lunedì 29 dicembre 2014

Aung San Suu Kyi agli studenti

Nel 1988 Aung San Suu Kyi pronuncia un discorso che segna l'inizio della sua infaticabile battaglia contro il regime militare birmano. E' la figlia dell'eroe nazionale Aung San, ma gli studenti non si fidano completamente di lei. Li deve rassicurare.

martedì 23 dicembre 2014

Parole sul bene più prezioso della democrazia: la scuola

Tra “studia, sennò ti brucio la Play Station” e “vi prego, fatemi studiare” c’è una differenza abissale. Intendiamoci, gli studenti che non hanno voglia di applicarsi hanno le loro cattive ma stra-condivisibili ragioni. Studiare è una fatica nera e rientra nella natura umana la perenne inclinazione allo scantonamento. Un pomeriggio di studio, che per qualcuno sembra il peggiore dei destini, è un miraggio per qualcun altro. Questioni di punti di vista, di posizioni geografiche e di periodi storici. Questo post è dedicato alle parole a sostegno dello studio. Un “meglio di” sulla scuola e l’istruzione che va da Calamandrei a papa Francesco, passando per la numero uno, la vera star dei discorsi sulla scuola: la piccola-grande Malala, la ragazza che si disegnava le equazioni sulle mani con l’henné e che, pur di studiare, si è fatta sparare in testa dai talebani, sulla strada della scuola, mentre era con le sue compagne.
Pochi giorni fa, Malala Yousafzai ha vinto il premio Nobel per la pace. È rimasto storico il suo discorso all’Onu del luglio 2013. Aveva solo 16 anni.
Senza mostrare alcuna paura, Malala si prende gioco dei talebani, ironizzando sulla loro ignoranza e disarmante rozzezza. La verità è paradossale: i terroristi terrorizzano perché sono terrorizzati.
“Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. […] I talebani hanno paura dei libri perché non sanno che cosa c’è scritto dentro.”
La ragazzina con il foulard rosa confetto rincara la dose, senza paura:
“I talebani pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore che manderebbe le bambine all’inferno soltanto perché vogliono andare a scuola.” (Discorso alle Nazioni Unite, 12 luglio 2013) Video
Ma veniamo all’Italia. Il giurista Piero Calamandrei usa un paragone: la scuola è come il sangue. Un elemento essenziale dell’organo costituzionale. Senza la scuola pubblica – che deve venire prima di quella privata – non ha senso parlare di democrazia.
“Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura. Ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue.” (Discorso al Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950) Testo
Sostenere la causa dell’istruzione sembra un “ti piace vincere facile” delle argomentazioni; ovviamente finché si rimane nel campo delle parole e non si sconfina in quello accidentato dei fatti o del consenso politico. Tuttavia la foga di Tony Blair nel sostenere gli investimenti nella “education”, ci fa capire che anche questa argomentazione non è poi così scontata. O, almeno, non lo era nella Gran Bretagna della fine degli anni ’90. Blair parlava di scuola utilizzando la teatrale strategia linguistica dell’iterazione:
"Chiedetemi le tre principali priorità del Governo e vi dirò: istruzione, istruzione, istruzione." (Blackpool, 1996) Video
Una strategia linguistica efficace, ripresa anche dal nostro premier Matteo Renzi nella sua Lettera aperta ai sindaci del marzo 2014.
Se, poi, al diritto allo studio non corrisponde almeno un po’ di voglia di studiare, i risultati sono deprimenti. In puro spirito pragmatico made in Usa, Barack Obama ribalta il punto di vista: cosa fai tu, studente, per meritare il diritto all’istruzione?
Il presidente americano si fa portatore di un’orrenda verità: imparare fa rima con sgobbare. E non ci sono scuse per chi non si comporta di conseguenza.
“[…] alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita – il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare – non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo.
Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola. Non c’è scusa per chi non ci prova. Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando.” (Discorso agli studenti, 8 settembre 2009) Video
Ma ce n’è anche per i prof., non solo per i poveri scolari. E le mazzate arrivano da papa Francesco. Anche gli insegnanti devono fare la loro parte, per conquistarsi il rispetto dei ragazzi. I giovani hanno fiuto, hanno la capacità di riconoscere a naso un cattivo o un buon maestro. Parola di Francesco che è stato alunno, studente, insegnante e, da vescovo di Buenos Aires, ha incontrato moltissime scuole.
“Perché se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capiscono, hanno “fiuto”, e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, “incompiuto”, che cercano un “di più”, e così contagiano questo atteggiamento agli studenti.” (Discorso al mondo della scuola italiana, Piazza San Pietro, 10 maggio 2014) Video
I discorsi sull’istruzione dovrebbero essere in grado di suggerire agli studenti una strada. Dovrebbero aiutarli a capire quello che vogliono e quello che non vogliono fare da grandi. Dovrebbero sgombrare il campo dai condizionamenti: dalla paura che infonde una società come la nostra, una repubblica fondata sull’incertezza; dalle pressioni familiari; dai giudizi a volte imperfetti degli insegnanti (sono esseri umani anche loro!); ma soprattutto da loro stessi, spesso i giudici più severi e castranti.
Steve Jobs, nel suo celebre discorso “Siate affamati, siate folli” racconta la sua storia, una storia fatta di puntini da collegare con una linea.
“Non avevo idea di cosa volevo fare della mia vita e di come il college potesse aiutarmi a capirlo. Era ovviamente impossibile unire i puntini guardando al futuro mentre ero al college […]. Ma la realizzazione era estremamente chiara, guardandola dieci anni dopo.
Ve lo ripeto, non puoi unire i puntini guardando al futuro, puoi connetterli in un disegno, solo se guardi al passato. Dovete quindi avere fiducia nel fatto che i puntini si connetteranno, in qualche modo, nel vostro futuro. Dovete avere fede in qualcosa, il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, quello che sia. Perché credere che i puntini si uniranno strada facendo, vi darà la sicurezza di seguire il vostro cuore”. (Siate affamati, siate folli, 14 giugno 2005, Stanford) Video
Si può certamente obiettare che in un Paese come il nostro, con il 40 per cento di disoccupazione giovanile, mettersi pure a seguire il cuore rischia di sfociare nella pura demenza. Ma se ai ragazzi togliamo pure quel briciolo di passione che forse la società non è riuscita ancora a estirpare, siamo definitivamente rovinati. 

