giovedì 29 marzo 2012

Elsa Monti superstar per “Chi”. Un po’ elitaria, ma anche schietta

Tailleur gessato, doppio filo di perle, messa in piega moderatamente voluminosa. È l’immagine della first lady Elsa Monti che compare sulla copertina del settimanale “Chi” in edicola da un paio di giorni.

Il fatto che la sobria sciura, moglie del signor British style, abbia accettato di farsi intervistare dal direttore del settimanale Alfonso Signorini, ex cantore delle gesta di casa Berlusconi, ha attirato i commenti aciduli di certa carta stampata.

Sono andata a comprare “Chi” per farmi un’idea e renderne conto ai lettori del blog.

Dall’intervista emerge una signora decisamente piacevole. Peccato per qualche nota dal sapore elitario che, in un’Italia di sacrifici voluti da suo marito, suona un po’ fuori luogo, perché fa temere che la coppia non conosca fino in fondo lo stile di vita dei comuni mortali.

«In 45 anni di matrimonio non ricordo molti weekend. Sempre stato così. Fin dai tempi in cui mio marito era assistente universitario, il sabato e la domenica erano i giorni della scrittura degli articoli, della preparazione delle lezioni.»

Se, come sembra, per “weekend” la signora intende “weekend fuori città” credo sarebbe stato meglio esprimere semplicemente il rammarico di essere riuscita a godere poco della disponibilità di suo marito per sé e per la famiglia.

Prosegue:
«[da ragazza] ero moderatamente studiosa. Sportiva mai. Anzi pigra. Mio padre le ha tentate tutte con me: tennis, cavallo, qualunque sport.»

Il riferimento alla nobile equitazione era necessario?

Appare invece simpatica per la sua sincerità quando confessa di essersi scelta, nei confronti del marito, un ruolo da “retrovia”:

«Ben presto tra me e mio marito si è creata una suddivisione di ruoli molto marcata. La ribalta ce l’aveva lui, la retrovia spettava a me.» Démodé ma schietta.

Proseguendo, anche Elsa ripete il refrain del Monti style del quale, più volte, abbiamo parlato in questo blog. L’atto linguistico perlocutivo, la canzone esiziale: fare i sacrifici per evitare di “finire come la Grecia”:

«Tutti si rendono conto del fatto che era necessario passare per un periodo di sacrifici, per evitare che l’Italia finisse come la Grecia.»

Dieci e lode al racconto delle motivazioni che hanno spinto il marito ad accettare il ruolo di premier, dopo l’investitura del presidente Napolitano:

«Che cosa avrebbe dovuto dire al Capo dello Stato? “No grazie, non mi sento pronto!”? Non ha fatto altro che mettere in pratica quello che aveva studiato per una vita intera. Più che una scelta, la sua è stata una sfida. “Hai scritto pagine e pagine su quello che andrebbe fatto in una situazione del genere? Bene, fallo.»

Non fa una piega.

martedì 27 marzo 2012

Monti tre in uno: minaccia, allude e presuppone

Il premier Monti dalla Corea offre una parata di argomentazioni in favore della riforma del lavoro.

Con un atto linguistico esprime, secondo la classificazione di Searle, un’intenzione commissiva, in quanto si impegna a compiere un’azione nel futuro: dimettersi da premier nel caso in cui partiti e sindacati mettano i bastoni tra le ruote della riforma.

«Se il Paese, attraverso le sue forze sociali, parlamentari e politiche, non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro, non chiederemmo certo di continuare tanto per arrivare a una certa data»

Prosegue con un’allusione:

«Un illustrissimo uomo politico diceva: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. L’obiettivo è più ambizioso della durata: è fare un buon lavoro»

La parola “allusione” viene da lùdere, giocare. Monti gioca con le parole, dice e non dice. Fa riferimento a Giulio Andreotti (“illustrissimo politico”) ma non lo cita esplicitamente. Demolisce e delegittima la discussione politica, giudicandola, ancora una volta implicitamente, “un cattivo lavoro”.

Infine, tanto per gradire, un “après moi le déluge” presupposto:

«[all’estero] c’è qualche apprensione per ciò che potrebbe accadere dopo le elezioni del 2013»

Il diluvio. Dopo di me.

giovedì 22 marzo 2012

Aung San Suu Kyi dà una spallata a due luoghi comuni: l'intolleranza è virtù da sfigati e che le donne parlino troppo è vero e va bene

Esce in questi giorni il film di Luc Besson "The lady", dedicato all'orchidea d'acciaio: il premio Nobel Aung San Suu Kyi, la donna politica birmana che ha sempre lottato per i diritti umani, pagando la sua scelta con l'allontanamento dalla famiglia e con vent'anni di arresti domiciliari.

