sabato 31 dicembre 2011

Giorgio Napolitano: oratore dell’anno

Più volte mi hanno chiesto chi avrei nominato “oratore italiano del 2011”. La risposta è senza dubbio Giorgio Napolitano, per la l’autorevolezza che è riuscito a costruirsi.

Scorrendo le parole che ha pronunciato nel corso dell’anno, emergono gli ingredienti che hanno contribuito alla costruzione di questa autorevolezza.

In un periodo critico per l’Italia, ha lasciato il segno il tono paterno e allo stesso tempo aulico del Presidente. Uno stile risorgimentale – l’ho scritto più volte in questo blog – che tuttavia non è mai freddo ma sempre affettuoso.

Non consiglierei ai miei clienti di adottare questo stile. Perché? Perché bisogna essere Napolitano. Ma consiglierei – e lo faccio – di ispirarsi alla ricchezza del suo vocabolario, al suo modo impeccabile di controllare il periodo, alla sua capacità di dominare la scena attraverso le pause sapienti e la pronuncia chiara.

Ecco alcune caratteristiche del linguaggio pubblico di Giorgio Napolitano, oratore dell’anno.

EPITETI
Napolitano pone frequentemente l’aggettivo prima del nome per costruire un epiteto: «luminosa evidenza»; «suprema pazienza»; «fortificanti motivi»; «generosa utopia»; «cieche trame terroristiche»; «luminosi principi»; «complessivo bilancio».
(discorso di fine anno 2010 e discorso per l’Unità d’Italia, 17 marzo 2011).

PERIODO
Il periodo, al contrario di quello che si consiglia agli oratori contemporanei, è spesso ricco di incisi: «Una formidabile galleria di ingegni e di personalità - quelle femminili fino a ieri non abbastanza studiate e ricordate - di uomini di pensiero e d'azione. A cominciare, s'intende, dai maggiori: si pensi, non solo a quale impronta fissata nella storia, ma a quale lascito cui attingere ancora con rinnovato fervore di studi e generale interesse, rappresentino il mito mondiale, senza eguali - che non era artificiosa leggenda - di Giuseppe Garibaldi, e le diverse, egualmente grandi eredità di Cavour, di Mazzini e di Cattaneo.»
(discorso per l’Unità d’Italia, 17 marzo 2011)

PASSATO REMOTO
Colpisce, in generale, l’uso frequente del passato remoto ormai impiegato sempre meno, fatta eccezione per alcune regioni italiane come la Sicilia.


SCELTA LESSICALE
Solo qualche esempio.

Cemento
Una bella metafora.
«cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità.»
(discorso per l’Unità d’Italia, 17 marzo 2011)

Congiura
Pochi giorni fa, sulla prima pagina de La repubblica, Napolitano ha designato con il termie «congiura» l’associazione a delinquere tra «arretramento culturale e impoverimento della vita politica democratica».
(29 dicembre La Repubblica)

Perpetuare
Verbo ricercato.
«È un dovere per noi tutti perpetuare il ricordo di coloro che combatterono nelle fila della Resistenza, restituirono all'Italia il bene supremo della libertà e della dignità nazionale».
(3 ottobre 2011, richiamo al rispetto delle istituzioni a seguito della lettera aperta dell’imprenditore Della Valle contro i politici italiani)


Spirito
«Ho ritenuto di dover restare - nel mio ruolo - estraneo a ogni disputa in proposito. Ma ritengo che lo spirito della decisione presa sia apprezzabile».
(lettera di apprezzamento per la proclamazione del 17 marzo 2011 come festa nazionale)
Non è, dunque, apprezzabile la decisione ma lo «spirito della decisione». In questo modo Napolitano rimane super partes.

venerdì 30 dicembre 2011

Le parole auliche del presidente Napolitano

Sempre ricercata la scelta lessicale di Giorgio Napolitano.

Ieri, sulla prima pagina de La repubblica, designa con il termie «congiura» l’associazione a delinquere tra «arretramento culturale e impoverimento della vita politica democratica».

Ma non finisce qui. Il Presidente traduce il “magna magna nostrano” in «degenerazioni parassitarie del “Welfare all’italiana”».

Che bella, la cultura!

martedì 27 dicembre 2011

Fausto Simoni, uomo dell’anno per La7 e re della sprezzatura

Liberarsi per sempre dal mutuo; assicurarsi il futuro che, oggi, appare incerto, se non incertissimo; permettere ai figli di studiare all’estero. Sono tanti, tantissimi i motivi per accettare una tangente e non sono necessariamente legati all’ingordigia o al desiderio di una vita extra-lux.

Ma sono tanti, tantissimi i motivi per non accettare una tangente: il mutuo? fa parte del gioco, lo pagano milioni di persone; il futuro? bisogna avere fiducia, per affrontare la vita con energia e forza, tutti i giorni; i figli all’estero? è più importante che imparino a camminare con le proprie gambe e che abbiamo genitori con la coscienza pulita e, possibilmente, incensurati.

Fausto Simoni, responsabile Sistemi Cns e Meteo Enav, è stato nominato uomo dell’anno dal Tg de La7, per aver rifiutato una tangente offerta dall’imprenditore Tommaso Di Lernia.

Passerà alla storia per aver vinto all’insidioso “gioco dei tra”: tra essere più ricco e disonesto e meno ricco e onesto ha scelto la seconda alternativa.

Credo sia fiero di quello che ha fatto (ne ha tutte le ragioni) ma – da vero vincitore del “gioco dei tra” – non lo dà a vedere:

«Primo, non mi sento affatto un eroe. Secondo, non sono l’unico a svolgere la mia professione con serietà e spirito etico.»

Baldesar Castiglione diceva “usare in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia» (Castiglione, 1965, orig. 1528).

Simoni ha dimostrato a noi italiani - e soprattutto alla sua figlia 21enne - non solo di essere una persona per bene, ma di avere il dono della grazia. Non c’è mutuo che tenga.

giovedì 22 dicembre 2011

La Lega e il Governo ladro

Ieri la Lega ha esposto in Parlamento un cartello con la scritta «Governo ladro». Peccato, si sono dimenticati di scrivere «piove».

martedì 20 dicembre 2011

Camusso, Fornero, Marcegaglia: lo scontro sul lavoro a colpi di empireo, totem e tabù

Il confronto-scontro tra le decision maker del lavoro ci fa assistere alla messa in campo di tre strategie argomentative.

La posta in gioco è la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che vieta in licenziamento non motivato da una giusta causa.

Susanna Camusso esprime il suo dissenso:

«dicono riforma del lavoro, in realtà sono licenziamenti facili».

Mette, poi, in discussione l’iniziativa del ministro Elsa Fornero minandone la credibilità. Lo fa trasformando in un punto di debolezza un aspetto che oggi, nel sentire comune, è considerato un punto di forza: essere parte di un governo tecnico di professori.

«Scendete dalle cattedre e guardate i disoccupati» e ancora, rivolto alla Fornero: «Scenda dall’empireo, venga al mondo, discuta con i sindacati.»

La Fornero risponde contestando lo stile di comunicazione della Camusso, considerandolo antiquato, un retaggio del dei tempi andati:

«Sono dispiaciuta per un linguaggio che pensavo appartenesse al passato.»

Emma Marcegaglia è più decisa. Svaluta quelli che per la cultura italiana sono “principi indiscutibili” – la stabilità del lavoro, la giusta causa – definendoli tribali.

«Oggi non ci sono più né totem tabù. Abbiamo rigidità in uscita dalle aziende senza eguali negli altri Paesi europei».

Tre leader, tre tecniche linguistiche.

domenica 18 dicembre 2011

Anche i tecnici sono retorici

Abbassamento del TR – tasso di retorica – con il governo tecnico?
Niente affatto.

L’arte del dire è protagonista anche in questo esecutivo, malgrado non raggiunga i livelli del governo Berlusconi che ha avuto la capacità di esplorare e, spesso, superare i confini di un’estetica del “grottesco”. Non è un insulto, intendiamoci, perché il grottesco è un preciso genere letterario che consiste nel culto della sproporzione, della deformazione, dell’esasperazione di un elemento a scapito di altri. Un esempio: tutto il Paese a sparare opinioni su una certa Ruby o una certa Noemi. Se non è sproporzione questa?

Ma torniamo al governo tecnico e alla sua retorica. Le argomentazioni del Ministro Monti in favore della manovra sono state incentrate sul memento mori, la presentazione, senza mezze misure, del «baratro» in cui finirebbe il l’Italia in un futuro prossimo se non accettasse, oggi, i sacrifici prospettati.