lunedì 8 dicembre 2014

"Cultura e parole", domani al Collegio Augustinianum di Milano

DOMANI ALLE 18, AL COLLEGIO AUGUSTINIANUM DELL'UNIVERSITA' CATTOLICA DI MILANO, PARLERO' DEL POTERE DELLA DELLA CULTURA
Un viaggio tra i discorsi di Malala, Papa Francesco, Hillary Clinton, Tony Blair, Piero Calamandrei. #retorica
Ecco il link.


domenica 23 novembre 2014

Renzi e il paradosso del comunicatore


Le impennate oratorie del premier Renzi di questi ultimi giorni rientrano nella tradizione più classica dell’arte del dire. Chi segue “Discorsi potenti” sa che questo non ha per me un’accezione negativa. Al contrario. La retorica è fatta anche di luoghi, di topos, ossia di argomentazioni ricorrenti di sicuro effetto e di facile reperimento.

È un topos la “speranza”. Lo sa bene Barack Obama, uno dei più grandi retori dei nostri giorni che, nel 2006, ne fece la sua bandiera con il libro “The Audacity of Hope. Thoughts on Reclaiming the American Dream”.

Giovedì scorso, in Emilia, Renzi si è beccato i fischi della piazza e ha reagito mettendo in campo proprio il topos della speranza:
“In piazza ci vado, i fischi me li prendo ma è giusto continuare ad affrontare i problemi provando a risolverli. Perché il nostro compito è dare una speranza, il mio obiettivo è creare posti di lavoro, non ridurli.”