In un video discorso inviato nel 1995 alla Conferenza mondiale sulle donne, Aung San offre una lezione su una parola chiave e ribalta un luogo comune.

La parola chiave è "tolleranza"; il luogo comune da ribaltare è la negatività del fatto che le donne parlano troppo.

La tolleranza. Secondo Aung San Suu Kyi la mancanza di tolleranza non è dovuta a un'eccessiva considerazione di sé, ma al suo contrario: l'insicurezza. Chi è consapevole del proprio ruolo sa valorizzare gli altri ed è in grado di accettare il dissenso.

«Spesso l'altra faccia della medaglia dell'intolleranza è l'insicurezza. Le persone insicure tendono a essere intolleranti, e la loro intolleranza dà libero sfogo a forze che minacciano la sicurezza degli altri. E dove c'è insicurezza, non può esistere una pace durevole»

Le donne parlano troppo. Aung San Suu Kyi sostiene che la propensione delle donne a parlare non sia una debolezza, ma un elemento di forza. Parlare, infatti, significa dialogo, significa confronto pacifico:

«in tutto il mondo è diffuso un vecchio pregiudizio secondo il quale le donne parlano troppo. Ma è veramente una debolezza? Non è piuttosto un elemento di forza? (...) le donne possono dare un valido contributo nelle situazioni di conflitto, portando a soluzioni basate sul dialogo piuttosto che sulla violenza».

Due argomentazioni potenti.


http://www.boardofstudies.nsw.edu.au/syllabus_hsc/pdf_doc/english-advanced-speeches-2009-2014.pdf

mercoledì 21 marzo 2012

Le parole contro il gioco d’azzardo. Un incontro pubblico il 23 marzo a Corsico Milanese

Venerdì 23 marzo alle 21 modero un incontro per la prevenzione della dipendenza dal gioco d’azzardo.

“Il gioco d’azzardo tra delusione, disperazione
e speranza. Come prevenire”
Conversazione con Filippo Torrigiani, Assessore
alla Viabilità e Città Sicura di Empoli e Flavia
Trupia
, esperta di comunicazione

Sala La Pianta, via Leopardi 7

lunedì 19 marzo 2012

Discorsi potenti collezione. Pillole di retorica. Quando la tradizione è strozzina



Oggi è la festa del papà. Un nuova pillola di retorica ne ricorda uno, costretto a ricorrere a un usuraio per onorare le regole non scritte – ma non per questo meno ferree – di una tradizione che inchioda. La figlia si sposa e bisogna organizzare una festa di matrimonio come si deve. Altrimenti si fa cattiva figura.

Saverio, il papà che fa il cameriere, rimane impietrito di fronte al preventivo del pranzo di nozze: non è in grado di pagarlo. Le parole potenti del cognato e gli occhi supplicanti della moglie, sono però un’ottima argomentazione per indebitarsi oltre le proprie possibilità.

Il dialogo è tratto dal film “L’amico di famiglia” di Paolo Sorrentino (2006).


Zio della sposa: Le figure di merda, Saverio, le figure di merda. Io non gliele faccio fare le figure di merda a mia nipote. Già a mia sorella non gli hai fatto fare il viaggio di nozze. Pure tua figlia vuoi vedere infelice? Dall’altra parte ti hanno pagato la casa, i mobili, il viaggio di nozze, il servizio fotografico, il filmino, le fedi e pure la torta nuziale. A te tocca il ricevimento, le bomboniere e l’abito da sposa, è chiaro?

Madre della sposa: Questo è il preventivo di Michelini. È l’opzione più economica: antipastino di mare, linguine dello chef…

Zio della sposa: Sarebbero con gli scampi.

Madre della sposa: Alternativa: pennette alla Vodka. Per secondo, frittura di calamari e gamberi…

Zio della sposa: … fresca, niente merda congelata, eh!

Zio della sposa: … fresca. Insalatina, melanzana alla maniera del marinaio, caffè. Il tutto 15 euro.

Padre della sposa (Saverio): È ancora molto caro, non c’è un’opzione più economica?

Zio della sposa: un’opzione più economica sarebbe una spaghettata aglio e olio a casa tua. Saverio, ma quanto vorresti spendere?

Padre della sposa (Saverio): Sono duecento invitati, moltiplica per 15 euro, sono 3 mila euro. Vini, bomboniere e abito da sposa esclusi. Io non ce la faccio.

Madre della sposa: (scoppia a piangere).



mercoledì 14 marzo 2012

La paccata del Ministro Fornero è bullismo verbale

Un ministro può usare, talvolta, un registro informale. Lo può fare anche un professore con i suoi studenti. È una collaudata tecnica di captatio benevolentiae, un tentativo lecito per conquistare una piccola ma sudata fetta di approvazione.