I termini usati da Monti sono scuri, plumbei, tinti di tragedia:

«il rischio è ancora massimo»

«il rischio è di vedere evaporare gran parte dei redditi italiani, soprattutto quelli modesti»

«le conseguenze sarebbero drammatiche»
«La riduzione del debito pubblico è un’esigenza totale. E ogni deviazione rischia di far sprofondare il paese in un abisso, l’esempio della Grecia è vicino»

Rischio massimo, evaporazione dei redditi modesti, l’abisso, la Grecia… Aggiungiamoci pure le lacrime del ministro Fornero. Con queste premesse non è certo facile lamentarsi.

venerdì 16 dicembre 2011

Cesso, rigenerazione, onore. Sono le parole del neofascismo

Il neofascismo è presente, è vivo ed è fra noi.

Lo svitato Gianluca Casseri, che il 13 dicembre ha freddato i senegalesi Samb Modou e Diop Mor, ha riportato alla nostra attenzione il tema del neofascismo e dei suoi movimenti.

Qual è il linguaggio di CasaPound, Forza Nuova, Militia? Navigando tra i siti e i blog di queste organizzazioni si nota uno stile di comunicazione apparentemente pacato ma che, improvvisamente, diventa estremo e diretto o, al contrario, aulico e altisonante.

CasaPound urla in maiuscolo e con punto esclamativo:

«COSTRUIREMO IL MONDO CHE VOGLIAMO!»

e aggiunge un termine volutamente sopra le righe:

«La vita così come ci è stata confezionata, la buttiamo nel cesso»

FORZANUOVA, scritto in maiuscolo, fa appello a due vecchie conoscenze del fascismo: “Onore” e “Civiltà”.

«FORZANUOVA chiama all'appello uomini e donne decisi a combattere le battaglie fondamentali dell’Onore e della Civiltà»

Non manca la “rigenerazione” che non viene, tuttavia, associata alla parola “razza” ma più moderatamente ai “costumi” e al “popolo” :

«FORZANUOVA opera per la rigenerazione dei buoni costumi del popolo»

Militia Christi rispolvera l’evergreen della “tradizione” nostrana:

«Il Movimento Politico Cattolico Militia Christi esprime sgomento per le affermazioni del neo Ministro Riccardi circa il diritto di voto ai figli di immigrati nel nostro Paese. Il voto agli italiani di seconda generazione non darebbe infatti le garanzie necessarie perchè i neo elettori possano decidere sul bene comune dell'Italia, estranei come sono alle tradizioni del nostro popolo, alla sensibilità dello stesso e non pienamente integrati nella cultura nostrana»

Non viene loro il dubbio che, accogliendo gli stranieri, il popolo italiano possa diventare più vivo, più innovativo, più competitivo e ancora più italiano?

venerdì 2 dicembre 2011

Profilattico, profilattico, profilattico, diciamolo!



Promuovere la prevenzione dell'Aids senza parlare di preservativo è come sperare che i nostri bambini si lavino i denti senza mai mostrare loro uno spazzolino; come dire loro di studiare senza mai pronunciare la parola compiti; come sperare che abbiano le orecchie pulite senza mai accennare all'esistenza di una cosa che si chiama acqua.

In preparazione della giornata mondiale contro l'Aids celebrata ieri dalla Rai, le redazioni hanno ricevuto questa e-mail interna:

«Carissimi, segnalo che nelle ultime ore il ministero ha ribadito che in nessun intervento deve essere nominato esplicitamente il profilattico; bisogna limitarsi al concetto generico di prevenzione nei comportamenti sessuali e alla necessità di sottoporsi al test Hiv in caso di potenziale rischio. Se potete, sottolineate questo concetto». È la linea del neo nato ministero della salute, guidato da Renato Balduzzi.

Un drammatico errore di comunicazione? Dipende dall'obiettivo che si vuole ottenere.
Se lo scopo è diminuire le infezioni di Hiv e la mortalità per Aids, lo è. Se, invece, lo scopo è riempire l'ennesimo pomeriggio televisivo, non lo è.

Ma ognuno si prenda le sue responsabilità. E, nel caso dell'Aids, le responsabilità non sono poche.

Concludo con un inno all'amore e alla vita: preservativo, preservativo, profilattico, condom, condom, condom forever and ever.

lunedì 28 novembre 2011

Angelino Alfano e il pluridecorato topos del buon padre di famiglia

Ieri sera l’ex ministro Angelino Alfano è stato intervistato da Fazio a CheTempocheFa, dove ha dato un’impressione generale di pacatezza e ragionevolezza.

È stato abile a smarcarsi da Berlusconi, evitando di cadere nella trappola dell’Italia che finisce nelle mani dei comunisti: il percorso asfittico nel quale voleva trascinarlo Fabio Fazio.

Pensavamo fosse un’argomentazione defunta, stecchita, ma non lo è affatto. Proprio ieri Berlusconi, nella sua prima uscita pubblica dopo le dimissioni, ha promesso di raddoppiare il suo impegno per scongiurare il comunismo e lo «Stato di polizia tributaria» voluto da chi vorrebbe tracciare i pagamenti con importi superiori ai trecento euro.

Ma torniamo ad Alfano. Alla domanda di Fazio sulla negazione della crisi da parte del Governo Berlusconi, l’ex ministro ha tirato fuori un altro ever green: il topos del buon padre di famiglia. In sintesi, l’adagio è questo: il buon padre di famiglia ha il dovere di dare coraggio ai suoi figli e di comunicare fiducia nel futuro, anche se la situazione è obiettivamente difficile.

Non ci sono dubbi sul fatto che l’ottimismo sia uno strumento fondamentale, senza il quale non è possibile portare avanti alcun progetto (se non si è ottimisti non si va nemmeno a comprare il latte sotto casa!). Tuttavia bisogna evitare due rischi: il paternalismo deleterio della negazione totale della realtà e il manierismo urticante di chi sorride in un campo di macerie.

domenica 20 novembre 2011

Focus sullo straniamento

Mi hanno chiesto di approfondire l’argomento “staniamento”. Lo faccio volentieri.

Lo straniamento è una deformazione degli automatismi del linguaggio.

Può essere considerato un esempio di straniamento la parola “rottamatori” che Matteo Renzi, sindaco di Firenze, utilizza per canzonare e denigrare i nostri attempati politici. Renzi prende in prestito un termine del mondo delle auto e lo incista nel linguaggio politico.

Un bell’esempio di straniamento in letteratura proviene della poetessa russa Anna Achmatova, che accosta l’ordinaria parola «cannuccia» al nobile termine «anima»:

Come con una cannuccia mi bevi l’anima.
Lo so, amaro e inebriante è il sapore,
ma il supplizio non turberò implorandoti.
(Anna Achmatova, 1911)

Nel caso delle pubblicità di Benetton “UnHate – Non odio” (vedi post precedente) lo straniamento si produce perché il linguaggio delle immagini accosta due mondi apparentemente in contrasto, suggerendo un punto in comune che spesso giace tramortito sotto uno spessa stratificazione di opportunità, politica, relazioni internazionali, false interpretazioni religiose. Quel punto in comune è l’amore.

venerdì 18 novembre 2011

Lo straniamento di Benetton


Alessandro Benetton ha deciso di ritirare la pubblicità con l'immagine del Papa che bacia Ahmed el Tayyeb, l'Imam della moschea del Cairo, che era stata diffusa per pubblicizzare l'azienda e i suoi prodotti.

Peccato. Non per Benetton, sicuramente lo aveva messo in conto e non credo sia troppo dispiaciuto: l'annuncio sta facendo il giro del mondo su media on e off line, ottenendo una visibilità di gran lunga superiore rispetto alle postazioni previste dalla cartellonistica cittadina.

Peccato per l'arte del dire. L'immagine era un bell'esempio di straniamento, una figura retorica che deautomatizza il linguaggio, accostando termini o immagini appartenenti a mondi diversi.

Peccato per l'occasione mancata di rappresentare un "segno di pace", seppure con il linguaggio sopra le righe che la pubblicità deve avere e con il fine ultimo di vendere maglioncini.

Peccato per il Vaticano. Una sola immagine può dire di più di milioni di omelie ed è utile a parlare con i giovani, interpretando il loro linguaggio che è più visuale che verbale.

E poi, non era l'amore il messaggio del Vangelo?

