella storia, prima di noi, hanno affermato in maniera organica i propri diritti:
1 - Tutela dei più giovani, con contratti a progetto e stipendi che assomigliano al conto di un ristorante. Regolazione del sistema stage e incentivi per chi assume. Finanziamenti o prestito d’onore per attrezzature e alta formazione
2 - Garanzia di tempi e modalità di pagamento per professionisti esterni e free lance. Con possibilità di accedere in maniera diretta a un collegio arbitrale per la risoluzione di problematiche professionali
3 - Istituzione di un Fondo di Solidarietà, pagato contestualmente alla prestazione d’opera, o inserito direttamente nel contratto. Destinato ad aiutare chi si trova a vivere momenti di difficoltà, per maternità, problemi di salute, disoccupazione. Con tassi agevolati per mutui e fidi
4 - Diritto d’autore per nuove categorie o forme espressive, per ridurre una disparità di trattamento non più giustificabile. Anche alla luce della recente sentenza Bertotti contro Fiat.
5 - Adeguamento legislativo del concetto di "idea", oggi del tutto privo di rilevanza e tutela giuridica.
6 - Nel caso di partita IVA, iscrizione in categoria separata, con imposta calcolata al 75%, come avviene nell’ambito della cessione dei diritti. O inserimento delle categorie nella gestione Enpals, inserendo il concetto del "collocamento"
7- Facilities per l’aggiornamento professionale, per il consumo di beni culturali e soggiorni all’estero, elementi ala base del nostro lavoro
Diritti, si badi bene, che non devono essere appannaggio del soggetto singolo, ma anche di aziende e studi professionali che pongono la creatività come core business. Questo non vuol dire, quindi, lotta tra poveri, in un momento di grave congiuntura, ma condivisione di opportunità:
1 - Regolazione del sistema gare e riconoscimento della “creatività” all’interno del formulari di gara
2 - Diritto a poter scaricare le spese effettuate dalle aziende per ricerca, sperimentazione, nuove tecnologie. E incentivi per stage, apprendistato, assunzioni, contratti nell’area creativa
3 - Riduzione fiscali e incentivi in caso di start-up, con particolare attenzione nei confronti di under 30, factory, realtà collettive, in un contesto che valorizzi 3 assi portanti: creatività, ricerca tecnologica, arti
4 - Attivazione di ammortizzatori anche per quelle aziende che non raggiungono i minimali previsti per accedere a cassa integrazione o mobilità
Ho finito. E, detto tra noi, non avrei mai pensato di dover scrivere un giorno un testo simile a un vecchio volantino sindacale o a una predica mormonica. Ma così è. Con la netta sensazione che il social, pensato per unire teste e mondi, possa servire a qualcosa di più che postare una canzone.
In questo percorso illuminante il dialogo che gli sceneggiatori di un piccolo film “Generazione 1000 euro” hanno messo in bocca a due amici, perennemente stagisti. “Questa è l’unica epoca in cui i figli stanno peggio dei padri….” è il commento di Matteo quando apprende che un suo coetaneo disoccupato lascia Milano per tornare dai genitori: “E qual è la nostra risposta? Mangiare Sushi.”
E a me, il sushi, non basta più.
Alfredo Accatino
venerdì 21 ottobre 2011
Berlusconi, Gheddafi e la massima universale per non prendere posizione
«Sic transit gloria mundi»: ieri Silvio Berlusconi ha commentato la morte di Gheddafi con una citazione latina.
Più che il desiderio di glorificare il dittatore libico, la scelta della massima ecclesiale sembra dovuta alla volontà di non prendere una posizione precisa su un personaggio che, in un tempo non lontano, è stato assecondato, vezzeggiato, baciato.
Berlusconi si guarda bene dal pronunciare un’affermazione in prima persona (“credo”, “ritengo”, “farò”) e affida il suo commento all’impersonalità della massima eternamente vera, eternamente valida ed esageratamente inutile nel contesto specifico.