Nella lettera di ieri a La Repubblica, il premier insiste su questa argomentazione:
“[…] nei comportamenti concreti, nelle scelte strategiche, il Pd sa da che parte stare. Dalla parte dei più deboli, dalla parte della speranza e della fiducia in un futuro che va costruito insieme.” (22 novembre 2014, clicca qui

Altro topos è l’atteggiamento della vittima, dell’agnus dei che si sacrifica per il bene della collettività. La politica viene presentata come atto estremo di altruismo nei confronti dei cittadini, come martirio.
“… non arretro nemmeno davanti ai fischi e agli insulti. " (22 novembre 2014, clicca qui)
Quella dell’agnus dei è una strategia retorica che troviamo anche nel Berlusconi della campagna elettorale 2013, “costretto” a partecipare per l’ennesima volta alla competizione politica:

"Io avevo già abbandonato la politica. Restavo nel mio movimento politico come padre fondatore., i ero già fatto un programma che mi attraeva moltissimo. Quello di costruire tanti ospedali per bambini nel mondo. Quello di aprire un'università dove i miei colleghi, i più importanti leader mondiali degli ultimi vent'anni, potessero direttamente insegnare ai giovani che si avviavano a essere dei politici con il senso tuttavia della politica come servizio agli altri. A insegnare a questi giovani come si governa un Paese nella democrazia e nella libertà. [...] Solo che avevamo immaginato un'apertura a marzo ma mi sa che non ce la faremo perché io mi dovrò dedicare, come mi sto dedicando, al Paese." (Servizio Pubblico, 10 gennaio 2013)
Altro argomento, altro topos per Matteo Renzi. Ancora un classico: “il paradosso del comunicatore”, la frustrazione del re dei comunicatori che non riesce a comunicare e viene, secondo lui ingiustamente, criticato per non aver fatto abbastanza. Insomma, il ciabattino con le scarpe rotte.
“Per un governo che corre come il nostro c’è il rischio di lasciare oscurate centinaia di norme importanti che vengono approvate nel silenzio” (20 novembre 2014).
Berlusconi diceva: bisogna “cantare e portare la croce” (qui la fonte).

Doppio salto mortale: il paradosso del comunicatore e la strategia dell’agnus dei. Il signor B. è ancora impareggiabile.

lunedì 17 novembre 2014

Mancano le parole per chiedere scusa? Eccone alcune


Sul campo da basket, Chris si pente per aver smontato i sogni di suo figlio e gli chiede scusa.
Figlio: Guarda pa’, diventerò un professionista!
Chris: Sì, cioè, non lo so. Forse giocherai più o meno come giocavo io. È così che funziona, sai, io ero abbastanza negato. Quindi, probabilmente, arriverai, non so, al mio stesso livello, forse. Sarai bravissimo in un sacco di cose. In questa, non credo. Perciò non voglio che stai qui a tirare la palla per tutto il giorno, ok?
Figlio: ok. [Il bambino, deluso, ripone il pallone in una busta]
Chris: Ehi…
Figlio: Sì…
Chris: Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok?
Figlio: ok
Chris: Se hai un sogno, tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto.

(La ricerca della felicità di Gabriele Muccino con Will Smith, 2006)

domenica 16 novembre 2014

Quando per vendere devi essere un killer: i potenti discorsi dei film

“I miei killer che non accetteranno mai un no come risposta. I miei fottuti guerrieri che non riagganceranno il telefono fino a quando il cliente o compra o, per Dio, schiatta [...]. Siete in ritardo con i vostri pagamenti? Bene, prendete il telefono e cominciate a chiamare. Il padrone di casa sta per sfrattarvi? Bene, prendete il telefono e cominciate a chiamare. La fidanzata vi considera un fallito senza un soldo? Bene, prendete il telefono e cominciate a chiamare. Voglio che risolviate i vostri problemi diventando ricchi”
Sono le parole negativamente potenti del broker Jordan Belfort, interpretato da Leonardo di Caprio, nel film di Scorsese “The Wolf of Wall Street” (2013).
L’enfasi viene amplificata dall’uso dell’epifora, la ripetizione di una parola o un gruppo di parole alla fine degli enunciati. L’epifora di Di Caprio-Belfort è: “Bene, prendete il telefono e cominciate a chiamare”.
In questo film Leonardo Di Caprio interpreta un personaggio reale: Jordan Belfort, uno dei broker di maggior successo della storia di Wall Street. 
Nel 1990, Belfort, fonda la società di brokeraggio Stratton Oakmont, che vende telefonicamente azioni fasulle. La società ha successo e arriva a impiegare mille agenti di borsa e a fatturare oltre un miliardo di dollari.
Nel 1998, Belfort viene incriminato per frode e riciclaggio di denaro e trascorre ventidue mesi in prigione. Il film di Scorsese è tratto dall’autobiografia omonima. 