"Ho bisogno d'amore per Dio
Perché se no va male"

(Zucchero)

mercoledì 16 novembre 2011

No usura day: le parole per dire legalità e giustizia

Lunedì 21 novembre parteciperò al No usura day, il convegno organizzato da Confesercenti a Palazzo Valentini a Roma, via IV Novembre 119/A .

Il mio intervento, previsto per le 15,30, affronterà il tema delle argomentazioni a favore della legalità con video e immagini.

Programma.

lunedì 14 novembre 2011

Berlusconi lascia 2. Con il video messaggio si fa il funerale

“Quanto era buono! quanto era bravo!”. Il video messaggio delle dimissioni di Berlusconi di ieri ha il tono e le argomentazioni del funerale.

L’ex premier guarda al passato e rievoca i suoi momenti migliori. Il culmine del discorso funereo è l’auto citazione «L’Italia è il Paese che io amo», tratta dal discorso della discesa in campo del 1994.

L’episodio ci lascia una lezione di comunicazione. Mai uscire di scena con un amarcord.

Berlusconi lascia 1. Dimissioni un atto di generosità: l’agnello di Dio toglie i peccati del mondo

Silvio Berlusconi si dimette, compiendo – come dichiara nel suo video messaggio di ieri - un «gesto generoso».

La frase evoca l’agnus dei, l’agnello di Dio di memoria evangelica, la vittima sacrificale che si immola per la salvare l’umanità (nel caso specifico, gli italiani).

La strategia della vittima si basa sul capovolgimento del punto di vista: colui che viene considerato carnefice si trasforma in martire; la piazza che ne ha acclamato la caduta è popolata da aguzzini e persecutori.

A diventa Z.

martedì 8 novembre 2011

Glossario della crisi di Governo. T come Testa di cazzo



T come Testa di cazzo

In una telefonata con il vicedirettore di Libero Franco Bechis, il sottosegretario Crosetto ha parlato di Silvio Berlusconi come di una testa di c.

Crosetto ha definito l’espressione un epiteto amichevole “un modo magari colorito di parlare tra persone che si conoscono da anni".

B come Bell’amico.

Glossario della crisi di Governo. P come Passo indietro o Passo di lato



P come Passo indietro o Passo di lato

Una metafora per indicare le dimissioni del premier.

Nelle ultime ore Bossi ha parlato di un “passo di lato”. Un’eufemismo?

Glossario della crisi di Governo. L come Larghe intese



L Larghe intese

È un neologismo del politichese. È indicato anche come Governo di salute pubblica o nazionale.

Si tratta di un Governo di transizione istituito in un momento di crisi con l’obiettivo di portare avanti le riforme necessarie per il Paese. Le intese sono “larghe” perché includono figure politiche che non rientrano nella maggioranza.

Gabriella Carlucci, dopo l’abbandono del Pdl, ha espresso la sua opinione: "un Governo di larghe intese è l'unica soluzione per salvare il Paese".

Glossario della crisi di Governo. C come Cadrega



C Cadrega

È un’espressione lombarda per dire “sedia”: “l'è on element de arredament doperaa de settàss giò”.

Ieri Silvio Berlusconi ha usato questo termine, intervenendo telefonicamente a un incontro politico a Monza dove era presente il ministro Paolo Romani:

«Non siamo attaccati alla cadrega e sono convinto che domani [oggi ndr] avremo la maggioranza, per fare le riforme che anche l'Europa ci chiede e che servono a rilanciare l'economia»

“cadrega” è una sineddoche, perché trasferisce “il significato di una parola a un’altra in base a un rapporto di contiguità” (Marchesi).

lunedì 7 novembre 2011

Glossario della crisi di Governo. F come Fronda



F Fronda

Il termine viene spesso usato dai media come sinonimo di “malpancisti” (vedi post precedente), rispetto ai quali i frondisti sembrano avere una maggiore attitudine all’azione, oltre che al lamento. Un’azione che si traduce nell’incontrarsi, nello scrivere documenti programmatici e lettere aperte.

In termini linguistici è una metafora. In termini storici, il termine fa riferimento a un movimento politico nato in Francia fra il 1648 e il 1653 per esprimere malcontento nei confronti della pressione fiscale dovuta alla partecipazione alla Guerra dei Trent’anni.

Se, poi, la fronda ha anche un forte mal di pancia che contagia altre fronde l’albero cade.



Glossario della crisi di Governo. M come Malpancista





M Malpancista.

Ecco una parola tipica delle crisi di Governo.

Un “malpancista” è un politico che esprime malessere all’interno del proprio schieramento, senza tuttavia proporre alternative. È un neologismo e, allo stesso tempo, una metafora che rende perfettamente l’idea: colui che si lamenta all’interno del “corpo” dello schieramento è un vero e proprio mal di pancia.

sabato 5 novembre 2011

I ristoranti sono pieni: il locus amoenus di Berlusconi

«Siamo un paese benestante, tanto è vero che i consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, sugli aerei a fatica si trovano i posti»

Che dire dell'argomentazione sfoderata ieri dal premier Berlusconi per rassicurare gli italiani sulle sorti della nostra sfiancata economia?

È la strategia retorica del locus amoenus, il luogo idealizzato e piacevole che arricchisce la trama delle opere letterarie: l'isola di Calipso dell'Odissea o il rifugio per sfuggire la peste dei dieci narratori del Decamerone.

La retorica, però, va maneggiata con cura. Può far volare un'idea e darle forza argomentativa, oppure ucciderla con orpelli inutili. O, ancora, può nascondere la totale assenza di idee.

Temo che questo sia il caso del nostro premier: la totale assenza di idee su come uscire dalla maledetta crisi.

venerdì 4 novembre 2011

La valigetta nera e l’archeolingua delle tangenti



“Le parole sono pietre” scriveva Carlo Levi, ma anche i gesti non scherzano. Ieri sera un simpatico signore, ex amministratore pubblico, mi ha ricordato i lontani anni Ottanta, epoca in cui il sistema delle tangenti era robusto e diffuso.

Il galateo della mazzetta funzionava così: il corruttore si presentava all’appuntamento con una valigetta nera (nera, marrone sembra non andasse bene) e, senza sedersi, appoggiava la valigetta sul tavolo.

Questo era il momento cruciale.

Se l’amministratore pubblico era corruttibile diceva “si accomodi”, se non lo era pronunciava una frase magica e raggelante: “No, grazie. Se vuole ci vediamo domani senza questa”, indicando la valigetta nera.

Ritorniamo al punto di partenza: le parole sono pietre.

domenica 30 ottobre 2011

Commento al discorso di Steve Jobs a Stanford

Ecco il video di Tv2000, finalmente su questo blog.

giovedì 27 ottobre 2011

Il lavitolese, il linguaggio burino del potere

Ci hanno insegnato a scuola e in famiglia che, per ottenere i posti di potere o per entrare in certi salotti, bisognava almeno parlare italiano. Ci hanno detto una bugia.

Per essere al vertice del potere bisogna parlare il lavitolese, un burinese che mescola il vernacolo dei “senti a me”, il turpiloquio dei cazzo-merda-inculare-con-il-trapano (addirittura!), le tecniche da imbonitore del chiamare tutti “Amo’”, il passepartout per farsi ascoltare e rispettare del “me lo ha detto Lui”.

Oggi Francesco Merlo su La Repubblica ci offre un glossario ricco e argomentato.
Impariamolo a memoria, se intendiamo fare carriera. Basta con il vocabolario della lingua italiana, basta con le letture formative per imparare a parlare meglio, basta con l’autocontrollo sulle espressioni dialettali.

Il potere ha la sua grammatica sgrammaticata. Saper scegliere un vino per una cena è più importante di conoscere il congiuntivo: il culto della relazione ha sopravanzato il rispetto per uno straccio di cultura. Accettiamolo e adeguiamoci, se vogliamo sopravvivere.

martedì 25 ottobre 2011

Lettera aperta ai creativi

Pubblico la lettera di Alfredo Accatino che evidenzia le difficoltà, le esigenze, le aspirazioni, le rivendicazioni degli operatori italiani della creatività: creativi per pubblicità ed eventi, copy, art, graphic & industrial designer, visualizer, web, artisti, autori, stilisti, scenografi, light designer, montatori, sceneggiatori, story editor, coreografi, registi, fotografi, progettisti, blogger, compositori, video maker, illustratori, costumisti, direttori artistici, curatori, artigiani di ricerca, traduttori, ghost writer (http://www.creativi.eu/).