(“Oh con quale rapidità passa la gloria del mondo”, De Imitatione Christi; “Il mondo passa con la sua concupiscenza”, Giovanni, Prima lettera, 2.17)
Più che il desiderio di glorificare il dittatore libico, la scelta della massima ecclesiale sembra dovuta alla volontà di non prendere una posizione precisa su un personaggio che, in un tempo non lontano, è stato assecondato, vezzeggiato, baciato.
Berlusconi si guarda bene dal pronunciare un’affermazione in prima persona (“credo”, “ritengo”, “farò”) e affida il suo commento all’impersonalità della massima eternamente vera, eternamente valida ed esageratamente inutile nel contesto specifico.
(“Oh con quale rapidità passa la gloria del mondo”, De Imitatione Christi; “Il mondo passa con la sua concupiscenza”, Giovanni, Prima lettera, 2.17)
martedì 18 ottobre 2011
Lavitola, Cicchitto e le parole del potere
«Sono un consigliere di Silvio Berlusconi» e «Ho appena parlato con il capo».
Sono gli incipit delle telefonate di Lavitola, il passepartout per essere ascoltato, per avere voce in capitolo, per fare in modo che gli ordini siano eseguiti.
Semplici frasi che esprimono potere e dettano le regole del dire e dell’agire.
Enunciazioni che preludono a una richiesta-ordine che ha l’obiettivo di creare effetti in chi le ascolta che, con il solo strumento del linguaggio, viene «colpito, influenzato, messo in condizioni di fare o di non fare» (Austin). Benvenuti nel mondo degli atti linguistici.
Ma il meccanismo, ogni tanto, si rompe. Fabrizio Cicchitto rimanda al mittente le sollecitazioni di Lavitola, incrinando l’incantesimo del potere:
«Me ne sbatto il cazzo delle cose del capo».
Sono gli incipit delle telefonate di Lavitola, il passepartout per essere ascoltato, per avere voce in capitolo, per fare in modo che gli ordini siano eseguiti.
Semplici frasi che esprimono potere e dettano le regole del dire e dell’agire.
Enunciazioni che preludono a una richiesta-ordine che ha l’obiettivo di creare effetti in chi le ascolta che, con il solo strumento del linguaggio, viene «colpito, influenzato, messo in condizioni di fare o di non fare» (Austin). Benvenuti nel mondo degli atti linguistici.
Ma il meccanismo, ogni tanto, si rompe. Fabrizio Cicchitto rimanda al mittente le sollecitazioni di Lavitola, incrinando l’incantesimo del potere:
«Me ne sbatto il cazzo delle cose del capo».
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lunedì 17 ottobre 2011
Retorica da black bloc
Oggi La Repubblica ha pubblicato un’intervista a un anonimo black bloc che, il 15 ottobre, ha dato il suo gagliardo contributo alla devastazione del centro di Roma.
L’intervista è un manualetto di guerrilla urbana. Illustra le tecniche usate per mettere a soqquadro la città, evitando i controlli delle forze dell’ordine.
Per iniziare un’argomentazione classica:
«Poteva esserci il morto in piazza? Perché quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?»
È l’argomentazione del bambino di quattro anni: “ha cominciato lui!”. Ammesso che i morti siano prodotto del Sistema (ma di quale Sistema?), che senso ha aggiungere dolore a dolore?
Interessanti le parole usate. Il nemico è un’entità definita con termini generici:
«[La guerra] non l’ho dichiarata io. L’hanno dichiarata loro.»
«Ma loro chi?» chiedono Bonini e Foschini, gli intervistatori.
«Non discuto di politica con due giornalisti.»
I gruppi armati sono “falangi”, un termine storico che ricorda il mondo ellenico ed etrusco e aggiunge un certo fascino epico alla vicenda.
Le intenzioni belliche vengono, invece, definite in modo puntuale:
«I primi 500 si sono armati a inizio manifestazione e avevano il compito di devastare via Cavour». Devastare.
«Parlo come uno che è in guerra». Guerra.
L’intervista si conclude con un enunciato, che Searle farebbe rientrare nella classe degli atti linguistici illocutivi “commissivi”: «E vi do una notizia. Non è finita». In altre parole, una minaccia.