Guarda qui la clip.

giovedì 13 novembre 2014

Come parla la donna più potente del mondo

Chi pensa che il connubio tra calcio e politica sia una prerogativa dell'oratoria maschile sbaglia. La regina dell'austerity Angela Merkel si serve del calcio per succhiarne la verve pop. Un topos, direbbero i retori, un'operazione tesa alla ricerca di una delle merci più preziose in politica: la simpatia verso il leader. Alla domanda "Con chi andrebbe a cena volentieri?" Angela si guarda bene dal replicare che avrebbe piacere di intrattenersi con un politico internazionale, un grande letterato o un premio Nobel. Niente di tutto questo. "Vicente del Bosque" è la sua risposta. La signora, che la classifica di Forbes ha indicato per quattro anni consecutivi come la più potente del mondo, ha bisogno dell'allenatore dell'allora invincibile nazionale di calcio spagnola per conquistare la sua dose quotidiana di popolarità.
Per leggere il resto vai qui.

domenica 9 novembre 2014

Signor Gorbačëv, abbatta questo muro: l’invocazione di Reagan


L’anniversario della caduta del muro di Berlino riporta alla memoria le parole del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan che nel 1987, in occasione della sua seconda visita a Berlino, lancia una sfida a Michail Gorbačëv: gli chiede ti abbattere quel muro che dal 1961 divide barbaramente la città.
Nel suo discorso, Reagan si rivolge in tedesco agli abitanti di Berlino Est. L’uso della lingua dei destinatari è una captatio benevolentiae.
“Ma vorrei dire una parola particolare agli abitanti di Berlino Est in ascolto: anche se non posso essere in vostra compagnia, il mio discorso si rivolge tanto a voi quanto a chi si trova davanti a me, dal momento che condivido con voi e con i vostri concittadini di Berlino Ovest la salda e inalterabile convinzione che Es gibt nur ein Berlin (C’è soltanto una Berlino).”
Reagan definisce il muro di Berlino con una metafora: uno “sfregio”.
“Ebbene oggi io dico: finché questa porta resterà chiusa, finché si terrà in piedi questo sfregio di muro, non sarà soltanto la questione tedesca a restare aperta, ma la questione della libertà di tutto il genere umano.”
Poi, la sfida diretta a Gorbačëv, che prende la forma di un’invocazione:
“Segretario Generale Gorbačëv, se cerca la pace, se cerca la prosperità per l’Unione Sovietica e l’Europa Orientale, se cerca la liberalizzazione, venga qui davanti a questa porta. Segretario Generale Gorbačëv, apra questa porta. Signor Gorbačëv… Signor Gorbačëv, abbatta questo muro.”


venerdì 31 ottobre 2014

Sono un verme


Ah, il refuso! è sempre in agguato, soprattutto il venerdì sera quando vorresti veleggiare tranquilla verso il fine settimana. E c'è sempre qualcuno molto solerte, pronto a farti notare che hai sbagliato.
Eppure i refusi - e gli errori in genere - sono i compagni inseparabili di tutti coloro che scrivono, che producono qualcosa, che si espongono. 
Stefani Benni ha dedicato al tema un racconto nel suo libro "Il bar sotto il mare". Il refuso prendeva la forma del Verme Disicio e di tanti altri animaletti che segretamente vivono nelle pagine scritte, per insinuare errori in testi originariamente scritti alla perfezione.
Gli amici di Telos mi hanno chiesto di dare voce al Verme in un'intervista del loro foglio mensile PRIMOPIANOSCALAc. L'ho fatto volentieri perché io di refusi me ne ittedddo.
Leggi qui http://www.telosaes.it/pdf/primo-piano-scala-c/primopiano_scala_c_ottobre14_n10.pdf

