domenica 3 aprile 2011
Collana “La forza delle parole” de L’Espresso. Gandhi era retorico? Sì, senza dubbio
Una figura esile vestita con un panno bianco: è l’immagine che viene in mente a tutti noi quando sentiamo pronunciare il nome di Gandhi. Un uomo che si presentava nudo: senza la divisa della giacca e della cravatta, senza orpelli, senza artificio. Questa essenzialità ci porterebbe a pensare che i discorsi del grande leader indiano siano stati privi di retorica, asciutti come il loro oratore. Non è così. Gandhi è stato un retore raffinato. Il suo stile non era certo manieristico e sfarzoso, ma sapientemente congegnato e calibrato. Innanzitutto, è necessario dire che il Gandhi retore è stato il maestro della negazione che afferma, definisce e diventa slogan. È il caso della “non cooperazione” e della “non violenza”, due negazioni che affermano e definiscono forme di lotta consistenti nel rifiuto delle cariche pubbliche, nel boicottaggio dei prodotti britannici e nella disobbedienza civile da parte dei movimenti indipendentisti indiani. A scuola e sul lavoro ci hanno insegnato a non usare mai la negazione per lanciare un progetto, un’idea o un prodotto. È un consiglio ragionevole ma, a volte, infrangere le regole con intelligenza serve per sparigliare, colpire, lasciare il segno, creare uno slogan. Nel discorso sulla non cooperazione del 12 agosto 1920, riportato nel libretto pubblicato da L’Espresso, Gandhi fa sfoggio di una serie di domande retoriche, quesiti che non sono reali richieste di informazione, ma contengono una risposta predeterminata. Un esempio di domanda retorica dalla Bibbia: «Chi è Dio tranne il Signore?» Queste, invece, le domande retoriche di Gandhi: «[…] domando: è incostituzionale che io dica al Governo britannico: “rifiuto di servivi”? […]. È incostituzionale che un genitore ritiri i figli dalla scuola governativa o sostenuta dal governo? È incostituzionale che un avvocato dica: “non appoggerò più il braccio della legge finche quel braccio della legge viene usato non per elevarmi ma per svilirmi”? […] Domando: è incostituzionale che un poliziotto o un soldato dia le dimissioni quando sa che è chiamato a servire un governo che diffama i suoi stessi compatrioti? […] Ritengo e oso far presente che non vi è nulla di incostituzionale in questo. […] Sostengo che in tutto il progetto di non cooperazione non vi è nulla di incostituzionale.» La serie di domande retoriche si chiude con un ossimoro, un apparente contraddizione. È il governo britannico a essere incostituzionale: «unconstitutional Government».
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Non violenza, pacifismo concetti che in questo periodo vanno poco di moda. Mezzo mondo si è mobilitato contro l'attacco all'Iraq di Saddam che era un dittatore come Gheddafi. Oggi però pochissimi dicono che è sbagliato attaccare la Libia. Quanto conta il contesto? Quanto gli interessi economici? E nel caso specifico, il fatto che Gheddafi era l'amico di Berlusconi spiega forse l'interventismo della sinistra? Il pacifismo dipende da chi deve essere difeso?
RispondiEliminaOn-off: il pacifismo a intermittenza lascia perplessi, è vero.
RispondiEliminaSicuramente, come dici tu, nel caso di Gheddafi la sua amicizia con Berlusconi lo rende, per la nostra bislacca sinistra, un soggetto per cui non vale la pena scaldarsi troppo.
Questo non dovrebbe comportare, però, la mancanza di considerazione per il popolo libico, che non ha perso autorevolezza e, soprattutto, dignità umana.
Flavia