L’intervista è un manualetto di guerrilla urbana. Illustra le tecniche usate per mettere a soqquadro la città, evitando i controlli delle forze dell’ordine.
Per iniziare un’argomentazione classica:
«Poteva esserci il morto in piazza? Perché quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?»
È l’argomentazione del bambino di quattro anni: “ha cominciato lui!”. Ammesso che i morti siano prodotto del Sistema (ma di quale Sistema?), che senso ha aggiungere dolore a dolore?
Interessanti le parole usate. Il nemico è un’entità definita con termini generici:
«[La guerra] non l’ho dichiarata io. L’hanno dichiarata loro.»
«Ma loro chi?» chiedono Bonini e Foschini, gli intervistatori.
«Non discuto di politica con due giornalisti.»
I gruppi armati sono “falangi”, un termine storico che ricorda il mondo ellenico ed etrusco e aggiunge un certo fascino epico alla vicenda.
Le intenzioni belliche vengono, invece, definite in modo puntuale:
«I primi 500 si sono armati a inizio manifestazione e avevano il compito di devastare via Cavour». Devastare.
«Parlo come uno che è in guerra». Guerra.
L’intervista si conclude con un enunciato, che Searle farebbe rientrare nella classe degli atti linguistici illocutivi “commissivi”: «E vi do una notizia. Non è finita». In altre parole, una minaccia.
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venerdì 14 ottobre 2011
Berlusconi e il discorso della fiducia: presupposizione e ismo
Una presupposizione linguistica e un ismo nel discorso che il premier ha tenuto ieri in Parlamento per assicurarsi la fiducia.
Berlusconi ha escluso l’ipotesi del governo tecnico, sostenendo l’argomentazione del rispetto della volontà degli elettori:
«Quando la maggioranza e il suo leader perdono la fiducia, la parola torna agli elettori, questo è il sale della democrazia.»
Questa argomentazione preannuncia il passaggio seguente, che contiene una presupposizione linguistica:
«Mi domando: c’è in questo Parlamento qualche persona di buon senso che può davvero credere che un governo tecnico avrebbe più forza di un governo legittimo come questo davanti a una decisione difficile imposta da questa crisi?»
Ecco la presupposizione: il premier dà per scontato - lascia intendere - che il governo tecnico sia illegittimo, ossia “non valido per legge, contrario alle condizioni volute dalla legge”. Non è così.
Continuando il discorso, Berlusconi lancia un ismo:
«una crisi di governo al buio oggi determinerebbe la vittoria del partito declinista, catastrofista, speculativo in azione da mesi in Europa e in Italia.»
Il declinismo è il nuovo insulto per la sinistra. Pd: Partito democratico o Partito declinista? L’acronimo corrisponde e non è certo un caso.
Berlusconi ha escluso l’ipotesi del governo tecnico, sostenendo l’argomentazione del rispetto della volontà degli elettori:
«Quando la maggioranza e il suo leader perdono la fiducia, la parola torna agli elettori, questo è il sale della democrazia.»
Questa argomentazione preannuncia il passaggio seguente, che contiene una presupposizione linguistica:
«Mi domando: c’è in questo Parlamento qualche persona di buon senso che può davvero credere che un governo tecnico avrebbe più forza di un governo legittimo come questo davanti a una decisione difficile imposta da questa crisi?»
Ecco la presupposizione: il premier dà per scontato - lascia intendere - che il governo tecnico sia illegittimo, ossia “non valido per legge, contrario alle condizioni volute dalla legge”. Non è così.
Continuando il discorso, Berlusconi lancia un ismo:
«una crisi di governo al buio oggi determinerebbe la vittoria del partito declinista, catastrofista, speculativo in azione da mesi in Europa e in Italia.»
Il declinismo è il nuovo insulto per la sinistra. Pd: Partito democratico o Partito declinista? L’acronimo corrisponde e non è certo un caso.