Cari creativi,
vi chiedo di leggere questo post. Ci metterete 5’. Parla di voi. Dopo, sarete un po’ incazzati. Forse, più motivati. Magari saprete cosa fare. Altrimenti, postate una canzone.

Ora passo al tu. Se appartieni al 94% di chi “non” possiede o dirige un’azienda di successo, con i riconoscimenti che ne derivano, contratti o dividendi, prendi un foglio di carta e scrivi su quali forme di tutela puoi contare. Fatto?

Che prospettive ritieni di potere avere, superati i 50 anni, se non dovessi divenire titolare, dirigente, star acclamata? E se ti trovassi nella condizione di doverti ri-immettere sul mercato?
Oggi, su quali garanzie puoi contare sotto il profilo sanitario, pensionistico, in caso di malattia, disoccupazione, maternità Se invece sei un libero professionista o un free lance, che tutele hai su pagamenti e tempi? Quali spese scarichi? E gli utili corrispondono agli studi di settore?
Se hai un contratto a progetto, a chi ti puoi rivolgere per mutui o finanziamenti?
Se stai iniziando ora, quali aiuti hai ricevuto per lo start up?
E, infine, se hai un’idea innovativa, chi è pronto ad ascoltarti? Che strumenti hai per proteggerla?

Ma soprattutto, chi riconosce il tuo valore, e ti considera una forza importante e strategica? Chi ci rappresenta? Quale corrispondenza esiste tra le nostre idee, la nostra visione del mondo e delle cose, l’amore per il bello in tutte le sue forme, e il sistema Paese?
Se, al contrario, appartieni a quel 6% che ottiene onori e premi, chiediti quanto sei veramente tutelato, e se non hai anche tu, stampigliata da qualche parte, la data di scadenza. Cosa succede se un fondo ti acquisisce e decide che non sei performante? Se litighi con soci, se soffri di ansia da prestazione, se il tuo mercato viene travolto dalla crisi, se improvvisamente ti pesa fare l’ennesima notte? Ma soprattutto, chiediti cosa puoi fare tu per il 94% di talenti che, meno di te, hanno ottenuto visibilità, guadagni, opportunità.

In Italia non esistono cifre che dicano quanti siano i professionisti che svolgono attività finalizzate alla creatività. I “creativi”, semplicemente, non esistono.
Eppure siamo quelli che costruiamo, ogni giorno, l’immagine della filiera industriale e commerciale, in alcuni casi, sogni e tendenze. Quelli che progettano le piattaforme dove ci si confronta. Che creano stili, storie e visioni da condividere. Disegnano il presente.

Io ritengo che in Italia siano più di 2 milioni le persone che vivono delle proprie capacità creative. Il doppio se si considerano ambienti di riferimento e indotti.
Non siamo identificati, rappresentati, tutelati, rispettati, valorizzati. Facciamo un lavoro logorante, che spesso riduce la capacità competitiva con l’avanzare degli anni. Prigionieri di stereotipi che ci vedono modaioli e svagati, con il biliardino all’ingresso e il lupetto nero, sempre alle prese con cose divertenti. In realtà protagonisti di quella fuga di cervelli che porta i più intraprendenti di noi ad andare all’estero per poter vivere e realizzare le proprie idee.
Facciamo un lavoro anonimo. Senza diritto d’autore, con ritmi superiori a qualsiasi regime contrattuale, disposti a lavorare di notte e nei festivi, sulla scia di quell’entusiasmo e disponibilità che è insita nel nostro lavoro, al quale non potremmo rinunciare, ma che diviene regola in luogo di eccezione. Ma non siamo missionari e non stiamo salvando la vita a dei bambini. Siamo solo uno strumento del sistema industriale. Lavoratori dell’immateriale, braccianti della mente.

Eppure, insieme alla ricerca tecnologica, rappresentiamo l’identità storica della nazione, il made in Italy, quello che ancora ci garantisce un briciolo di credibilità nel mondo.
Ci confrontiamo e diamo voce alle culture giovanili e riformiste, invisibili e marginali per i media e il potere quanto lo siamo noi. Sperimentiamo tecnologie e linguaggi.
Pensiamo internazionale.
Siamo quelli che hanno contribuito alla creazione della cultura web e social, della quale conosciamo, più di tutti, dinamiche, linguaggi e modalità. Ma non siamo mai coinvolti nelle scelte e nelle soluzioni. Mai consultati, mai coinvolti nei processi decisionali sui grandi temi di questa società. Che rinuncia, di fatto, a valorizzare uno straordinario capitale di energia e innovazione.

Mi spiace dirlo, ma le associazioni di categoria in questo momento non hanno più senso. Così come il parlare di pubblicitari, grafici, architetti, e di mille altre piccole nicchie. Sono finite le corporazioni. Potranno essere utili solo dopo, per specifiche esigenze di settore, per l’aggiornamento professionale e il confronto tecnico. E poi, basta.
Non ci sono creativi fighi e creativi di serie B. O lo sei, o non lo sei.

Il cambiamento che vi propongo è di mentalità e di visione.
Siamo e siete un’unica entità, qualunque cosa facciate: creativi per pubblicità e eventi, copy, art, graphic & industrial designer, visualizer, web. Ma anche artisti, autori, stilisti, scenografi, light designer, montatori, sceneggiatori, story editor, coreografi, registi, fotografi, progettisti, blogger, compositori, video maker, illustratori, costumisti, direttori artistici, curatori, artigiani di ricerca, traduttori, ghost writer… Nelle grandi città, come in provincia, dove maggiori sono le difficoltà.

Occorre spostare il livello di percezione/visibilità. Piantarla di fare gli individualisti. Divenire massa critica, movimento di opinione, influencer. Smettere di pensare all’orticello per acquisire quella che il buon Pasolini chiamava “coscienza di classe”.
Se il mondo non ci considera, usiamo le metodologie che il mondo comprende.

• Diventiamo lobby
• Impostiamo una rivendicazione sindacale (sì, avete letto bene)
• E quindi, diveniamo Gruppo di Pressione.
Anche in un momento di crisi, che potrebbe far sembrare irrealizzabili e utopiche queste istanze. Perché è quando si è in curva che occorre spingere sull’acceleratore.

Primo passo, renderci visibili, sollevando il problema. Al pari di quanto hanno fatto pochi anni fa i nostri colleghi sceneggiatori americani.
Blocchiamo il giocattolo.
Occupiamo la rete. Facciamoci vedere. Anche nelle strade. Senza sentirci obbligati a dover, per forza, fare manifestazioni fighe e creative. Poi, diveniamo piattaforma.

Cosa chiedere? Di ascoltarci. Di avere, in questo paese, un ruolo consultivo e decisionale. Ma anche ciò che hanno ottenuto tante altre categorie che, nella storia, prima di noi, hanno affermato in maniera organica i propri diritti:
1 - Tutela dei più giovani, con contratti a progetto e stipendi che assomigliano al conto di un ristorante. Regolazione del sistema stage e incentivi per chi assume. Finanziamenti o prestito d’onore per attrezzature e alta formazione
2 - Garanzia di tempi e modalità di pagamento per professionisti esterni e free lance. Con possibilità di accedere in maniera diretta a un collegio arbitrale per la risoluzione di problematiche professionali
3 - Istituzione di un Fondo di Solidarietà, pagato contestualmente alla prestazione d’opera, o inserito direttamente nel contratto. Destinato ad aiutare chi si trova a vivere momenti di difficoltà, per maternità, problemi di salute, disoccupazione. Con tassi agevolati per mutui e fidi
4 - Diritto d’autore per nuove categorie o forme espressive, per ridurre una disparità di trattamento non più giustificabile. Anche alla luce della recente sentenza Bertotti contro Fiat.
5 - Adeguamento legislativo del concetto di "idea", oggi del tutto privo di rilevanza e tutela giuridica.
6 - Nel caso di partita IVA, iscrizione in categoria separata, con imposta calcolata al 75%, come avviene nell’ambito della cessione dei diritti. O inserimento delle categorie nella gestione Enpals, inserendo il concetto del "collocamento"
7- Facilities per l’aggiornamento professionale, per il consumo di beni culturali e soggiorni all’estero, elementi ala base del nostro lavoro

Diritti, si badi bene, che non devono essere appannaggio del soggetto singolo, ma anche di aziende e studi professionali che pongono la creatività come core business. Questo non vuol dire, quindi, lotta tra poveri, in un momento di grave congiuntura, ma condivisione di opportunità:

1 - Regolazione del sistema gare e riconoscimento della “creatività” all’interno del formulari di gara
2 - Diritto a poter scaricare le spese effettuate dalle aziende per ricerca, sperimentazione, nuove tecnologie. E incentivi per stage, apprendistato, assunzioni, contratti nell’area creativa
3 - Riduzione fiscali e incentivi in caso di start-up, con particolare attenzione nei confronti di under 30, factory, realtà collettive, in un contesto che valorizzi 3 assi portanti: creatività, ricerca tecnologica, arti
4 - Attivazione di ammortizzatori anche per quelle aziende che non raggiungono i minimali previsti per accedere a cassa integrazione o mobilità

Ho finito. E, detto tra noi, non avrei mai pensato di dover scrivere un giorno un testo simile a un vecchio volantino sindacale o a una predica mormonica. Ma così è. Con la netta sensazione che il social, pensato per unire teste e mondi, possa servire a qualcosa di più che postare una canzone.