giovedì 30 ottobre 2014

Il dico-non dico di Pina Picierno si chiama preterizione


Le figure che permettono, allo stesso tempo, di dire e non dire sono interessanti ma non prive di conseguenze. Lo sa bene la parlamentare europea del Pd Pina Picierno che ha sollevato un polverone, dopo le sue dichiarazioni di ieri mattina ad Agorà.
La Picierno ha incautamente cercato di difendere Renzi dalle dichiarazioni della Camusso, secondo le quali il Governo sarebbe sostenuto dai poteri forti.
Lo ha fatto con una preterizione, la figura del non dire che dice: “meglio non parlare di…”, “non starò a raccontare che…”. Sono premesse che introducono un racconto dettagliato, ma permettono all’oratore di ostentare delicatezza e riserbo. Doti, che almeno in quel momento, non gli appartengono.

“Io ho molto rispetto, a differenza di altri, per le piazze e per le manifestazioni. Però mi lasci dire che sono rimasta molto turbata dal leggere le parole questa mattina di Camusso che dice a qualche giornale che Renzi, il Governo Renzi, è al Governo per i poteri forti. E, allora, io potrei ricordare diciamo che la Camusso… Io potrei dire, ma non lo farò, che la Camusso è eletta con tessere – diciamo – false e che quella piazza è stata riempita – diciamo – con pullman pagati”. 

mercoledì 29 ottobre 2014

La prudenza che agghiaccia: l'iperbole di Leopardi

Giacomo Leopardi si sentiva soffocare a Recanati e progettava la fuga da quel mondo asfittico.
Questo è il passo di una lettera al padre Monaldo, che Giacomo non consegnò mai.
Bellissima l'iperbole che il poeta usa per dire che di Recanati non ne poteva più. L'iperbole è la figura dell'esagerazione: amplia la realtà o la riduce ai minimi termini. E' importante sottolineare che l'iperbole non vuole ingannare la realtà ma, deformandola, intende enfatizzarla, metterla in evidenza. Nel film "Il Giovane favoloso" di Mario Martone, Elio Germano - che interpreta Leopardi - recita questo passo con particolare maestria.
Insomma, l'iperbole fa capire senza ombra di dubbio che il povero Giacomo di Recanati aveva le tasche piene. Strapiene. #retorica



sabato 25 ottobre 2014

Angela Merkel e il tè di Hillary Clinton

Cosa pensa una leader politica come Angela Merkel di un'altra leader politica come la Clinton? Sicuramente ne apprezza la tenacia. In un discorso del 2005 a Baden Baden, Angela loda il "fiato lungo" di Hillary.

"Hillary Clinton ha proprio questa capacità di resistere [...]. Sa attendere, non molla, ha il fiato lungo, non si lascia sopraffare, quando si tratta di accendere le speranze o accendere la fantasia. Anche le sconfitte non l'hanno distolta dal suo cammino." Poi, sempre a Baden Baden, la Merkel cita Hillary e la bustina del tè. 
#retorica

domenica 12 ottobre 2014

Le parole tribali del paninaro Doc

"Cuccare", "Cuccador", "essere fuori di melone": ve li ricordate i Paninari? Quelli che frequentavano le "isole Lampados" con la cinta El Charro e i primi scomodissimi  jeans con i bottoncini?
La neolingua anni '80 era potente perché escludeva chi non la parlava.
Oltre a vestirti come gli altri, dovevi parlare come gli altri.
Niente di strano, però. Ogni gruppo ha le sue regole e la sua lingua.
Qui un video in cui Renzo Arbore e il lookologo Roberto D'Agostino intervistano il paninaro Doc.


sabato 11 ottobre 2014

Malala: è nobel. Il discorso all'Onu

In occasione del Nobel a Malala, ripropongo il post dello scorso anno sul suo discorso all'Onu.