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giovedì 13 ottobre 2011
Sel aggancia Jobs: appropriazione indebita
Steve Jobs è pop - Pop significa che quella cosa o quel personaggio piace a molti - Sinistra ecologia e libertà si aggancia all’icona pop per avere i benefici di una trasfusione di popolarità.
È quanto è successo ieri a Roma. I cittadini si sono svegliati e hanno trovato cartelli di commiato dedicati a Jobs e firmati da Sel.
Un’operazione sgraziata, perché smaccatamente ruffiana.
Il presidente Vendola ha preso le distanze, attribuendo l’iniziativa a un'azione indipendente della federazione romana.
«Il genio di Steve Jobs ha cambiato in modo radicale, con le sue invenzioni, il rapporto tra tecnologia e vita quotidiana. Tuttavia fare del simbolo della sua azienda multinazionale – per noi che ci battiamo per il free software – una icona della sinistra, mi pare frutto di un abbaglio».
Tutti noi, consulenti di comunicazione, suggeriamo di agganciare la propria immagine a simboli popolari e vincenti (ammettiamolo, non siamo certo delle verginelle!). Ma cerchiamo di non dimenticare mai la grazia.
È quanto è successo ieri a Roma. I cittadini si sono svegliati e hanno trovato cartelli di commiato dedicati a Jobs e firmati da Sel.
Un’operazione sgraziata, perché smaccatamente ruffiana.
Il presidente Vendola ha preso le distanze, attribuendo l’iniziativa a un'azione indipendente della federazione romana.
«Il genio di Steve Jobs ha cambiato in modo radicale, con le sue invenzioni, il rapporto tra tecnologia e vita quotidiana. Tuttavia fare del simbolo della sua azienda multinazionale – per noi che ci battiamo per il free software – una icona della sinistra, mi pare frutto di un abbaglio».
Tutti noi, consulenti di comunicazione, suggeriamo di agganciare la propria immagine a simboli popolari e vincenti (ammettiamolo, non siamo certo delle verginelle!). Ma cerchiamo di non dimenticare mai la grazia.
martedì 11 ottobre 2011
Commento al discorso di Steve Jobs su Tv 2000
http://www.tv2000.it
Su http://www.tv2000.it/, in homepage-archivio, il video con il mio commento al discorso "Siate affamati, siate folli" di Steve Jobs.
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lunedì 10 ottobre 2011
A Tv 2000, oggi alle 14,50, commento "Siate affamati, siate folli" di Steve Jobs
Oggi, alle 14,55, sono ospite di Tv 2000 per commentare il discorso "Siate affamati, siate folli" tenuto a Stanford da Steve Jobs nel 2005.
sabato 8 ottobre 2011
Left: copertina paradosso
giovedì 6 ottobre 2011
Steve Jobs
Un saluto a Steve Jobs: impernditore, inventore, oratore.
Per il discorso "Siate affamati, siate folli" guarda il post del 25 agosto su questo blog.
Per il discorso "Siate affamati, siate folli" guarda il post del 25 agosto su questo blog.
mercoledì 5 ottobre 2011
Oltre alle “mamme”, ci sono anche i “genitori”
Il tema del sessismo linguistico non mi ha mai appassionato. Sono una strenua sostenitrice dei diritti delle donne, ma credo che chiamare “sindaca” il sindaco donna o “ministra” la signora ministro non contribuisca granché alla causa.
Però. C’è un però. Da mamma non capisco perché ancora non riesca a prendere piede il concetto che i figli sono cresciuti da due individui: mamma e papà. Certo, a meno che non ci sia stato un lutto.
Oggi, la prima pagina de “La repubblica” promette qualche consiglio utile:
«Piccoli obesi crescono
un decalogo per mamme»
E i papà?
Non sarebbe meglio «un decalogo per genitori»? O un «decalogo» e basta? O quello che volete. Riabilitiamo questi papà, altrimenti - poverini - si offendono.
Però. C’è un però. Da mamma non capisco perché ancora non riesca a prendere piede il concetto che i figli sono cresciuti da due individui: mamma e papà. Certo, a meno che non ci sia stato un lutto.