In questo percorso illuminante il dialogo che gli sceneggiatori di un piccolo film “Generazione 1000 euro” hanno messo in bocca a due amici, perennemente stagisti. “Questa è l’unica epoca in cui i figli stanno peggio dei padri….” è il commento di Matteo quando apprende che un suo coetaneo disoccupato lascia Milano per tornare dai genitori: “E qual è la nostra risposta? Mangiare Sushi.”

E a me, il sushi, non basta più.

Alfredo Accatino

venerdì 21 ottobre 2011

Berlusconi, Gheddafi e la massima universale per non prendere posizione

«Sic transit gloria mundi»: ieri Silvio Berlusconi ha commentato la morte di Gheddafi con una citazione latina.

Più che il desiderio di glorificare il dittatore libico, la scelta della massima ecclesiale sembra dovuta alla volontà di non prendere una posizione precisa su un personaggio che, in un tempo non lontano, è stato assecondato, vezzeggiato, baciato.

Berlusconi si guarda bene dal pronunciare un’affermazione in prima persona (“credo”, “ritengo”, “farò”) e affida il suo commento all’impersonalità della massima eternamente vera, eternamente valida ed esageratamente inutile nel contesto specifico.


(“Oh con quale rapidità passa la gloria del mondo”, De Imitatione Christi; “Il mondo passa con la sua concupiscenza”, Giovanni, Prima lettera, 2.17)

martedì 18 ottobre 2011

Lavitola, Cicchitto e le parole del potere

«Sono un consigliere di Silvio Berlusconi» e «Ho appena parlato con il capo».

Sono gli incipit delle telefonate di Lavitola, il passepartout per essere ascoltato, per avere voce in capitolo, per fare in modo che gli ordini siano eseguiti.

Semplici frasi che esprimono potere e dettano le regole del dire e dell’agire.

Enunciazioni che preludono a una richiesta-ordine che ha l’obiettivo di creare effetti in chi le ascolta che, con il solo strumento del linguaggio, viene «colpito, influenzato, messo in condizioni di fare o di non fare» (Austin). Benvenuti nel mondo degli atti linguistici.

Ma il meccanismo, ogni tanto, si rompe. Fabrizio Cicchitto rimanda al mittente le sollecitazioni di Lavitola, incrinando l’incantesimo del potere:

«Me ne sbatto il cazzo delle cose del capo».

lunedì 17 ottobre 2011

Retorica da black bloc

Oggi La Repubblica ha pubblicato un’intervista a un anonimo black bloc che, il 15 ottobre, ha dato il suo gagliardo contributo alla devastazione del centro di Roma.

L’intervista è un manualetto di guerrilla urbana. Illustra le tecniche usate per mettere a soqquadro la città, evitando i controlli delle forze dell’ordine.

Per iniziare un’argomentazione classica:

«Poteva esserci il morto in piazza? Perché quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?»

È l’argomentazione del bambino di quattro anni: “ha cominciato lui!”. Ammesso che i morti siano prodotto del Sistema (ma di quale Sistema?), che senso ha aggiungere dolore a dolore?

Interessanti le parole usate. Il nemico è un’entità definita con termini generici:

«[La guerra] non l’ho dichiarata io. L’hanno dichiarata loro
«Ma loro chi?» chiedono Bonini e Foschini, gli intervistatori.
«Non discuto di politica con due giornalisti.»

I gruppi armati sono “falangi”, un termine storico che ricorda il mondo ellenico ed etrusco e aggiunge un certo fascino epico alla vicenda.

Le intenzioni belliche vengono, invece, definite in modo puntuale:

«I primi 500 si sono armati a inizio manifestazione e avevano il compito di devastare via Cavour». Devastare.

«Parlo come uno che è in guerra». Guerra.

L’intervista si conclude con un enunciato, che Searle farebbe rientrare nella classe degli atti linguistici illocutivi “commissivi”: «E vi do una notizia. Non è finita». In altre parole, una minaccia.

venerdì 14 ottobre 2011

Berlusconi e il discorso della fiducia: presupposizione e ismo

Una presupposizione linguistica e un ismo nel discorso che il premier ha tenuto ieri in Parlamento per assicurarsi la fiducia.

Berlusconi ha escluso l’ipotesi del governo tecnico, sostenendo l’argomentazione del rispetto della volontà degli elettori:

«Quando la maggioranza e il suo leader perdono la fiducia, la parola torna agli elettori, questo è il sale della democrazia.»

Questa argomentazione preannuncia il passaggio seguente, che contiene una presupposizione linguistica:

«Mi domando: c’è in questo Parlamento qualche persona di buon senso che può davvero credere che un governo tecnico avrebbe più forza di un governo legittimo come questo davanti a una decisione difficile imposta da questa crisi?»

Ecco la presupposizione: il premier dà per scontato - lascia intendere - che il governo tecnico sia illegittimo, ossia “non valido per legge, contrario alle condizioni volute dalla legge”. Non è così.

Continuando il discorso, Berlusconi lancia un ismo:

«una crisi di governo al buio oggi determinerebbe la vittoria del partito declinista, catastrofista, speculativo in azione da mesi in Europa e in Italia.»

Il declinismo è il nuovo insulto per la sinistra. Pd: Partito democratico o Partito declinista? L’acronimo corrisponde e non è certo un caso.

giovedì 13 ottobre 2011

Sel aggancia Jobs: appropriazione indebita




Steve Jobs è pop - Pop significa che quella cosa o quel personaggio piace a molti - Sinistra ecologia e libertà si aggancia all’icona pop per avere i benefici di una trasfusione di popolarità.

È quanto è successo ieri a Roma. I cittadini si sono svegliati e hanno trovato cartelli di commiato dedicati a Jobs e firmati da Sel.

Un’operazione sgraziata, perché smaccatamente ruffiana.

Il presidente Vendola ha preso le distanze, attribuendo l’iniziativa a un'azione indipendente della federazione romana.

«Il genio di Steve Jobs ha cambiato in modo radicale, con le sue invenzioni, il rapporto tra tecnologia e vita quotidiana. Tuttavia fare del simbolo della sua azienda multinazionale – per noi che ci battiamo per il free software – una icona della sinistra, mi pare frutto di un abbaglio».

Tutti noi, consulenti di comunicazione, suggeriamo di agganciare la propria immagine a simboli popolari e vincenti (ammettiamolo, non siamo certo delle verginelle!). Ma cerchiamo di non dimenticare mai la grazia.

martedì 11 ottobre 2011

Commento al discorso di Steve Jobs su Tv 2000

http://www.tv2000.it

Su http://www.tv2000.it/, in homepage-archivio, il video con il mio commento al discorso "Siate affamati, siate folli" di Steve Jobs.

lunedì 10 ottobre 2011

A Tv 2000, oggi alle 14,50, commento "Siate affamati, siate folli" di Steve Jobs

Oggi, alle 14,55, sono ospite di Tv 2000 per commentare il discorso "Siate affamati, siate folli" tenuto a Stanford da Steve Jobs nel 2005.

sabato 8 ottobre 2011

Left: copertina paradosso

Montezemolo, Della Valle, Marcegaglia, Profumo vogliono fare politica?
Sì, no, forse. Per ora, Left ci regala una copertina-paradosso, associando le loro immagini allo slogan "Avanti popolo".

giovedì 6 ottobre 2011

Steve Jobs

Un saluto a Steve Jobs: impernditore, inventore, oratore.



Per il discorso "Siate affamati, siate folli" guarda il post del 25 agosto su questo blog.

mercoledì 5 ottobre 2011

Oltre alle “mamme”, ci sono anche i “genitori”

Il tema del sessismo linguistico non mi ha mai appassionato. Sono una strenua sostenitrice dei diritti delle donne, ma credo che chiamare “sindaca” il sindaco donna o “ministra” la signora ministro non contribuisca granché alla causa.