Qui


venerdì 10 ottobre 2014

Puntata di Rai Storia su De Gasperi con il mio commento

Ecco la puntata di Rai Storia su Alcide De Gasperi con il commento di Giuseppe Sangiorgi, Segretario Generale dell’Istituto Luigi Sturzo, e il mio. Introduce e chiude Paolo Mieli. Il programma è stato curato da Giuditta Di Chiara.
"Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me" (Discorso alla Conferenza di Pace di Parigi, 10 agosto 1946): con queste parole potenti De Gasperi rompe il ghiaccio in un contesto nel quale è considerato un nemico.
Cliccate qui
Su retoricatiamo,it trovate il testo completo del discorso. Basta selezionare la lettera D di De Gasperi. Cliccate qui.

giovedì 9 ottobre 2014

La contraccezione in Vaticano si chiama amore


Con queste parole i coniugi Arturo ed Hermelinda parlano di contraccezione, nel corso del Sinodo sulla famiglia in Vaticano.
Allargano il senso della parola “fecondo”. Vanno oltre il senso letterale, quello della riproduzione. Ripristinano il significato figurato, quindi retorico. Essere fecondi non significa solo fare figli ma anche “favorire uno svolgimento di conseguenze per lo più vantaggiose” (Devo-Oli). E l'amore ha conseguenze decisamente vantaggiose.

Al Sinodo in Vaticano si fa manutenzione delle parole.

martedì 7 ottobre 2014

Ora, su Rai Storia, commento il discorso di De Gasperi alla conferenza di Pace di Parigi

http://www.tvblog.it/post/653506/italiani-su-rai-storia-paolo-mieli-racconta-i-grandi-ditalia

martedì 30 settembre 2014

Appuntamento domani al MAXXI di Roma: Souvenir. La retorica nelle immagini, le immagini nella retorica


Le parole-souvenir della politica

Ogni oratore è alla ricerca del Santo Graal della retorica. Di quell'immagine che permetterà a chi ascolta di capire al volo, ma anche di fissare l'argomento nella sua memoria. Il meccanismo, in teoria, è semplice: l'oratore parla, l'uditorio vede; e ricorda. Parlare agli occhi è un'abilità che abbiamo tutti, ma alcuni oratori ne fanno un'arte, con risultati spesso felici, talvolta nobili, talaltra semplicemente abietti.
Per leggere il resto vai qui.

sabato 20 settembre 2014

Renzi-Camusso: scontro con metalepsi


Lo scontro Renzi-Camusso sulla riforma del lavoro porta con sé palate di #retorica. Pane per i denti di questo blog.
Susanna Camusso accusa Renzi di essere come la Thatcher: la devastatrice per antonomasia dei posti di lavoro e delle relative tutele.
Renzi le risponde con un video (ricorda qualcuno?). Ma è diverso. Non c’è la vetusta scrivania berlusconiana. Sullo sfondo non ci sono le fotografie con le pretenziose cornici d’argento. Renzi è in piedi accanto alle bandiere dell’Italia e dell’Europa, la finestra è aperta...
Le accuse della Camusso vengono subito definite “ideologiche”. L’aggettivo acquisisce un’accezione negativa.
L’argomentazione-contro viene sostenuta da un’anafora, la ripetizione delle stesse parole in posizione inziale nel periodo. In questo caso le parole sono simili ma non identiche:
“Noi siamo preoccupati non di Margaret Thatcher […]”
“Noi, quando pensiamo al mondo del lavoro, non pensiamo a Margaret Thatcher […]”
Il cuore del ragionamento viene sostenuto da una metalepsi, una figura di senso che “facilita la trasposizione di valori in fatti” (Perelman e Tyteca).
L’”ideologia” della Camusso – i valori - si scontra con la cruda realtà – i fatti.
Ai fatti Renzi dà un nome. Nella metalepsi i fatti si chiamano Marta e Giuseppe. Chi sono? Non importa. Ma la loro rappresenta la storia di molti, moltissimi italiani.
“Noi siamo preoccupati non di Margaret Thatcher, siamo preoccupati di Marta, 28 anni che non ha la possibilità di avere il diritto alla maternità. Lei sta aspettando un bambino ma, a differenza delle sue amiche che sono dipendenti pubbliche, non ha nessuna garanzia perché in questi anni si è fatto cittadini di serie A e di serie B.
Noi, quando pensiamo al mondo del lavoro, non pensiamo a Margaret Thatcher. Pensiamo a Giuseppe che ha cinquant’anni e che non può avere la cassa integrazione […].”
Verso la conclusione del breve video-discorso. Il premier assume toni evangelici:
“Pensiamo a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni.”
“Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi” (Matteo, 20, 1-16)
In conclusione un paradosso e una domanda retorica.
Il paradosso: “Sono i diritti di chi non ha diritti quelli che ci interessano.”
La domanda retorica:
“Chiedo ai sindacati dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia che ha l’Italia? L'ingiustizia tra chi il lavoro ce l'ha e chi non ce l'ha.”