Oggi, la prima pagina de “La repubblica” promette qualche consiglio utile:
«Piccoli obesi crescono
un decalogo per mamme»
E i papà?
Non sarebbe meglio «un decalogo per genitori»? O un «decalogo» e basta? O quello che volete. Riabilitiamo questi papà, altrimenti - poverini - si offendono.
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lunedì 3 ottobre 2011
Napolitano e il solenne richiamo al rispetto delle istituzioni
Dopo il vespaio seguito alla super dichiarazione di Della Valle di sabato, il presidente della Repubblica ha più volte richiamato gli italiani al rispetto delle istituzioni. Lo ha fatto con il suo linguaggio elegante e solenne e con il consueto tono aulico.
L'occasione è l'anniversario dell'eccidio di Marzabotto da parte dei nazisti:
«È un dovere per noi tutti perpetuare il ricordo di coloro che combatterono nelle fila della Resistenza, restituirono all'Italia il bene supremo della libertà e della dignità nazionale. A loro si deve se l'Assemblea costituente poté approvare, grazie alla convergenza di forze politiche diverse, la nostra carta fondamentale in cui sono enunciati i valori e i principi fondamentali cui si ispirarono quanti, sacrificando se stessi e la propria vita, hanno consegnato alle generazioni successive una Repubblica nuova e libera. Spetta a ciascuno di noi, in nome di quegli stessi principi, continuare ad amarla e consolidarla».
Colpisce il passato remoto ormai usato sempre meno, fatta eccezione per i siciliani; la ricercatezza del verbo perpetuare (immaginiamo Napolitano dire alla sua Clio "ti amerò perpetuamente", invece di "ti amerò per sempre"); il concetto dell'amore di patria che, Napolitano insiste, non può tramontare.
L'occasione è l'anniversario dell'eccidio di Marzabotto da parte dei nazisti:
«È un dovere per noi tutti perpetuare il ricordo di coloro che combatterono nelle fila della Resistenza, restituirono all'Italia il bene supremo della libertà e della dignità nazionale. A loro si deve se l'Assemblea costituente poté approvare, grazie alla convergenza di forze politiche diverse, la nostra carta fondamentale in cui sono enunciati i valori e i principi fondamentali cui si ispirarono quanti, sacrificando se stessi e la propria vita, hanno consegnato alle generazioni successive una Repubblica nuova e libera. Spetta a ciascuno di noi, in nome di quegli stessi principi, continuare ad amarla e consolidarla».
Colpisce il passato remoto ormai usato sempre meno, fatta eccezione per i siciliani; la ricercatezza del verbo perpetuare (immaginiamo Napolitano dire alla sua Clio "ti amerò perpetuamente", invece di "ti amerò per sempre"); il concetto dell'amore di patria che, Napolitano insiste, non può tramontare.
sabato 1 ottobre 2011
Della Valle, le parole della tirata d’orecchi e il finale a specchio
Reprimenda enfatica, ma non solenne quella di oggi di Diego Della Valle.
L’imprenditore marchigiano ha occupato le pagine pubblicitarie dei quotidiani italiani, inizialmente comprate per le pubblicità Tod’s, con un’intemerata dal titolo a caratteri cubitali:
«POLITICI ORA BASTA»
Qualche stralcio de testo (firmato “Diego Della Valle”):
«Lo spettacolo indecente ed irresponsabile che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda la buona parte degli appartenenti a tutti gli schieramenti politici.»
«Rendetevi conto che tanti italiani non hanno più nessuna stima e nessuna fiducia in molti di Voi e non hanno più nessuna intenzione di farsi rappresentare da una classe politica che, salvo eccezioni, si è totalmente allontanata dalla realtà della cose e dai bisogni reali dei cittadini.»
«[la maggioranza della classe politica] è composta da persone incompetenti e non preparate che non hanno nessuna percezione dei problemi del Paese, della gravità del momento e tantomeno una visione mondiale degli scenari futuri che ci aspettano.»