Però. C’è un però. Da mamma non capisco perché ancora non riesca a prendere piede il concetto che i figli sono cresciuti da due individui: mamma e papà. Certo, a meno che non ci sia stato un lutto.

Oggi, la prima pagina de “La repubblica” promette qualche consiglio utile:

«Piccoli obesi crescono
un decalogo per mamme»

E i papà?

Non sarebbe meglio «un decalogo per genitori»? O un «decalogo» e basta? O quello che volete. Riabilitiamo questi papà, altrimenti - poverini - si offendono.

lunedì 3 ottobre 2011

Napolitano e il solenne richiamo al rispetto delle istituzioni

Dopo il vespaio seguito alla super dichiarazione di Della Valle di sabato, il presidente della Repubblica ha più volte richiamato gli italiani al rispetto delle istituzioni. Lo ha fatto con il suo linguaggio elegante e solenne e con il consueto tono aulico.

L'occasione è l'anniversario dell'eccidio di Marzabotto da parte dei nazisti:

«È un dovere per noi tutti perpetuare il ricordo di coloro che combatterono nelle fila della Resistenza, restituirono all'Italia il bene supremo della libertà e della dignità nazionale. A loro si deve se l'Assemblea costituente poté approvare, grazie alla convergenza di forze politiche diverse, la nostra carta fondamentale in cui sono enunciati i valori e i principi fondamentali cui si ispirarono quanti, sacrificando se stessi e la propria vita, hanno consegnato alle generazioni successive una Repubblica nuova e libera. Spetta a ciascuno di noi, in nome di quegli stessi principi, continuare ad amarla e consolidarla».

Colpisce il passato remoto ormai usato sempre meno, fatta eccezione per i siciliani; la ricercatezza del verbo perpetuare (immaginiamo Napolitano dire alla sua Clio "ti amerò perpetuamente", invece di "ti amerò per sempre"); il concetto dell'amore di patria che, Napolitano insiste, non può tramontare.

sabato 1 ottobre 2011

Della Valle, le parole della tirata d’orecchi e il finale a specchio

Reprimenda enfatica, ma non solenne quella di oggi di Diego Della Valle.

L’imprenditore marchigiano ha occupato le pagine pubblicitarie dei quotidiani italiani, inizialmente comprate per le pubblicità Tod’s, con un’intemerata dal titolo a caratteri cubitali:

«POLITICI ORA BASTA»

Qualche stralcio de testo (firmato “Diego Della Valle”):
«Lo spettacolo indecente ed irresponsabile che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda la buona parte degli appartenenti a tutti gli schieramenti politici.»
«Rendetevi conto che tanti italiani non hanno più nessuna stima e nessuna fiducia in molti di Voi e non hanno più nessuna intenzione di farsi rappresentare da una classe politica che, salvo eccezioni, si è totalmente allontanata dalla realtà della cose e dai bisogni reali dei cittadini.»

«[la maggioranza della classe politica] è composta da persone incompetenti e non preparate che non hanno nessuna percezione dei problemi del Paese, della gravità del momento e tantomeno una visione mondiale degli scenari futuri che ci aspettano.»

Stile efficace. L’imprenditore utilizza un linguaggio semplice, parole di tutti i giorni. La forza del messaggio è nel rappresentare un sentimento contemporaneo, di farsi megafono della vox populi.

Non manca qualche destrezza retorica, come il finale speculare:

«Alla parte migliore della politica e della società che si impegnerà a lavorare seriamente in questa direzione, credo che saremo in molti a dire grazie.
A quei politici, di qualunque colore essi siano, che si sono invece contraddistinti per la totale mancanza di competenza, di dignità e di amor proprio per le sorti del Paese, saremo sicuramente in molti a volergli dire di vergognarsi

“in molti a dire grazie” - “in molti a volergli dire di vergognarsi”. Ecco lo specchio.

Sineddoche e anafora per i giovani della Confindustria



I giovani (e i vecchi) della Confindustria hanno attaccato il Governo. Lo hanno sfidato pubblicamente non invitando i suoi rappresentanti all’annuale convegno di Capri.

«Non inviteremo più i politici. Basta passerelle» ha dichiarato Jacopo Morelli, presidente dei giovani industriali.

Morelli usa una sineddoche, una figura retorica sempre efficace che abbiamo già incontrato in questo blog. Vi ricordate il “predellino”?

La sineddoche consente di trasferire “il significato di una parola a un’altra, in base a un rapporto di contiguità*”.

E la vena retorica dei confindustriali non finisce qui. Jacopo Morelli prosegue con un’anafora, la ripetizione di una parola all’inizio della frase.

«Avevamo fatto proposte, ma zero risposte […]. Zero risposte. Zero politici»

Non fa una piega.








*Marchese A. (1990), Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori, Milano.

lunedì 26 settembre 2011

Sei una "Minetti"! A soreta

Pensiamo a un povero disgraziato che di cognome si chiama Hitler o a un altro che si chiama Pacciani. Oppure a una che si chiama Mussolini. Anzi no. Questo - a quanto pare - sembra non essere più un problema.

Ci sono cognomi che perdono la loro semplice funzione di identificazione della persona per assurgere al ruolo di personaggi universali della commedia o della tragedia che si annida nella realtà quotidiana.

Ieri Gianni Alemanno, sindaco di Roma, ha pronunciato il suo discorso alla tre giorni dei circoli della Nuova Italia, consacrando la scarnificazione della persona Nicole Minetti e facendola diventare il simbolo universale di un modo negativo di gestire la cosa pubblica.

«Lo dobbiamo dire con chiarezza. Mai più Minetti nei consigli regionali». Ha detto Alemanno.

Da oggi, alla domanda "che tipo è?" si potrà rispondere: "una Minetti".

venerdì 23 settembre 2011

Il verso quinario “tutta invidia/colpa dei media”

«È tutta invidia» dice la escort Terry De Nicolò nella sua intervista a L’ultimaparola di Rai 2 nella quale elogia il Gianpi-Tarantini uomo e imprenditore e condanna i suoi detrattori.

«È colpa dei media» risuona Berlusconi, commentando il declassamento dell’Italia da parte di Standard & Poor's.

“Tutta invidia –colpa dei media” suona bene: è un quinario. Sembra il verso di una poesia o di una canzone. Un tormentone che è diventato familiarmente fastidioso come il jingle di una pubblicità. Avete presente “a far l’amore comincia tu” dello spot Wind? Più o meno l’effetto è lo stesso.

La domanda è: possibile che non esistano argomentazioni meno banali?
E la risposta è semplice. Nello spazio mediatico la regola numero uno è evitare l’imbarazzo del vuoto, della non reazione.

Quando si è sotto accusa meglio reagire con una banalità che stare zitti.
È proprio il contrario della vita reale, dove nel 90% dei casi il silenzio è d’oro.

sabato 17 settembre 2011

"Discorsi potenti" al festival della letteratura di Narni

Il 23 settembre "Discorsi potenti" è stato invitato a partecipare al Festival della letteratura al femminile di Narni, ideato e diretto dalla filosofa Esther Basile, Presidente dell'associazione culturale Eleonora Pimentel Lopez de Leon e delegata dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.

L'appuntamento è al museo Eroli alle 10.

martedì 13 settembre 2011

Gli evasori sono “furbetti”? O, meglio, “ladri” e “parassiti”?

Chi mi conosce lo sa. Ogni volta che mi arriva l’e-mail del commercialista con le tasse da pagare si svolge il seguente orrido copione: pronuncio parolacce da osteria, mi maledico per non aver messo niente da parte, spendo qualche lacrimuccia, chiamo gli amici per lamentarmi e cercare comprensione (poveretti!) e mi metto a letto con le coperte fino agli occhi.

Malgrado questo atteggiamento tutt’altro che dignitoso, sono convinta che pagare le tasse sia una buona cosa. Ti permette di mandare i figli a scuola e di avere un medico che ti sta a sentire quando stai male. Chi non paga le tasse fa tutto questo a spese degli altri.

Ma veniamo agli aspetti linguistici. Gli evasori fiscali, tornati in auge in occasione della recente crisi economica, vengono spesso definiti “furbetti”. L’aggettivo è entrato prepotentemente nel nostro linguaggio, dopo essere stato utilizzato da Stefano Ricucci nel 2005, con riferimento alle banche estere che tentavano la scalata alle banche italiane.