Non sappiamo se la riforma del lavoro porterà qualche risultato apprezzabile. Ovviamente lo speriamo. Ma la domanda non è oziosa.
Dove eravate?

Qui i video:
http://www.corriere.it/politica/14_settembre_19/jobs-act-camusso-vogliono-cancellare-liberta-lavoratori-2bd9c968-3ff8-11e4-a191-c743378ace99.shtml

venerdì 5 settembre 2014

Vuoi parlare il "renzese"? Ecco il generatore di annunci

Mai più senza. E' stato inventato il generatore di annunci che parla il renzese. Basta cliccare e esce una frase ottimistica, enfatica o di incoraggiamento.
Attenzione: il generatore non si prende responsabilità sui contenuti e le coperture finanziare di quanto annunciato.
Clicca qui per il tuo annuncio.



domenica 31 agosto 2014

Renzi, dal gelato-metonimia a Lady Pesc



Tutto è iniziato con un gelato. La conferenza stampa di venerdì 29 agosto, tenuta dal premier Renzi al termine del Consiglio dei Ministri, si è aperta con un carretto di gelati. Il premier ha deciso di offrire un cono ai giornalisti per fare dell’ironia sulla copertina del settimanale The Economist che ritraeva una barchetta di carta che affonda (per la precisione, la barchetta è realizzata con un euro). A bordo ci sono Matteo Renzi, Angela Merkel, François Hollande e Mario Draghi che, munito di secchio, tenta disperatamente di buttare fuori l’acqua che riempie l’imbarcazione. Il titolo recita: “The sinking feeling (again)” (30 agosto 2014).

Fin qui, niente di strano. Si sa che il settimanale britannico ha sempre un tono un po’ arcigno. Peccato che il premier italiano è l’unico, tra i tre leader europei, ad avere in mano qualcosa: un gelato. Ironia non sottile, resa grossolana dalla banalità dello stereotipo. il premier sta al gioco e tenta di ribaltare la metonimia: il gelato, simbolo dispregiativo di incoscienza, ritorna a essere il simbolo dell’eccellenza del made in Italy.
"Ho letto commenti a mio avviso fuori scala. Con una battuta ho voluto dimostrare che rispetto ai pregiudizi che l'Italia suscita dobbiamo dimostrare la realtà: il gelato artigianale è buono, non ci offendiamo per critiche perché facciamo un lavoro serio".

Ieri Sergio Marchionne dal meeting di Rimini, con il suo maglione blu anche ad agosto, sembra non aver apprezzato l’ironia renziana:
“Non sopporto più di vedere gente con gelati, barchette e cavolate. Vorrei essere orgoglioso di sentirmi italiano, poter rispondere all'appello internazionale dimostrando che siamo bravi, perché lo siamo realmente". Ma le polemiche si sono attenuate ieri sera con la nomina di Federica Mogherini a lady Pesc, alto rappresentate per la politica estera europea. “Noi siamo quelle gocce che riescono a scavare le rocce” ha commentato Matteo Renzi, facendo riferimento a una delle sue qualità universalmente riconosciute: la cocciutaggine.

Nelle conferenza stampa di venerdì ci sono stati altri passaggi degni di nota dal punto di vista della retorica.
Il primo: dal topos della velocità alla gradualità. Il premier ha lanciato un nuovo slogan: “passo dopo passo”.
Ieri Bassolino ha sottolineato via Twitter, che lo slogan era stato usato prima da lui. Ma non ha precisato il verso: avanti o indietro.
Ecco le parole di Renzi in conferenza stampa:
“Dobbiamo uscire dall’idea che basti una legge per cambiare il Paese. Non serve una legge per cambiare un Paese. Per cambiare un Paese servono le persone e serve un lavoro quotidiano, concreto, sistematico… Ecco perché passo dopo passo sarà il claim di tutti i mille giorni”.
Una sterzata nella retorica renziana, sempre orientata al topos della velocità a tutti i costi. Nasce un nuovo scenario possibile: la gradualità. Chi va piano va sano e lontano?