Stile efficace. L’imprenditore utilizza un linguaggio semplice, parole di tutti i giorni. La forza del messaggio è nel rappresentare un sentimento contemporaneo, di farsi megafono della vox populi.
Non manca qualche destrezza retorica, come il finale speculare:
«Alla parte migliore della politica e della società che si impegnerà a lavorare seriamente in questa direzione, credo che saremo in molti a dire grazie.
A quei politici, di qualunque colore essi siano, che si sono invece contraddistinti per la totale mancanza di competenza, di dignità e di amor proprio per le sorti del Paese, saremo sicuramente in molti a volergli dire di vergognarsi.»
“in molti a dire grazie” - “in molti a volergli dire di vergognarsi”. Ecco lo specchio.
L’imprenditore marchigiano ha occupato le pagine pubblicitarie dei quotidiani italiani, inizialmente comprate per le pubblicità Tod’s, con un’intemerata dal titolo a caratteri cubitali:
«POLITICI ORA BASTA»
Qualche stralcio de testo (firmato “Diego Della Valle”):
«Lo spettacolo indecente ed irresponsabile che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda la buona parte degli appartenenti a tutti gli schieramenti politici.»
«Rendetevi conto che tanti italiani non hanno più nessuna stima e nessuna fiducia in molti di Voi e non hanno più nessuna intenzione di farsi rappresentare da una classe politica che, salvo eccezioni, si è totalmente allontanata dalla realtà della cose e dai bisogni reali dei cittadini.»
«[la maggioranza della classe politica] è composta da persone incompetenti e non preparate che non hanno nessuna percezione dei problemi del Paese, della gravità del momento e tantomeno una visione mondiale degli scenari futuri che ci aspettano.»
Stile efficace. L’imprenditore utilizza un linguaggio semplice, parole di tutti i giorni. La forza del messaggio è nel rappresentare un sentimento contemporaneo, di farsi megafono della vox populi.
Non manca qualche destrezza retorica, come il finale speculare:
«Alla parte migliore della politica e della società che si impegnerà a lavorare seriamente in questa direzione, credo che saremo in molti a dire grazie.
A quei politici, di qualunque colore essi siano, che si sono invece contraddistinti per la totale mancanza di competenza, di dignità e di amor proprio per le sorti del Paese, saremo sicuramente in molti a volergli dire di vergognarsi.»
“in molti a dire grazie” - “in molti a volergli dire di vergognarsi”. Ecco lo specchio.
Sineddoche e anafora per i giovani della Confindustria
I giovani (e i vecchi) della Confindustria hanno attaccato il Governo. Lo hanno sfidato pubblicamente non invitando i suoi rappresentanti all’annuale convegno di Capri.
«Non inviteremo più i politici. Basta passerelle» ha dichiarato Jacopo Morelli, presidente dei giovani industriali.
Morelli usa una sineddoche, una figura retorica sempre efficace che abbiamo già incontrato in questo blog. Vi ricordate il “predellino”?
La sineddoche consente di trasferire “il significato di una parola a un’altra, in base a un rapporto di contiguità*”.
E la vena retorica dei confindustriali non finisce qui. Jacopo Morelli prosegue con un’anafora, la ripetizione di una parola all’inizio della frase.
«Avevamo fatto proposte, ma zero risposte […]. Zero risposte. Zero politici»
Non fa una piega.
«Non inviteremo più i politici. Basta passerelle» ha dichiarato Jacopo Morelli, presidente dei giovani industriali.
Morelli usa una sineddoche, una figura retorica sempre efficace che abbiamo già incontrato in questo blog. Vi ricordate il “predellino”?
La sineddoche consente di trasferire “il significato di una parola a un’altra, in base a un rapporto di contiguità*”.
E la vena retorica dei confindustriali non finisce qui. Jacopo Morelli prosegue con un’anafora, la ripetizione di una parola all’inizio della frase.
«Avevamo fatto proposte, ma zero risposte […]. Zero risposte. Zero politici»
Non fa una piega.
*Marchese A. (1990), Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori, Milano.
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