La parola mi sembra riduttiva, perché può nascondere una vena di indulgenza. Per creare una reale e diffusa condanna sociale del fenomeno bisognerebbe chiamare gli evasori con termini più precisi: o “ladri” o “parassiti”. Inutile girarci intorno.

venerdì 9 settembre 2011

Aristotele e il fenomeno Berlusconi in "Silvio forever"

La proiezione di ieri sera del documentario "Silvio forever" su La7 ci ha fatto rivivere i momenti salienti dell'era Berlusconi. Per interpretare il fenomeno ci può aiutare Aristotele (wow!).

Mi spiego. Nell'intera berlusconeide ricorrono riferimenti alla vita privata del premier, che lui stesso cita per condividere con noi il suo mondo, reale o idealizzato: la mamma Rosa, il papà, le cinque zie suore, la tomba di famiglia progettata dall'artista Cascella, la passione per il calcio, l'amore per la famiglia, le parole che pronuncia alla sua stessa immagine davanti allo specchio (guarda caso dice: "mi piaccio"), l'hobby del giardinaggio, la passionaccia per le donne giovani e belle.

Una valanga di notazioni personali squadernate di fronte all'intero paese. Perché? La tecnica argomentativa di Silvio è basata su quello che Aristotele chiama pathos: una forma di persuasione che si basa sull'emotività. Berlusconi ha costruito il suo personaggio di padre-figlio-devoto-tifoso-latin-lover e ne ha fatto oggetto di una narrazione che ha appassionato e coinvolto la maggioranza dei cittadini-votanti.

Che gli elementi della narrazione siano reali non è poi così importante. È importante, invece, la costruzione di un personaggio che genera immedesimazione e simpatia negli elettori.

Aristotele distingue il pathos da altri due strumenti di persuasione: l'ethos e il logos. Il primo si basa sulla credibilità dell'oratore, il secondo sulla forza del ragionamento.


Nella comunicazione di tutti i politici - e di tutti noi - ethos, logos e pathos vengono messi in campo a seconda del contesto, ma il pathos sembra essere molto gettonato, soprattutto nella costruzione di un personaggio.

Berlusconi, dunque, non è solo con il suo pathos. Pensiamo a Obama, del quale proprio in questi giorni è uscito in Italia il libro "Di voi io canto", una lettera aperta dedicata alle sue figlie. Ma questo è già l'argomento di un un altro post.

Il ministro Sacconi e la barzelletta

Spesso i clienti che si servono del mio supporto come ghost writer mi chiedono se sia il caso di inserire una barzelletta nel loro discorso. La risposta è sempre la stessa: NO, per favore.

Per raccontare una barzelletta bisogna essere comici di professione, nel senso di attori brillanti non di buffoni da quattro soldi.

In altre parole se non sei Fiorello, lascia perdere!

Sacconi ieri, nel corso di un ragionamento sull'articolo 8 e la CGIL, ha raccontato la seguente, brutta barzelletta

"C'è un convento del '600 in cui entrano dei briganti e violentano tutte le suore, tranne una.
Il sant'Uffizio la interroga: «come mai solo lei non è stata violentata?». «Perché ho detto di no»"

Se capisco bene, la maggior parte delle suore non ha proferito parola perché aveva piacere a essere stuprata. È così?

Da donna, vorrei dare una dritta a Sacconi: nessuno è contento di essere violentato. Nemmeno le suore del '600.

mercoledì 7 settembre 2011

Brunetta, Sacconi, Cgil è il manieristico giochino dello sparanumeri



Le stime sull’affluenza sono il classico giochino dei post-manifestazione. E anche questa volta, dopo lo sciopero di ieri, non sono mancati gli sparanumeri.

Il sindacato ha dichiarato un’adesione del 58 per cento dei lavoratori; il ministro Sacconi ha parlato di «adesione bassa»; Brunetta di uno sciopero limitato al 3-4%.

Nessuno ormai crede più che le cifre tirate fuori in queste occasioni dai vari protagonisti della scena politica abbiano molto a che fare con la verità. Gli stessi sparacifre non sembrano poi tanto convinti. Eppure tutti continuano imperterriti a sparare, cercando strenuamente di avere l’ultima parola come vecchi coniugi che litigano da più di cinquant’anni.

La verità è che la disputa sui numeri dei cortei è diventata ormai una forma di manierismo, un’elaborazione formale fine a se stessa che rende il dettaglio l’oggetto principale del discorso e rischia di far spostare l’attenzione dalla domanda cruciale: perché i cittadini sono spaventati dal futuro?

giovedì 1 settembre 2011

Gheddafi e le donne che si arrendono

Che l'ex leader libico fosse maschilista non avevamo dubbi. Non stupisce, quindi, l'argomentazione bislacca che ha scelto per comunicare al mondo che non ha nessuna intenzione di mollare.

«Non ci arrendiamo. Non siamo donne, continueremo a combattere. Mettete la Libia a ferro e fuoco»

Parlando in termini machisti, forse gli unici che Gheddafi capisce, sarebbe bello se il rais dimostrasse di essere "uomo", uscendo dal bunker in cui è asserragliato e prendendosi le responsabilità di quello che ha fatto al suo paese.

giovedì 25 agosto 2011

Steve Jobs, il grande oratore, lascia Apple

Ha molto colpito i navigatori del Web la decisione di ieri di Steve Jobs, chief executive officer della Apple, di lasciare il suo ruolo per ragioni di salute.

Facciamo in bocca al lupo a Jobs e ricordiamo il suo famoso discorso del giugno 2005, tenuto all’università di Stanford in occasione della consegna dei diplomi (video).

In quell’occasione, Jobs diede dimostrazione delle sue grandi capacità oratorie, mettendo in campo figure retoriche raffinate.

Tra queste l’excusatio propter infirmitatem dell’incipit, l’attacco del discorso. In questo blog abbiamo incontrato più volte questa strategia dell’arte del dire, che consiste nello scusarsi per non sentirsi all’altezza del proprio ruolo di oratore:

«Sono onorato di essere con voi oggi, per la vostra laurea in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Ad essere sincero, questo è la cosa più vicina a una laurea, per me.»

Nel discorso a Stanford, Jobs racconta della propria malattia che, a quel tempo, sembrava superata. Anche raccontare qualcosa di sé è retorica. È un Erlebnis: un’esperienza personale ed emotiva che diventa una narrazione dal valore universale.

Jobs sintetizza il suo vissuto con una metafora:

«Qualche volta la vita ci colpisce come un mattone in testa.»

Quello di Stanford, è un discorso che mira alla motivazione: Jobs invita i ragazzi neolaureati a cercare e inseguire le proprie inclinazioni:

«Dovete trovare qualcosa che amate […]. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare, non accontentatevi.»

L’explicit, la chiusura, riassume il senso dell’intera allocuzione ed è di una potenza dirompente:

“Stay hungry, stay foolish”

Può essere tradotto con “Siate bramosi, siate insensati”. Secondo Jobs, il desiderio di farcela e un po’ di follia sono gli ingredienti per la realizzazione personale, la felicità ma, soprattutto, per realizzare qualcosa di nuovo.

Probabilmente è così. Pensiamo a Galileo cui nessuno riusciva a togliere dalla testa che col cavolo che è il sole a girare intorno alla Terra; a Galvani che torturava le rane in nome dell’elettrofisiologia; a Marconi che andava matto per la radio o a quel pazzotico di Orwell che, nel 1948, aveva avuto una strana visione di una società futura controllata dai media. Ma quando mai!


venerdì 5 agosto 2011

Discorsi potenti va in vacanza

Arrivederci a settembre.

Che l'arte oratoria sia con voi anche sotto l'ombrellone!

giovedì 4 agosto 2011

Le ferie della casta, i simboli e l'ombrellino


Il putiferio di ieri sulle cinque settimane di vacanza dei nostri parlamentari con annesso pellegrinaggio a Gerusalemme è forse pura demagogia o, forse, trito populismo, però.

Va bene riposarsi; va bene concedersi più vacanze consecutive di tutti gli italiani messi insieme; va bene mettere un attimo (un attimo!) da parte il Paese in preda agli speculatori; va bene anche fare il pellegrinaggio in Terra Santa con Maurizio Lupi che guida il drappello con l’ombrellino rosso in mano; va bene tutto. Per carità: non saranno certo quelle cinque settimane a salvare il mondo, però.

Però, ritornando al tema di questo blog, i messaggi nella comunicazione rimangono importanti. Ci sono messaggi che hanno valore di simbolo, perché sono evocativi e intersoggettivi, cioè rimandano ad altri significati e sono condivisi da molti.