Ieri, il ministro del lavoro Fornero ha usato un'espressione informale per ottenere il risultato opposto della captatio benevolentiae. Il risultato? Una voluta sgradevolezza.

«È chiaro che se c'è un accordo (con i sindacati), io mi impegno a trovare risorse più adeguate e a fare in modo che il meccanismo degli ammortizzatori funzioni bene.»

E qui arriva l'anti-captatio:

«ma se uno comincia con il dire no, perché dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire: voi diteci di sì. No, non si fa così»

Ma l'economia non dovrebbe innanzitutto creare lavoro?

Non basta usare un linguaggio da bulli per avere ragione.

lunedì 12 marzo 2012

«Lanciare razzi sui bambini addormentati» nel cuore di tenebra dell’Afghanistan

Non esistono armi intelligenti, solo armi di assoluta idiozia che diventano ancora più idiote nelle mani di un soldato fuori di sé per l’alcol o per l’usura della guerriglia.

È il soldato americano che a Kandahar in Afghanistan, alle tre della notte tra sabato e domenica, ha ucciso 17 civili, tra i quali bambini che dormivano.

Nel 2009 all’Università del Cairo, Obama ha pronunciato un discorso che viene interpretato come una mano tesa dell’Occidente verso il mondo musulmano.

Un capolavoro di oratoria. Il presidente americano utilizza un linguaggio preciso, descrittivo, figurato come nella Bibbia. Per descrivere la guerra ricorre a una metafora:

«lanciare razzi sui bambini addormentati»

È quello che è successo.

giovedì 8 marzo 2012

Al ministro Riccardi fa schifo la politica, ma ama l’allitterazione

Il ministro Andrea Riccardi esce dall’impasse della gaffe di ieri grazie a un’allitterazione.

Il ministro della Cooperazione, parlando con il guardasigilli Paola Severino, aveva commentato in questo modo l’incontro saltato tra Pdl, Pd e Udc a seguito della cancellazione della presenza di Angelino Alfano:

«Alfano voleva creare il caso, vogliono solo strumentalizzare. In realtà il Pdl ha problemi a trovare un accordo sulla legge elettorale. È questa la cosa che mi fa più schifo della politica»

Riccardi, dopo essersi scusato, tenta di chiudere il caso con un’allitterazione, una figura retorica che consiste nella ripetizione di una sillaba o di un suono in parole che si susseguono:

«Non credo di dover parlare di più sul non parlato» (video)

“Tanto, se tanto mi da tanto, è meglio fare il tonto” dice Zucchero Fornaciari nella Canzone “Pronto” (album Fly).

lunedì 5 marzo 2012

Quando le parole sono azioni. Marco Alemanno, compagno di Dalla, segna un punto per la libertà di amare

Un uomo ha ricordato il compagno al suo funerale cattolico: senza infingimenti, davanti al mondo.

È quanto è successo ieri alle esequie di Lucio Dalla in San Petronio a Bologna, dove Marco Alemanno ha ricordato il suo compagno di vita:

“Da diverso tempo ormai ho il piacere, l’onore e il privilegio di crescere al fianco di Lucio, il cantante, il musicista, il regista ma soprattutto l’uomo eterno bambino a cui devo già tanto”

Un discorso che segna un passaggio decisivo a favore dell’amore senza pregiudizi. Tra uomini, tra uomini e donne, tra donne e donne. L’amore, insomma.

Ricordo la poesia “Funeral blues” di Wystan Hugh Auden diventata celebre grazie al film “Quattro matrimoni e un funerale” (1994), nel quale viene pronunciata da un omosessuale per il compagno in occasione del suo funerale.

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.

(Traduzione di Gilberto Forti)

Ringrazio http://www.sagarana.it/rivista/numero3/poesia2.html dal quale ho tratto il testo di Auden. Nel sito è presente anche la versione originale.

venerdì 2 marzo 2012

L’Italienish delle riunioni di lavoro è un pidgin

«Sei sul track giusto»: è l’elogio guadagnato sul campo
in una riunione sul tema dei social network.

Subito dopo sono arrivate altre amenità: «Siamo on the way»; «la tua esposizione deve essere easy»; «I risultati finali saranno esposti all together».

Wodelful! Benvenuti nell’universo del pidgin fine novecento, retaggio dell’aziendalese anni ’90.

Tecnicamente il pidgin è un “idioma cammello”, uno strano animale linguistico frutto della mescolanza di popolazioni e culture diverse.

Non si tratta di una lingua vera e propria, perché la struttura è semplificata e manca una tradizione letteraria.

Speriamo che, alla lunga, non porti anche alla semplificazione del pensiero.