Il secondo: lo scenario fosco. Ai detrattori della politica degli 80 euro il premier risponde presentando lo scenario fosco delle economie che hanno puntato sulla riduzione dei salari. Una strategia argomentativa classica ed efficace.
Ho letto commenti secondo cui gli 80 euro non sono serviti a niente e vorrei dire che […] c'è proprio un disegno direi ideale, ideologico e culturale dietro gli 80 euro. C'è una parte del mondo economico che dice che dovremmo ridurre il salario dei lavoratori. Lo dicono autorevoli editorialisti, lo dicono autorevoli economisti. Ecco che nasce il modello della Spagna, poi domani del Nord Africa, poi domani dell’India, poi del Vietnam. […] Ma non è riducendo il salario del lavoratore che l'Italia uscirà dalla situazione di crisi”.

Il terzo: la preterizione sull’Europa. La preterizione è la figura del non dire che dice. La si ritrova nel linguaggio di tutti i giorni con la premessa bugiarda “meglio non parlare di…”. La premessa è bugiarda perché poi se ne parla eccome. La preterizione di Renzi riguarda il codice sugli appalti: Renzi dice non mi permetterei mai di dire”, ma si permette alla grande.
“Ci devono essere le stesse regole in Italia come in Europa. L’Italia ha il vezzo, non mi permetterei mai di dire vizio, di irrobustire, che è un modo carino, a mio giudizio di peggiorare, la normativa europea complicandola, inserendo elementi di difficoltà. Il codice degli appalti […] ha come principio che ciò che viene consentito dall’Europa è ciò che deve essere fatto in Italia. È un meccanismo in cui stavolta l’Europa ci aiuta, non ci penalizza. Siamo noi che abbiamo inserito troppe norme. E, nell’inserire troppe norme, abbiamo creato un danno economico e anche una mancanza di chiarezza. Perdonatemi ma trovo questa norma rivoluzionaria”

Il quarto: l’esempio. È una classico della didattica antica, medioevale e rinascimentale ed è una forma di argomentazione retorica. Gli esempi possono essere reali o inventati. Matteo Renzi si serve di un esempio per affrontare il tema delle intercettazioni. Con maestria oratoria, coinvolge un membro della stampa presente in sala.
“Se io prendo una tangente è giusto che io sia intercettato ma che il contenuto della mia intercettazione sia a disposizione dell’opinione pubblica, se però, nel prendere una tangente che mi dà Fabio Martini de La Stampa, si scopre che tra me e lui c’è del tenero (chiedo scusa a Fabio Martini perché è chiaramente diffamatorio nei suoi confronti), è evidente che questo elemento non può essere oggetto di discussione”.

Il quinto: ode al power point. Anche in questa occasione il premier si serve delle slide per accompagnare il suo discorso. Ogni concetto viene contraddistinto con un codice colore.
Dai gelati al power point. Berlusconi si mangia le mani. Da uno a dieci, quanto vorrebbe essere Matteo Renzi (rogne comprese)? Undici.


Guarda il video della conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, al termine del consiglio dei Ministri n.27: qui.




giovedì 28 agosto 2014

La vera uguaglianza razziale? Anche una questione di Motel. 51 anni fa: I have a dream

Il 28 agosto di 51 anni fa è stato pronunciato il discorso per antonomasia. In Ho un sogno, marcia su Washington per il lavoro e la libertà di Martin Luther King c’è tutto: passione, fermezza, sfida, ritmo. 
Ma, soprattutto, c’è azione. Volontà di cambiare l’America subito, nel momento stesso in cui quel discorso viene pronunciato. 
King ci riesce: dopo I have a dream, i bianchi, i neri, la politica, la cultura, il mondo

hanno fatto un passo avanti verso l’uguaglianza e la libertà.