Rinunciare alle super vacanze e al super pellegrinaggio per comunicare al Paese che non è abbandonato a se stesso ha un valore simbolico inestimabile, anche se monsignor Fisichella ha detto:

«Visitare i luoghi sacri del nostro Credo invita a riflettere sull’essenziale della vita, così da affrontare i problemi del Paese con intensità ed efficacia»

I nostri politici non potrebbero scoprire l’essenziale della vita dal Divino Amore?

martedì 2 agosto 2011

Bersani l’ammazza topos commenta la crisi economica


Intervistato su La Repubblica di oggi, Bersani critica l’operato del governo sui temi economici e chiede di andare subito al voto.

Il segretario del Pd denuncia lo spregiudicato utilizzo dello strumento retorico del topos. Queste le sue parole:

«La situazione di eccezionale gravità è stata velata con il populismo dei cieli azzurri e delle ronde»

Le nuvolette sul cielo terso rappresentate nella grafica del Pdl e l’organizzazione dei drappelli leghisti sono due topoi belli e buoni, due elementi narrativi al pari dell’amor cortese, dell’elisir di eterna giovinezza, della mancanza di parole davanti alla donna amata, del viaggio negli inferi. Quanti ricordi scolastici!

Con la sua dichiarazione Bersani vuole smascherare una politica che ritiene fatta più di affabulazione che di iniziative per la crescita economica.

Tutto è retorica, però: sia il suo utilizzo che la sua esplicita contestazione.

martedì 19 luglio 2011

Dipendenti comunali = Fantozzi? È l’ultima mazzata del rottamatore Matteo Renzi

Il sindaco di Firenze paragona i propri dipendenti a una maschera della commedia dell’arte contemporanea come lo sono stati un tempo Arlecchino, Colombina e Truffaldino.

Con la sua ben nota capacità di sintesi, in un’intervista su SpotWeek, Renzi appiccica l’etichetta Fantozzi agli impiegati comunali.

«Mi ritrovo con dipendenti che timbrano alle 14 e già un quarto d’ora prima sono in coda col cappotto nel cortile, pronti per uscire.»

Il paragone è offensivo e violento, ma è reso più digeribile dall’argomentazione che lo accompagna:

«Io nono denigro i dipendenti. Dico solo che in un momento in cui aumentano i cassintegrati e la disoccupazione e un’intera generazione vive la precarietà come condizione esistenziale, la responsabilità di chi ha un contratto a tempo indeterminato nel settore pubblico deve raddoppiare.»

Con un poco di zucchero la pillola va giù?

venerdì 15 luglio 2011

Vendola e la sua antipatia per i “compagni”


Carlo Levi titolava un suo romanzo: “la parole sono pietre”. È anche l’opinione di Nichi Vedola, il retore dei nostri tempi, che è convinto che le parole possano essere pietre, sì, ma al collo.

Il leader di Sel ha mandato in pensione il termine “compagni”, preferendogli “amici” di memoria democristiana, ma sicuramente meno connotato.

Il web è insorto. I militanti hanno gridato allo scandalo e al rischio di perdere un importante filo identitario.

Che dire?

La parola “compagni” appartiene sicuramente al passato, non al futuro. Chi non ricorda il reperto canterino del giurassico

Compagni dai campi e dalle officine

prendete la falce e portate il martello

scendete giù in piazza e picchiate con quello

scendete giù in piazza e affossate il sistema.”

Tuttavia eliminarla in modo esplicito produce un comprensibile effetto di horror vacui negli affiliati. Le asportazioni chirurgiche, in fatto di linguaggio, funzionano raramente perché è l’uso che vince. Lo sanno bene i puristi che tentano di eliminare gli anglicismi dall’italiano. Mission: impossibile.

Meglio il cambiamento di fatto, senza dichiarazioni programmatiche.

lunedì 11 luglio 2011

I precari della scuola sfidano Brunetta con un chiasmo

La protesta e la retorica sono parenti stretti. Lo sanno bene i precari della scuola che, attraverso i social network, si erano organizzati per manifestare al matrimonio di Renato Brunetta a Ravello.

È andato tutto a monte perché – proprio per evitare problemi - il ministro ha deciso di anticipare alla notte tra sabato e domenica la cerimonia che si sarebbe dovuta tenere alle 19,30 di ieri.

Rimane comunque un gioco di parole ben riuscito.

Facendo riferimento alla definizione di Brunetta del 12 giugno, precari = Italia peggiore (vedi post le 18 giugno), i manifestanti hanno costruito un chiasmo, un incrocio di parole in forma di X:

«l'Italia peggiore ha voglia di incontrare la peggiore Italia»

Lo Schema è AB – BA: Italia peggiore (AB) – peggiore Italia (BA).

Chi non ricorda il motto dei Moschettieri di Alexandre Dumas?

«Uno per tutti

tutti per uno»

La cerimonia di matrimonio passa, il chiasmo resta.

mercoledì 6 luglio 2011

Appello all’Agcom contro la censura della Rete

Siete fan dello sterminato giacimento culturale, creativo e informativo di Internet e volete proteggerlo?

La delibera dell’Agcom per tutelare il diritto d’autore rischia di intaccare la ricchezza di questo giacimento.

In pratica, un Sito potrà essere bloccato se contiene musiche e filmati protetti da copyright.

Se credete, inviate una e-mail di protesta al presidente di Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (cliccate qui).

martedì 5 luglio 2011

Parole potenti? Saldi, saldi, saldi



Dai discorsi alle parole potenti. Lo è sicuramente “saldi”.

Domenica i No Tav hanno attirato l’attenzione sui commenti della manifestazione postati in diretta su Twitter, inserendo la parola chiave “saldi”.

In questo modo, tutti coloro che erano a caccia di shopping scontato, sono finiti a leggere la cronaca della manifestazione.

Certe parole sono magiche.

venerdì 1 luglio 2011

Alfano, il partito dell’onestà e la spremuta di olive

Cosa c’entra la spremuta di olive con il Pdl? C’entra.

Oggi Angelino Alfano, acclamato segretario del Pdl, ha dichiarato di fronte a una folla entusiasta:

«Dobbiamo lavorare per il partito degli onesti. Presidente, lei - dice rivolgendosi a Berlusconi - è stato un perseguitato dalla giustizia perché nel '94, aveva 58 anni, e non è possibile che fino ad allora non era successo niente e, poi, quando è entrato in politica le è successo di tutto con riferimento al passato. Lei è un perseguitato, ma ho l'onestà di dire che non tutti lo sono».

Sembra che il Pdl sia intenzionato a ricostruire la propria credibilità, i pubblicitari direbbero il proprio “posizionamento”: la percezione di un prodotto da parte di noi consumatori. Nel marketing, naturalmente, la percezione ci viene “suggerita” dal produttore.

L’olio extravergine Monini afferma il suo posizionamento di genuinità, associando al marchio lo slogan “Una spremuta di olive”.

Il nuovo Pdl, all’alba dell’era Alfano, si riposiziona come ”il partito degli onesti”. Per farlo in modo credibile, è costretto ad ammettere qualche colpa dei suoi affiliati, eccezione fatta per il capo. Ma, per ricostruire il candore perduto, ne vale la pena.

Popolo della libertà o, meglio, popolo della extraverginità?

lunedì 27 giugno 2011

Vasco Rossi si dimette da rock star. L’atto linguistico può essere felice e chic

Vasco va in pensione. Lo dice e lo fa. Lo fa nel momento stesso in cui lo dice.

Il linguaggio serve solo per parlare? Non è vero. Il linguaggio serve anche per fare. Non ho mai creduto al proverbio inglese “Actions speak louder than words”. Ci sono parole che sono vere e proprie azioni. Gli esperti le chiamano “atti linguistici”.

Penso alle parole che riempiono le piazze, che cambiano il mondo o che ti salvano la vita.

Oppure, molto più semplicemente, alle parole che compiono azioni più banali ma significative per chi le pronuncia e per chi le ascolta, come un impiegato che dice “mi dimetto”, un giudice che dichiara “la seduta è tolta” o un fidanzato che pronuncia il fatidico e temuto “ti lascio”.

Le parole di Vasco Rossi non sono solo azione ma sono anche liberatorie. Il rocker va in pensione con gli occhi che ridono e con la vivacità che solo l’autoironia può garantire:

«A sessant’anni uno non può fare la rock star!» video

Dire basta quando si è al massimo. Molto chic!